È possibile considerare successioni, ossia liste ordinate, di oggetti matematici diversi dai numeri reali? La nozione di successione di funzioni è quindi un naturale sviluppo di questa curiosità, carica di risvolti e applicazioni teoriche e pratiche nella Matematica.
In questa guida completa studiamo in profondità tale tema, rivolgendo la nostra attenzione ai seguenti argomenti:
- Convergenza puntuale e uniforme e loro caratterizzazioni, come le condizioni di Cauchy;
- Analisi dettagliata con esempi che mostrano come le proprietà di continuità, integrabilità e derivabilità non passino al limite puntuale di una successione;
- Teoremi di passaggio al limite per la convergenza uniforme relativi alla continuità, derivabilità e integrabilità del limite uniforme di funzioni;
- Criteri di convergenza uniforme come i teoremi del Dini, il teorema di Ascoli-Arzelà e la procedura diagonale;
- Gli spazi normati delle funzioni limitate o continue e interpretazione dei teoremi di convergenza in questo contesto generale;
- Il teorema di convergenza dominata di Arzelà, che mostra come si possa passare al limite l’integrale di una successione di funzioni sotto sole ipotesi di convergenza puntuale.
Ogni risultato viene introdotto da domande intuitive e spiegato da esempi e illustrazioni chiare, proponendo inoltre esercizi teorici risolti che rendono il discorso interattivo e stimolante. Questo articolo è quindi un viaggio nel cuore dell’Analisi Matematica moderna: non ti resta che iniziarlo!
Oltre alla raccolta
Esercizi sulle successioni di funzioni segnaliamo il seguente materiale teorico:
Autori e revisori
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Revisori: Roberto Castorini, Matteo Talluri, Valerio Brunetti, Sergio Fiorucci.
Notazioni
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Insieme vuoto; | |
Insieme dei numeri naturali positivi; | |
Insieme dei numeri interi; | |
Insieme dei numeri reali; | |
Convergenza puntuale della successione |
|
Convergenza puntuale sull’insieme |
|
Convergenza uniforme della successione |
|
Convergenza uniforme sull’insieme |
|
funzione caratteristica dell’insieme (1) |
|
somme di Riemann inferiore e superiore della funzione |
|
| |
se | |
estremo superiore della funzione | |
estremo inferiore della funzione | |
massimo della funzione | |
minimo della funzione | |
spazio vettoriale delle funzioni reali limitate con dominio | |
spazio vettoriale delle funzioni reali continue e limitate con dominio | |
distanza tra i punti | |
norma del vettore | |
norma infinito della funzione | |
distanza infinito indotta dalla norma | |
Introduzione
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- Una procedura standard per calcolare il valore di una funzione con un certo grado di precisione è di approssimare la funzione usando dei polinomi “vicini” alla funzione e calcolare il valore di tali approssimanti. Questa procedura si esegue, ad esempio, quando la funzione da approssimare è trascendente. Può sembrare sorprendente, ma questo è il metodo usato sia nei moderni calcolatori che dai matematici dei secoli passati. Osserviamo che ciò presuppone di aver definito rigorosamente cosa si intende per approssimare una funzione e di essere certi che il suo valore puntuale si ottiene come limite del valore puntuale dei polinomi approssimanti.
- Un caso ancor più estremo si verifica quando non si riesce ad esprimere la funzione
che descrive un particolare fenomeno tramite funzioni elementari. Un caso esemplificativo di particolare importanza è l’equazione del calore. Un modo per risolvere il problema consiste nell’approssimare
con combinazioni lineari di opportune funzioni sufficientemente semplici per essere trattabili. Ci si aspetta che, facendo crescere all’infinito il numero di funzioni elementari utilizzate, si ottenga un’approssimazione sempre migliore di
.
- Un altro caso in cui il concetto di approssimazione è molto utile è di tipo teorico. Un metodo per dimostrare la validità di un risultato per una certa classe
di funzioni consiste nel dimostrare che esso vale per una sua particolare sottoclasse
che però risulta abbastanza diffusa da essere “densa” nella classe originaria, nello stesso senso in cui i numeri razionali sono densi nei numeri reali. Chiaramente spesso ciò risulta più semplice rispetto al provare il risultato originario. Successivamente, approssimando opportunamente la generica funzione in
con una successione di funzioni in
, si riesce più facilmente a provare che essa soddisfa la proprietà desiderata.
Questi esempi mostrano l’utilità del concetto di successione di funzione e di definire in quale (in realtà quali) senso si intende il loro limite.
Concludiamo questa introduzione con una breve descrizione dell’organizzazione della dispensa:
- Nella sezione 2 descriviamo la convergenza puntuale, che è una nozione abbastanza naturale di convergenza per successioni di funzioni;
una volta definita questa convergenza è naturale chiedersi quali proprietà delle funzioni della successione passino al limite: continuità, integrabilità, derivabilità, etc.. Tali questioni costituiscono il leitmotiv che guida lo sviluppo di gran parte della dispensa.
Noteremo la parziale inadeguatezza della convergenza puntuale attraverso numerosi esempi ed esercizi. Come eccezione segnaliamo la sezione 2.1.3 in cui presentiamo un poco noto risultato di convergenza per gli integrali dovuto a Cesare Arzelà, il teorema 2.1.6.
- Nella sezione 3 analizziamo dunque la nozione di convergenza uniforme, che risulta essere più forte della convergenza puntuale e che permette di sviluppare una teoria adeguata del passaggio al limite: mostriamo infatti nella sezione 3.2 come la convergenza uniforme assicuri una risposta affermativa alle questioni che ci siamo posti al riguardo della convergenza puntuale.
Una volta ottenuti questi risultati di convergenza, risulta evidente l’importanza di stabilire se una successione di funzioni converga uniformemente. Nella sezione 3.3 analizziamo alcune condizioni sufficienti per la convergenza uniforme. Oltre ai teoremi basati su criteri di monotonia della successione della sezione 3.3.1, nella sezione 3.3.2 presentiamo l’importante nozione di equicontinuità e mostriamo col teorema 3.56 come essa in un certo senso catturi l’essenza del passaggio dalla convergenza puntuale a quella uniforme.
Nella sezione 3.3.3 presentiamo il teorema di Ascoli-Arzelà, che è una sorta di analogo del teorema di Bolzano-Weierstrass per la convergenza uniforme, e dove l’equicontinuità della successione risulta essere di nuovo essenziale.
- Nella sezione 4 osserviamo come la convergenza uniforme sia in realtà indotta da una cosiddetta metrica sullo spazio delle funzioni limitate, che permette cioè di misurare la distanza tra due qualunque funzioni. Inquadriamo i risultati ottenuti nelle precedenti sezioni in tale ottica, che ci permette di avere una visione globale e generale della situazione; questa visione si presta a essere utilizzata anche in altri contesti e studi futuri.
Nonostante il suo notevole interesse, a volte tale materiale viene escluso dai programmi dei corsi di Analisi 2, quindi il lettore può decidere in base alle sue necessità e gusti personali se dedicarsi o meno a tale approfondimento.
- Nella sezione 5 raccogliamo alcune soluzioni di esercizi proposti nel testo.
- Nell’appendice A presentiamo il concetto di misura di intervalli in maniera elementare, insieme ad alcune semplici proprietà utilizzate nella dispensa.
- Nell’appendice B rispondiamo (negativamente) alla domanda 2.10 descrivendo una successione di funzioni continue convergente puntualmente a una funzione non integrabile secondo Riemann.
- Nell’appendice C dimostriamo il teorema 2.16 di convergenza dominata di Arzelà, che fornisce condizioni sufficienti affinché si abbia convergenza degli integrali di funzioni integrabili sotto ipotesi di convergenza puntuale della successione di funzioni.
Convergenza puntuale
Introduzione.
In tutto il corso di questo capitolo ci interesseremo di funzioni reali di una sola variabile; tuttavia, molti dei risultati che dimostreremo valgono anche nel caso di funzioni in più variabili.
L’idea che può venire in mente è quella di estendere il concetto di convergenza di una successione numerica al caso delle funzioni. Infatti osserviamo che, fissato un elemento , otteniamo una successione di numeri reali
per la quale conosciamo già la nozione di convergenza. Supponiamo che essa sia convergente a un numero reale che scegliamo di chiamare
. Se ciò avviene per ogni
il valore
rappresenta una funzione
che chiameremo limite puntuale della successione di funzioni
.
(2)
In simboli scriviamo
(3)
Se (2) è verificata per ogni , dove
, diciamo che
converge puntualmente a
in
. In simboli scriviamo
(4)
Osservazione 2.2. Usando la definizione di limite, la convergenza puntuale di a
è equivalente a dire che
(5)
Sottolineiamo che il numero nella definizione di sopra dipende, oltre che da
, anche dal punto
fissato.
Osservazione 2.3. Poiché l’eventuale limite puntuale di una successione di funzioni
è definito punto per punto come limite di una successione di numeri reali, e poiché il limite di una successione di numeri reali, se esiste, è unico, otteniamo che, se
ha limite puntuale
, questo è unico.
Facciamo ora qualche esempio relativo alla convergenza puntuale.
Esempio 2.4. Consideriamo la successione di funzioni definita da
.
La successione
converge puntualmente alla funzione
definita da
(6)
Infatti, per
per ogni
e quindi non vi è nulla da dimostrare.
Se invece , si ha
(7)
(8)
converge puntualmente alla funzione identicamente nulla.
Rimandiamo alla sezione 5 per la soluzione.
Limiti della convergenza puntuale: continuità e passaggio al limite.
Domanda 2.6. Sia una successione di funzioni continue che converga puntualmente a una funzione
. Si può dire che
è continua?
La risposta alla domanda 2.6 è negativa: in generale, il limite puntuale di una successione di funzioni continue non è necessariamente continuo, come mostra l’esempio 2.4. Infatti in tale esempio, la funzione limite non è continua nel punto
.
Osservazione 2.7. Il problema enunciato nella domanda 2.6 corrisponde a chiedersi se è possibile scambiare l’ordine in cui si calcolano due limiti. Infatti,
per rispondere alla domanda 2.6, si può stabilire se per ogni di accumulazione per
vale la seguente uguaglianza:
(9)
Usando la continuità delle funzioni e il fatto che la successione delle
converge puntualmente a
, la precedente uguaglianza si riscrive nel seguente modo:
(10)
che appunto è equivalente a chiedersi se è possibile scambiare l’ordine con cui si calcolano due limiti.
Visto nella prospettiva dell’osservazione 2.7, nell’esempio 2.4 scambiare l’ordine in cui si calcolano i due limiti seguenti dà luogo a risultati diversi, infatti:
(11)
Ci si potrebbe chiedere se la commutatività dei limiti fallisca a causa del fatto che il limite puntuale non è continuo; ci si potrebbe cioè porre la seguente questione.
Domanda 2.8. Sia una successione di funzioni (non necessariamente continue) che converga puntualmente a una funzione
continua. Vale, per ogni
, l’uguaglianza
(12)
Notiamo che, rispetto alla domanda 2.6, nella domanda 2.8 si sta rinunciando alla continuità delle ma si sta assumendo per ipotesi che il limite
sia continuo e ci si chiede se, in tal caso, l’operazione di limite sia commutativa.
Purtroppo, di nuovo la risposta è negativa, come mostra il seguente esempio.
Esempio 2.9. Consideriamo la successione di funzioni definita da
(13)
Essa converge puntualmente alla funzione . Infatti si ha
per ogni
; Se invece
, per ogni
si ha
e ciò implica
; da cui
(14)
Poiché è ovviamente continua, ciò mostra che scambiare l’ordine in cui si calcolano i due limiti seguenti dà luogo a risultati diversi:
(15)
Figura 1: La funzione dell’esempio 2.9.
Limiti della convergenza puntuale: integrazione.
Domanda 2.10. Sia una successione di funzioni integrabili secondo Riemann che converga puntualmente a una funzione
.
risulta integrabile?
La risposta è negativa anche assumendo la continuità delle , come mostra l’esempio B.2 riportato nell’appendice B.
Osservazione 2.11. L’esempio B.2 può essere visto come un rafforzamento di quanto mostrato nell’esempio 2.4. Infatti esso mostra che il limite puntuale di funzioni continue non solo non è necessariamente continuo, ma può non essere neppure integrabile secondo Riemann, che è una proprietà più debole della continuità.
Ci si può chiedere se, assumendo per che il limite puntuale di una successione di funzioni continue sia integrabile, allora il valore degli integrali converga al valore dell’integrale del limite. Più precisamente ci poniamo la seguente questione.
Domanda 2.12. Sia una successione di funzioni integrabili secondo Riemann che converga puntualmente a una funzione
integrabile secondo Riemann. Si può concludere che
(16)
Ci si sta chiedendo, cioè, se le operazioni di integrazione e di limite siano in quache modo commutative.
Ancora otteniamo una risposta negativa, perfino se le funzioni e
sono continue, come mostra il seguente esempio.
Esempio 2.13. Consideriamo la successione di funzioni definita da
(17)
Si osserva che converge puntualmente alla funzione
. Ma notiamo che
(18)
Figura 2: La funzione dell’esempio 2.13.
Il teorema di convergenza dominata di Arzelà
Si può notare che le funzioni dell’esempio 2.13 sono limitate, ma per ogni
si ha
(19)
A un’osservazione attenta, ciò provoca in questo caso una “concentrazione” dell’area sottesa al grafico di in un intervallo sempre più stretto, nonostante il valore di tale area rimanga costantemente pari a
. Al limite, quest’area scompare e questa potrebbe essere la ragione del fatto che gli integrali
non convergono a
.
Ci si potrebbe chiedere se, richiedendo una limitatezza “uniforme” delle , si possano prevenire questi fenomeni di concentrazione e quindi ottenere la convergenza degli integrali.
Domanda 2.14. Sia una successione di funzioni integrabili secondo Riemann; si supponga che esista
tale che
(20)
Si supponga inoltre che converga puntualmente a una funzione
integrabile secondo Riemann. Si può concludere che
(21)
Osservazione 2.15. La condizione (20) si può esprimere dicendo che le funzioni sono equilimitate; per maggiori dettagli, si veda la definizione 3.57, dove si può trovare una discussione approfondita sull’importanza di tale proprietà rispetto alla convergenza uniforme.
La risposta alla domanda 2.14 è affermativa, come mostra il seguente notevole risultato dovuto al matematico italiano Cesare Arzelà (1847 – 1912).
(22)
Si supponga inoltre che converga puntualmente a una funzione
integrabile secondo Riemann. Allora si ha
(23)
Rimandiamo la dimostrazione all’appendice C.
Limiti della convergenza puntuale: derivazione.
Domanda 2.17. Sia una successione di funzioni derivabili che converge puntualmente a
.
risulta derivabile?
La risposta è negativa, come mostra il seguente esempio.
Esempio 2.18. Consideriamo la successione di funzioni definita da
Si osserva facilmente che è derivabile (con derivata continua), e che il limite puntuale di
è
(che non è derivabile in
). Infatti, sia
; se
(l’altro caso è analogo) si ha
(24)
che converge a per
.
Si potrebbe pensare che, assumendo per ipotesi la derivabilità della funzione limite, si possa concludere che la successione delle derivate converga almeno puntualmente. Più precisamente possiamo porci la seguente domanda.
Domanda 2.19. Sia una successione di funzioni derivabili che converge puntualmente a
derivabile. Si può affermare che la successione
converge puntualmente a una funzione
?
La risposta è ancora negativa, come mostrato dal seguente esempio.
Esempio 2.20. Sia la successione di funzioni definite da
(25)
Abbiamo
(26)
che prova la convergenza puntuale delle alla funzione
identicamente nulla;
è chiaramente derivabile con derivata nulla, tuttavia si ha
(27)
che diverge per .
Come ultima domanda, ci si può chiedere se assumendo anche la convergenza delle derivate, si possa affermare che il limite delle sia pari a
.
Domanda 2.21. Sia una successione di funzioni derivabili che converge puntualmente a
derivabile, sia
e si supponga che la successione
converga puntualmente a una funzione
. Si può concludere che
? In altre parole, si può affermare che
(28)
Anche la risposta a questa domanda è negativa, come mostrato dal seguente esempio.
Esempio 2.22. Sia la successione di funzioni definita da
(29)
Si può verificare che risulta derivabile in
(controllando che
). Inoltre, per ogni
si ha
(30)
Ciò mostra che converge puntualmente alla funzione
identicamente nulla, che ovviamente risulta derivabile e
. Tuttavia si può facilmente vedere che
(31)
Si vede che converge puntualmente alla funzione
definita da
(32)
Si ha e la (28) è quindi falsa per
.
Convergenza uniforme
Introduzione.
La mancanza di teoremi di passaggio al limite ci mostrano che la nozione di convergenza puntuale non è adeguata alla maggior parte degli scopi dell’Analisi Matematica e ci spingono a ricercarne delle altre.
Si può iniziare tale ricerca chiedendosi quale sia il “difetto” della convergenza puntuale. Sia quindi e consideriamo una successione di funzioni
(33)
che converge puntualmente a una funzione . Si potrebbe pensare che, per quanto le funzioni
convergano a
in senso puntuale, esse non siano “sufficientemente vicine” a
affinché le loro proprietà passino al limite. In che senso si può intendere questa frase?
La risposta risiede appunto nell’aggettivo puntuale: la convergenza puntuale afferma che, fissato un punto , allora da un certo
in poi, le funzioni
calcolate nel punto
sono vicine alla
calcolata nel punto
. Cambiando il punto
, potrebbe essere necessario variare il numero naturale
. In altre parole, potrebbe non esistere un unico numero naturale
per cui, per
le funzioni
siano vicine almeno
alla funzione
in ogni punto
.
Una nuova nozione di convergenza potrebbe quindi richiedere questo controllo uniforme su che non dipenda cioè dal punto
scelto e che sia appunto uniforme sull’intero insieme
.
Allora, fissato un valore di
la condizione
sarebbe verificata per ogni
, qualsiasi sia
.
Questa nuova nozione dà luogo a una teoria ricca e ciò motiva la definizione di convergenza uniforme.
Definizione e prime proprietà.
(34)
In simboli scriviamo
(35)
Se (34) è verificata per ogni , dove
, diciamo che la successione
converge uniformemente in
a
e scriviamo
(36)
Osservazione 3.2. Scrivendo la definizione di convergenza uniforme in formule, abbiamo che converge uniformemente a
se e solo se
(37)
La (37), pur sembrando simile alla (5), che definisce la convergenza puntuale, differisce da essa in maniera sostanziale: nella (37) il numero naturale è scelto senza tener conto del punto
(e infatti l’esistenza di
è affermata prima di scegliere il punto
), mentre nella (5) il numero
dipende dal particolare punto
scelto (e infatti l’esistenza di un siffatto
è affermata dopo aver scelto
).
Per meglio comprendere il significato della convergenza uniforme, facciamo qualche considerazione di carattere grafico e successivamente analizziamo un esempio concreto.
Osservazione 3.3. La nozione di convergenza uniforme è raffigurata in figura 3. Dato esiste un
tale che per ogni
il grafico di
(rappresentato con il tratto rosso) è compreso fra i grafici di
e
(rappresentati tratteggiati).
In altre parole, converge uniformemente a
se, dato
e immaginando una striscia di ampiezza
intorno al grafico di
(dai contorni tratteggiati in figura 3), allora da un certo
in poi il grafico di
è compreso nella suddetta striscia.
Figura 3: Convergenza uniforme di una successione di funzioni a
.
Quanto visto nell’osservazione precedente non avviene invece nel caso della convergenza puntuale, come mostra il prossimo esercizio che esamina la successione di funzioni dell’esempio 2.4 dal punto di vista della convergenza uniforme.
Esempio 3.4. Sia definite da
. Allora si può vedere che
converge puntualmente ma non uniformemente alla funzione
. La convergenza delle
a
è però uniforme in ogni intervallo del tipo
con
.
La prima parte dell’enunciato è già stata dimostrata nell’esempio 2.4. Dunque la successione di funzioni converge puntualmente alla funzione identicamente nulla.
non converge però uniformemente a
. Infatti, fissiamo un qualunque
. Poiché si ha
(38)
esiste tale che
. Ciò implica che, se
, allora non esiste nessun
per cui
(39)
Ciò nega la convergenza uniforme delle a
.
Per verificare l’ultima asserzione, si consideri . Poiché ognuna delle funzioni
è crescente, si ha
(40)
Sia . Allora, poiché
, esiste
tale che, per ogni
, si ha
. Ma allora, per (40), per ogni
si ha
(41)
Ciò prova che
(42)
Figura 4: Convergenza non uniforme della successione a
; se
, il grafico delle
non è contenuto nella striscia di ampiezza
intorno al grafico di
.
(43)
converge uniformemente alla funzione identicamente nulla.
Rimandiamo alla sezione 5 per le soluzioni.
Definizione e prime proprietà: caratterizzazione equivalente della convergenza uniforme.
(44)
Osservazione 3.8. Spesso, in luogo della (44), si useranno le sue abbreviazioni
(45)
Dimostrazione della proposizione 3.7. Se converge uniformemente a
, allora per definizione, per ogni
esiste
tale che
(46)
Ciò implica che, per ogni esiste
tale che
(47)
Per definizione di limite, quindi, la quantità di sopra converge a per
. In formule
(48)
Poiché tutte le implicazioni dimostrate sono in realtà delle equivalenze, ciò dimostra anche l’altra parte dell’enunciato. Per chiarezza e comodità del lettore, però, scriviamo comunque la dimostrazione per esteso.
Supponiamo quindi verificata la (44). Per definizione di limite ciò implica che per ogni esiste
tale che
(49)
Ciò ovviamente implica che per ogni esiste
tale che
(50)
che è proprio la definizione di convergenza uniforme delle a
.
Definizione e prime proprietà: relazione con la convergenza puntuale.
Domanda 3.9. L’eventuale limite uniforme di una successione di funzioni è unico? Che relazione esiste tra la convergenza puntuale e uniforme? Una implica l’altra? Nel caso siano verificate entrambe le convergenze, i limiti coincidono?
Analizzando il modo in cui abbiamo definito la nozione di convergenza uniforme di una successione di funzioni, si può intuire che questa sia più forte di quella puntuale, come precisa il prossimo risultato.
In particolare, il limite uniforme di una successione di funzioni, se esiste, coincide con il limite puntuale e quindi è unico.
Dimostrazione. Assumiamo che converga uniformemente a
e fissiamo un qualunque
. Allora ovviamente si ha
(51)
Poiché per l’ipotesi di convergenza uniforme il membro di destra tende a per
, si ha
(52)
che prova la convergenza puntuale delle a
. L’ultima asserzione segue facilmente dalla prima parte dell’enunciato e dall’unicità del limite puntuale.
Osservazione 3.11. La proposizione 3.10, oltre al fatto che la convergenza uniforme è più forte di quella puntuale, asserisce che, quando esistono, i due limiti sono uguali. Ciò è utile nei casi pratici: infatti, per studiare la convergenza uniforme di una successione, se ne può studiare prima la convergenza puntuale (che, essendo più debole è solitamente più semplice da ottenere) e poi, in virtù della proposizione 3.10, verificare se il limite puntuale ottenuto è anche uniforme.
(53)
Dimostrare che la successione converge puntualmente alla funzione costante ; dimostrare inoltre che la convergenza non è uniforme su
ma che lo è su ogni intervallo del tipo
con
.
Rimandiamo alla sezione 5 per la soluzione.
Definizione e prime proprietà: condizioni di Cauchy.
In tali casi può essere utile avere a disposizione dei criteri per dimostrare i due tipi di convergenza introdotti. Questi prendono il nome di criteri di Cauchy, in quanto si rifanno al noto criterio di Cauchy per le successioni numeriche, che richiamiamo qui di seguito. Per una dimostrazione rimandiamo il lettore a [1, Teorema 5.48].
(54)
Osservazione 3.15. Il teorema 3.13 costituisce una formulazione equivalente dell’assioma di completezza di , [1, Assioma 3.12, Teorema 3.15].
Il teorema 3.13 produce i seguenti risultati per le successioni di funzioni.
(55)
Osservazione 3.17. Il numero dipende sia dal punto
sia da
.
Dimostrazione della proposizione 3.16. Se converge puntualmente a
, allora per ogni
fissato, la successione numerica
è convergente, quindi per il teorema 3.13 è di Cauchy, cioè per ogni
esiste
per cui la (55) è soddisfatta.
Viceversa, se per ogni e per ogni
esiste
per cui vale la (55), allora per ogni
la successione
è di Cauchy, quindi converge per il teorema 3.13 e, chiamando per ogni
il limite di tale successione, risulta definita una funzione
che è proprio il limite puntuale delle
.
(56)
Dimostrazione. Supponiamo che converga uniformemente a
. Allora per ogni
esiste
tale che, per ogni
, si ha
(57)
Ma allora, per ogni e per ogni
, vale
(58)
Passando all’estremo superiore per il membro di sinistra, si ottiene
(59)
Viceversa, se per ogni esiste
per cui vale (56), allora in particolare per ogni
la successione
è di Cauchy, quindi per il teorema 3.13 converge a un numero reale
che definisce una funzione
.
Quindi
(60)
Facendo tendere nell’equazione sopra, si ottiene
(61)
Per l’arbitrarietà di ,
converge uniformemente a
.
Teoremi di convergenza.
Teoremi di convergenza: continuità e limiti.
In altre parole, la domanda 2.6 ha una risposta affermativa se cambiamo l’avverbio “puntualmente” in “uniformemente”.
Osservazione 3.20. Il teorema 3.19 mostra anche che, se le sono continue e
non lo è,
non può convergere uniformemente a
. Ciò costituisce un criterio per mostrare che una successione non converge uniformemente.
Dimostrazione del teorema 3.19. Sia un punto di accumulazione di
e consideriamo una successione
che converga a
. Per provare il teorema occorre mostrare che
(62)
Utilizzando la disuguaglianza triangolare, abbiamo
(63)
Fissiamo ora ; l’idea della dimostrazione è di stimare dall’alto i tre termini nel membro di destra della (63) per ottenere che
per
sufficientemente grande.
Per la convergenza uniforme, esiste tale che
(64)
Fissiamo quindi ; si ha quindi
(65)
Poiché è una funzione continua, esiste
tale che
(66)
Allora, utilizzando (65) e (66) in (63) con , si ottiene che
(67)
che prova la conclusione.
Rimandiamo alla sezione 4, e in particolare alla proposizione 4.25 per la riformulazione del teorema appena dimostrato nel contesto degli spazi metrici.
Ci si può chiedere se anche per la domanda 2.8 accada qualcosa di simile alla domanda 2.6 richiedendo la convergenza uniforme al posto di quella puntuale.
Domanda 3.21. Sia una successione di funzioni (non necessariamente continue) che converga uniformemente a una funzione
e sia
un punto di accumulazione di
. Si può affermare che vale l’uguaglianza
(68)
La risposta in questo caso è affermativa. Infatti, il seguente risultato, che è una generalizzazione del teorema 3.19, afferma la possibilità di scambiare i limiti, qualora le quantità in gioco esistano.
(69)
Dimostrazione. La dimostrazione si basa su una variazione dell’argomento mostrato nella dimostrazione del teorema 3.19. Chiamiamo
(70)
La tesi è equivalente a dimostrare che il limite esiste e che vale
(71)
- Caso 1: Esiste
tale che
per ogni
A meno di troncare i primi
elementi della successione
, possiamo supporre che tutti i numeri
siano finiti.
Dimostriamo prima che
è una successione di Cauchy, quindi convergente per il teorema 3.13. Infatti, sia
; poiché la successione
converge uniformemente, per la proposizione 3.18
(72)
Ciò prova che la successione
è di Cauchy, per cui converge a un numero reale
.
Dimostriamo ora che vale la (71). A tal fine, consideriamo
una successione di elementi di
convergente a
. La tesi è provata se si dimostra che
(73)
Per la disuguaglianza triangolare si ha
(74)
Fissiamo ora
e stimiamo dall’alto i tre termini nel membro di destra della (74) per ottenere che
per
sufficientemente grande.
Per la convergenza uniforme e per la convergenza
, esiste
tale che
(75)
Fissiamo quindi
; per definizione di
, esiste
tale che
(76)
Utilizzando (75) e (76) in (74) con
si ottiene che
(77)
che prova la conclusione.
- Caso 2: esiste una sottosuccessione tale che
per ogni
.
Dimostriamo che allora esiste
tale che
per ogni
. Infatti, per la proposizione 3.18, per ogni
esiste
tale che
(78)
Si fissi
; poiché
, per ogni
esiste
tale che
(79)
(80)
Poiché
è arbitrario, ciò prova che
(81)
Quindi
esiste e vale
.
Occorre ora dimostrare la (71). Sia
una successione e consideriamo un qualunque numero reale
. Per convergenza uniforme, esiste
tale che
(82)
Poiché
, mandando
nella (82), si ottiene
, cioè
.
Poiché il caso
è analogo, ciò conclude la dimostrazione.
Proponiamo ora un’altra versione del teorema 3.22, molto utile nelle applicazioni.
(83)
Osservazione 3.24. Facciamo notare che il teorema 3.23 non è una semplice conseguenza del teorema 3.22, in quanto quest’ultimo richiede l’esistenza dei limiti , mentre nel teorema 3.23 non si ipotizza l’esistenza di alcun limite. L’esistenza del limite
è parte della tesi.
Ad esempio, la successione di funzioni
definite da
(84)
converge uniformemente alla funzione e soddisfa le ipotesi del teorema 3.23 ma non quelle del teorema 3.22, in quanto ognuna delle
non ha limite per
.
Dimostrazione del teorema 3.23. Per la disuguaglianza triangolare, per ogni si ha
(85)
Vogliamo stimare i due termini al membro di destra di tale disuguaglianza. Sia ; poiché
è continua in
e per la convergenza uniforme di
a
, esiste
tale che
(86)
(87)
cioè la (83).
Osservazione 3.25. Tale risultato, essendo una condizione necessaria per la convergenza uniforme, è utilizzabile come criterio per mostrare che una successione di funzioni non converge uniformemente a una funzione
. Infatti, consideriamo ad esempio il caso in cui
e che
sia continua in
; supponiamo di trovare una successione
che converga a
e tale che
(88)
oppure tale che non esista; il teorema 3.23 mostra allora che la
non converge uniformemente a
.
Esempio 3.26. Nell’esempio 3.4 si può mostrare che la convergenza non è uniforme considerando la successione .
(89)
converge puntualmente alla funzione , ma che la convergenza non è uniforme.
Rimandiamo alla sezione 5 per la soluzione.
Teoremi di convergenza: integrazione.
Contrariamente alla convergenza puntuale, la risposta a tali domande è affermativa, come mostra il seguente risultato.
(90)
Osservazione 3.29. Il teorema appena enunciato si potrebbe generalizzare considerando un insieme limitato e misurabile secondo Peano-Jordan e una successione
di funzioni integrabili secondo Riemann.
In realtà, la dimostrazione di quest’ultimo risultato si riconduce facilmente al caso del teorema 3.28, in quanto se è misurabile secondo Peano-Jordan, una funzione
si dice integrabile secondo Riemann se e solo se per ogni intervallo
la funzione
definita da
(91)
è integrabile e in tal caso si pone
(92)
Dimostrazione del teorema 3.28. Senza ledere la generalità possiamo supporre .
Per la disuguaglianza triangolare, per ogni suddivisione
(93)
dove con si sono indicate rispettivamente le somme superiori e inferiori di
relative alla suddivisione
. L’idea della dimostrazione è mostrare, stimando i tre termini al membro di destra della (93), che essi possono essere resi piccoli a piacere scegliendo opportunamente la suddivisione
e
.
Sia fissato .
Poiché
converge uniformemente a
, esiste
tale che
(94)
In particolare, poiché ogni è limitata (perché integrabile secondo Riemann), (94) prova che
è limitata. Occorre ora mostrare che essa è integrabile secondo Riemann.
Fissiamo quindi
; poiché
è integrabile, esistono
(95)
tali che la suddivisione
(96)
(97)
Mostriamo ora che si ha
(98)
Infatti, per ogni esiste
tale che
; Quindi
(99)
dove nella seconda disuguaglianza si è usata (94); da ciò si ricava
(100)
Poiché la disuguaglianza si ottiene scambiando i ruoli di
e di
nel ragionamento di sopra, e per l’arbitrarietà di
, risulta provata
(101)
Un ragionamento analogo dimostra la disuguaglianza per gli estremi inferiori in (98).
La (98) implica che
(102)
(103)
Inserendo (102), (97), e (103) in (93), si ottiene
(104)
Per l’arbitrarietà di , ciò prova che
è integrabile.
Per dimostrare la (90), basta osservare che, per la versione integrale della disuguaglianza triangolare si ha
(105)
Di nuovo l’arbitrarietà di implica la (90).
Osservazione 3.30. Come si può osservare, la gran parte della dimostrazione del teorema 3.28 serve a dimostrare l’integrabilità del limite. Se avessimo ipotizzato che le fossero continue, la dimostrazione sarebbe stata molto più breve. Infatti avremmo potuto concludere, grazie al teorema 3.19, che anche
sarebbe stata continua e quindi integrabile. La (90) si sarebbe ottenuta come sopra.
Osservazione 3.31. Nella dimostrazione del teorema 3.28 abbiamo usato l’ipotesi che l’intervallo fosse limitato, supponendo di poterci ridurre senza perdita di generalità al caso in cui
. Se, invece, l’intervallo non è limitato, non siamo più nel caso dell’integrale di Riemann vero e proprio e occorre riferirsi alla nozione di integrale improprio.
In tale fattispecie, non è detto che il limite sia integrabile in senso improprio. Inoltre, anche assumendo che il limite lo sia, il risultato di convergenza è falso e non si può passare al limite sotto il segno di integrale, come mostrano i seguenti esercizi, le cui soluzioni sono nella sezione 5.
(106)
Teoremi di convergenza: derivazione.
Domanda 3.34. Sia una successione di funzioni derivabili che converga uniformemente a una funzione
. Si può dire che
è derivabile? In caso affermativo, si può affermare che la successione delle derivate
converga almeno puntualmente? E in tal caso, si può affermare che il limite delle
è pari a
?
Esaminando gli esempi 2.18, 2.20 e 2.22 si può notare che, in tutti e tre i casi, la convergenza delle a
è in realtà uniforme e la si era in realtà già provata.
L’esempio 2.18 mostra che il limite uniforme di funzioni derivabili non è necessariamente derivabile. L’esempio 2.20 mostra che anche assumendo la derivabilità del limite uniforme, la successione delle derivate può non essere convergente. L’esempio 2.22 mostra che anche assumendo la convergenza uniforme delle a una funzione
derivabile e la convergenza puntuale delle
a una funzione
, si può avere
.
Per ottenere delle proprietà di passaggio al limite delle derivate, si devono fare delle ipotesi più forti sulla convergenza, come illustra il seguente risultato.
(107)
Allora esiste una funzione derivabile tale che
-
converge uniformemente a
;
-
.
Prima di dimostrare il teorema, facciamo alcune osservazioni.
Osservazione 3.36. Il teorema 3.35 afferma in sostanza che la convergenza uniforme delle derivate implica la convergenza uniforme delle funzioni e la derivabilità del limite. Si dice, in maniera piuttosto eloquente, che la convergenza delle derivate controlla quella delle funzioni.
Osservazione 3.37. Facciamo notare che il teorema 3.35 non assume alcuna ipotesi sulle derivate ; esso risulta pertanto un rafforzamento poco noto di quello generalmente proposto, in cui si richiede la continuità delle derivate
e la cui dimostrazione risulta piuttosto semplificata, come mostra l’esercizio 3.38.
Dimostrazione del teorema 3.35.
- Step 1:
converge uniformemente a una funzione
.
Sia
; Poiché la successione numerica
è di Cauchy e poiché la successione delle derivate
converge uniformemente a
, per la proposizione 3.18 esiste
tale che
(108)
Siano, quindi
soddisfacenti tali relazioni; poiché la funzione
è derivabile, possiamo applicare a essa il teorema di Lagrange e ottenere che per ogni
esiste
tale che
(109)
Poiché per la disuguaglianza triangolare si ha
(110)
unendo (109) e (110) si ottiene
(111)
Per la proposizione 3.18, la successione
converge uniformemente a una funzione
.
- Step 2:
è derivabile e
.
Fissiamo un punto
; per qualunque
, per la disuguaglianza triangolare abbiamo
(112)
Vogliamo stimare i tre termini al membro di destra. Fissiamo
; innanzitutto osserviamo che per un ragionamento analogo a quello appena fatto, ricordando la convergenza uniforme delle
e applicando il teorema di Lagrange, esiste
tale che, per ogni
e per ogni
si ha
(113)
(114)
dove
è il punto dato dal teorema di Lagrange. Quindi, per la proposizione 3.18, la successione di funzioni definita da
(115)
converge uniformemente in
; inoltre, per la convergenza uniforme delle
a
il limite uniforme delle
è la funzione
. Si ha quindi
(116)
Fissiamo ora
. Poiché
è derivabile in
, esiste
tale che
(117)
Unendo (112), (113), (114) e (117), si ottiene
(118)
Ciò mostra che
è derivabile in
e che
.
Suggerimento: usare il teorema fondamentale del calcolo integrale. Vedi sezione 5.
Osservazione 3.39. L’ipotesi di convergenza puntuale delle in un punto
nel teorema 3.35 è essenziale affinché la tesi sia vera: si consideri infatti la successione di funzioni
definita da
(119)
Osservazione 3.40. Nella dimostrazione del teorema 3.35 si è usato il fatto che il dominio delle
è limitato. Se
non è limitato possiamo solo concludere che
converge uniformemente a una funzione
sui sottoinsiemi limitati di
, e che
è una funzione derivabile la cui derivata è pari a
; in generale però, la convergenza di
ad
può non essere uniforme in
, come mostra il seguente esempio.
Esempio 3.41. Sia la successione di funzioni definita da (figura 5)
(120)
Figura 5: La funzione dell’esempio 3.41.
Dal momento che
(121)
converge uniformemente alla funzione
identicamente nulla. Se definiamo
(122)
converge alla funzione
identicamente nulla uniformemente sui sottoinsiemi limitati di
(e quindi puntualmente in
);
risulta essere una primitiva di
, ma la convergenza delle
a
non è uniforme su
dato che
(123)
Criteri di convergenza uniforme.
Siamo in grado di dare altre condizioni sufficienti su una successione di funzioni affinché la convergenza sia uniforme?
Criteri di convergenza uniforme: criteri di monotonia.
(124)
Si supponga inoltre che il limite puntuale della successione
sia continuo.
Allora converge uniformemente a
. Analogo risultato vale se la successione
è decrescente.
Osservazione 3.43. Poiché per ogni la successione
è crescente, il limite
esiste certamente; non è in generale vero che tale limite definisca una funzione
, in quanto in qualche punto esso potrebbe essere infinito; l’ipotesi di continuità del teorema, in virtù del teorema di Weiestrass, implica che
sia ovunque finita. Il fatto che
sia limitata è inoltre equivalente all’assunzione che le
siano equilimitate (definizione 3.57).
Dimostrazione del teorema 3.42. Supponiamo per assurdo che la convergenza non sia uniforme, cioè che esista , una successione crescente di numeri naturali
e una successione di punti
tali che
(125)
dove la prima uguaglianza segue dal fatto che per ogni si ha
, poiché la successione
è crescente.
Sempre per la monotonia della successione
, si ha
(126)
Poiché è compatto, a meno di passare ulteriormente a sottosuccessioni possiamo assumere che
. Fissiamo
; passando al limite per
nella (126), per la continuità di
e di
si ottiene
(127)
Poiché è arbitrario, ciò nega la convergenza puntuale delle
in
, che è assurdo.
È possibile mostrare un analogo risultato nel caso in cui valga la proprietà di monotonia delle funzioni rispetto ad
(nel teorema precedente si assume la monotonia rispetto ad
).
(128)
Supponiamo che converga puntualmente a una funzione
continua.
Allora la convergenza di
a
è uniforme. Vale un analogo risultato se le funzioni
sono decrescenti.
Dimostrazione. Sia . Poiché
è continua e
è chiuso e limitato, essa è uniformemente continua per il teorema di Heine-Cantor (teorema 3.51); allora esiste
tale che
(129)
Consideriamo una suddivisione di data da
(130)
e tale che per ogni
. Mostreremo la convergenza uniforme su ciascuno degli intervalli
; essendo questi intervalli in numero finito, ciò proverà la convergenza uniforme su
. Fissiamo quindi
.
Per la disuguaglianza triangolare, per ogni
e per ogni
, abbiamo
(131)
Vogliamo stimare uniformemente in i termini al membro di destra per ottenere la convergenza uniforme.
Per il primo termine osserviamo che, da , si ricava
; per (129) si ottiene
(132)
Per il secondo termine, poiché la successione converge puntualmente a
,
esiste
tale che
(133)
Per il terzo termine, sfruttando la monotonia delle , la disuguaglianza triangolare, la (133) e la (129), per ogni
si ha
(134)
Allora, sempre per la monotonia delle si ha
(135)
Inserendo la (132), la (133) e la (135) nella (131), si ottiene
(136)
Ciò mostra che converge uniformemente a
.
Esempio 3.45. La successione definita da
dell’esempio 2.4 converge puntualmente alla funzione
definita da
(137)
Poiché non è continua, il teorema 3.19 assicura che la convergenza non è uniforme.
Chiaramente, ciò implica che non si può applicare né il il teorema 3.42, né il teorema 3.44; infatti, nonostante per ogni la successione numerica
sia decrescente, e nonostante ognuna delle
sia crescente, il limite puntuale
non è continuo e questa è un’ipotesi essenziale in entrambi i teoremi.
Restringendo il dominio delle all’intervallo
si ricade nell’esempio 3.4 in cui si è mostrato che di nuovo la convergenza non è uniforme. Qui, anche se il limite puntuale
è continuo e ognuna delle
è crescente, le ipotesi dei teoremi 3.42 e 3.44 non sono soddisfatte in quanto l’intervallo
non è chiuso.
Se, invece, restringiamo ulteriormente l’intervallo considerando con
, sono soddisfatte le ipotesi di entrambi i teoremi e quindi la convergenza è uniforme, come si era già provato nell’esempio 3.4.
Criteri di convergenza uniforme: equicontinuità.
Supponiamo quindi che , consideriamo una successione di funzioni
che converga puntualmente a una funzione
.
Anche assumendo che le
e la
siano funzioni continue, come mostrato dall’esercizio 3.27, la convergenza uniforme non è garantita. Ricordiamo che nell’esercizio 3.27 si ha una successione di funzioni
definita da
(138)
che converge puntualmente, ma non uniformemente alla funzione .
La situazione non cambia richiedendo la continuità uniforme delle funzioni, in quanto sempre nell’esercizio 3.27 tutte le funzioni sono uniformemente continue, come ci apprestiamo a verificare. Per meglio fissare le idee ricordiamo la definizione di funzione uniformemente continua.
-
è monotona non decrescente;
-
;
- Si ha
(139)
Osservazione 3.47. Una funzione uniformemente continua è ovviamente continua. Infatti, si può tradurre la definizione 3.46 dicendo che è uniformemente continua se per ogni
, esiste
tale che
(140)
Osservazione 3.48. In altre parole, una funzione è uniformemente continua se la distanza tra e
è controllata solo dalla distanza tra
e
ed è indipendente dai particolari punti scelti (mentre per una semplice funzione continua questo controllo dipende in generale dai punti considerati).
Osservazione 3.49. Un modulo di continuità (che, per una determinata funzione, non è unico), in un certo senso “quantifica la continuità” della funzione ; infatti
è il valore massimo della distanza tra
e
, se
.
Se
è un modulo di continuità di
e
è un modulo di continuità della funzione
, la disuguaglianza
dice quindi in qualche modo che “
è più continua di
”, in quanto, a parità di distanza tra i punti nel dominio, i valori di
sono tra loro più vicini rispetto a quelli assunti da
.
Osservazione 3.50. Se è uniformemente continua, non esiste un suo unico modulo di continuità. Infatti, se
è un modulo di continuità per
, allora ogni funzione
risulta ovviamente essere un modulo di continuità per
.
Vale il seguente importante risultato.
Dal teorema 3.51 segue quindi che le funzioni dell’esercizio 3.27 sono uniformemente continue. Neanche questa condizione, quindi, è sufficiente a garantire la convergenza uniforme. Per risolvere la questione, possiamo chiederci cosa “va storto” in questo esempio, analizzando più da vicino le funzioni in questione. Chiamiamo quindi, per ogni
,
il modulo di continuità di
e cerchiamo di capire come essi si comportano al variare di
.
Si può osservare che, per ogni , vale
(141)
Ciò implica che
(142)
Traducendo queste informazioni, otteniamo che, pur essendo tutte le uniformemente continue, non vi è un unico modulo di continuità
adeguato a tutte le
; infatti un tale
dovrebbe soddisfare
per ogni
, e cioè
(143)
ma ciò contraddirebbe il fatto che .
In poche parole, la stima di continuità delle
degenera al crescere di
Analizziamo dallo stesso punto di vista l’esempio 2.4, dove non si ha convergenza uniforme e il limite puntuale non è continuo. Anche qui, chiamando i moduli di continuità delle funzioni
, si vede che essi degenerano al crescere di
: osservando la figura 4, intuitivamente si vede
rimane circa pari a
per un intervallo sempre più grande, e poi ha una variazione repentina che la porta ad ottenere
. Più precisamente, per ogni
si ha
(144)
e vale
(145)
Anche in questo esempio, quindi, non può esistere un modulo di continuità universale per tutte le
; infatti un tale
dovrebbe soddisfare
(146)
che di nuovo contraddirebbe il fatto che .
Anche in questo esempio, quindi, la continuità uniforme delle
degenera al crescere di
.
Ci si può chiedere se vi sia un legame tra la convergenza uniforme di una successione di funzioni e l’esistenza di un unico modulo di continuità per tutte le funzioni . Quest’ultima proprietà è talmente importante da meritare una definizione.
Osservazione 3.53. Si può tradurre la definizione 3.52 dicendo che è equicontinuo se per ogni
, esiste
tale che
(147)
Infatti, se è equicontinuo e
, basta scegliere
tale che
. Se invece per ogni
, esiste
per cui vale la (147), si può porre
(148)
Si può verificare per esercizio che risulta un modulo di continuità, chiaramente comune a tutte le funzioni in
.
Osservazione 3.54. Una famiglia finita di funzioni
uniformemente continue è chiaramente equicontinua; infatti, se
è un modulo di continuità per
, è facile verificare che la funzione
definita da
(149)
è un modulo di continuità per ognuna delle . Ciò è ovvio in quanto
per ogni
e per ogni
.
Ci possiamo ora chiedere se l’esistenza di uno stesso modulo di continuità per tutte le funzioni di una successione garantisca la convergenza uniforme. Più precisamente, ci poniamo la seguente domanda.
Domanda 3.55. Sia una successione di funzioni continue (e quindi uniformemente continue per il teorema 3.51) che convergono puntualmente a una funzione
. Se la successione
è equicontinua, si può dire che la convergenza è uniforme?
La risposta alla domanda è affermativa come mostrato dal seguente teorema; inoltre esso afferma che l’equicontinuità è una condizione equivalente alla convergenza uniforme. In un certo senso, quindi, l’equicontinuità cattura l’essenza della convergenza uniforme per le funzioni continue.
- Le funzioni
sono equicontinue;
-
converge uniformemente a
.
Dimostrazione.
- 1.
2.
Poiché le
sono equicontinue, sia
un modulo di continuità comune a tutte le
. Vogliamo dimostrare che la successione delle
soddisfa la proposizione 3.18. Sia allora
; poiché
soddisfa
, allora esiste
tale che
(150)
(151)
Sia allora
una sequenza di punti tali che
(152)
Poiché
converge puntualmente a
, esiste
tale che
(153)
Siano quindi siano
. Per qualunque
si ha ovviamente
per qualche
. Per la disuguaglianza triangolare, la (151), la (152) e la (153) si ha
(154)
Per la proposizione 3.18, allora
converge uniformemente a una funzione, che chiaramente corrisponde a
per l’ipotesi di convergenza puntuale e la proposizione 3.10.
- 2.
1.
Supponiamo per assurdo che la successione
non sia equicontinua; per l’osservazione 3.53, esiste
tale che, per ogni
esistono dei punti
e
tali che
(155)
Poiché per l’osservazione 3.54 una famiglia finita di funzioni uniformemente continue è equicontinua,
non è superiormente limitato. Senza perdita di generalità, quindi, a meno di passare ulteriormente a una sottosuccessione, si può supporre che la funzione
(156)
sia crescente. Poiché
è chiuso e limitato, per il teorema di Bolzano-Weiestrass esiste una ulteriore sottosuccessione (che per semplicità di notazione indichiamo sempre con
) e dei punti
tali che
(157)
e inoltre
per la prima disuguaglianza in (155). Poiché la convergenza è uniforme,
è continua e, applicando il teorema 3.23 alle successioni
e
, si ha
(158)
ma ciò contraddice la seconda disuguaglianza in (155).
Criteri di convergenza uniforme: Il teorema di Ascoli-Arzelà.
Per provare a mantenere il parallelo tra successioni numeriche e successioni di funzioni, dobbiamo innanzitutto chiarire cosa intendiamo per successione limitata e in che senso intendiamo la convergenza. Diamo quindi la seguente definizione.
(159)
In altre parole, una successione di funzioni è equilimitata se le sono limitate dallo stesso numero reale
.
Ora che abbiamo definito la nozione di limitatezza, possiamo chiederci se e in quale senso valga il parallelo tra successioni numeriche e successioni di funzioni riguardo la limitatezza e la convergenza. Cominciamo col chiederci se una successione convergente è necessariamente equilimitata.
Domanda 3.58. Sia e una successione di funzioni
limitate convergente puntualmente a una funzione
limitata. Si può affermare che le
sono equilimitate? E se la convergenza è uniforme?
La prima domanda ha risposta negativa, come mostra l’esempio 2.13: la successione converge puntualmente alla funzione nulla, le
sono singolarmente limitate, ma non equilimitate in quanto
(160)
Richiedendo invece la convergenza uniforme, la risposta alla domanda diventa affermativa, come mostra la seguente proposizione.
Dimostrazione. Poiché ogni famiglia finita di funzioni limitate è equilimitata (basta considerare il massimo tra gli estremi superiori), è sufficiente dimostrare che esiste e
tale che
(161)
Per la proposizione 3.18, scegliendo , esiste
tale che
(162)
Fissiamo . Poiché
è limitata, esiste
tale che
(163)
Le (163) e (162) implicano che
(164)
cioè l’equilimitatezza delle .
Chiediamoci ora se per le successioni di funzioni vale un analogo del teorema di Bolzano-Weierstrass. Precisamente, analizziamo la seguente questione.
Domanda 3.60. Sia e sia
una successione di funzioni equilimitate. Esiste una funzione
e una sottosuccessione
che converga uniformemente o almeno puntualmente a
?
La risposta è negativa, anche se si suppone la continuità delle , come mostrato dal seguente esercizio, per la cui soluzione rimandiamo alla sezione 5.
(165)
Provare che ogni sua sottosuccessione non converge puntualmente.
La conclusione di questo esercizio mostra che l’analogo del teorema di Bolzano-Weiestrass non vale sotto la sola ipotesi di equilimitatezza della successione di funzioni. Occorre aggiungere ulteriori condizioni alla successione per garantire l’esistenza di una sottosuccessione convergente. La condizione giusta risulta essere proprio l’equicontinuità, come mostra il notevole risultato dovuto ai matematici italiani Giulio Ascoli (1843 — 1896) e Cesare Arzelà (1847 — 1912). Per dimostrarlo, però, premettiamo il seguente utile lemma, noto come procedura diagonale e che costituisce una generalizzazione del teorema di Bolzano-Weiestrass.
Osservazione 3.63. Se le ipotesi del lemma 3.62 sono verificate, il teorema di Bolzano-Weiestrass implica che per ogni fissato, la successione
ammette un’estratta convergente. La successione estratta dipende, ovviamente, dal particolare
fissato. Il lemma 3.62 afferma invece che esiste un’estratta fissata
per cui ognuna delle successioni
sia convergente.
Prima di procedere con la dimostrazione formale, è conveniente spiegare euristicamente l’idea sottostante. Essa consiste nel formare per ricorrenza una matrice infinita, in modo che sulla riga ci sia una sottosuccessione di
estratta da quella presente alla riga
, scelta in modo che sia convergente se valutata su
. La sottosuccessione costruita considerando la diagonale di tale matrice risulta essere un’estratta di ognuna delle sottosuccessioni nelle righe e quindi è convergente se valutata su ognuno dei
. Per una visualizzazione di tale idea, si veda l’osservazione 3.64.
Dimostrazione del lemma 3.62. Ci accingiamo a definire per ricorrenza. Poiché la successione
è limitata, esiste una sua estratta
convergente a un numero reale che chiamiamo
. Poniamo
(166)
Successivamente, supponiamo definita la successione ,
e
e consideriamo la successione
.
Poiché anch’essa è limitata, esiste una sua estratta
convergente a un numero reale
.
Poniamo quindi
.
Poiché la successione
è un’estratta della successione
, si ha
(167)
e ciò prova che la funzione è strettamente crescente. Per il modo in cui è stata costruita la funzione
, per ogni
la successione
è un’estratta della successione
. Per tale ragione si ha
(168)
Osservazione 3.64. Come è stato già anticipato, il lemma 3.62 è detto procedura diagonale in quanto possiamo immaginare di disporre le varie successioni in una sorta di matrice infinita dove, nella riga , la sottosuccessione
scelta è estratta dalla sottosuccessione
della riga superiore, e la funzione
è costruita scegliendo l’estratta determinata dalla “diagonale principale” della matrice.
(169)
Possiamo ora enunciare e dimostrare il teorema di Ascoli-Arzelà.
- le funzioni
sono equilimitate e equicontinue;
- da ogni sottosuccessione
se ne può estrarre una convergente uniformemente.
Dimostrazione.
- 1.
2.
Supponiamo che le
siano equilimitate dalla costante
ed equicontinue, e scegliamo quindi un loro modulo di continuità
. Per mostrare l’implicazione basta dimostrare che
possiede un’estratta convergente: infatti, una volta provato ciò, è sufficiente applicare questo risultato a una qualunque sottosuccessione
.
Sia
una funzione biunivoca; indicando con
il valore
,
risulta una successione che assume una sola volta tutti i valori razionali appartenenti all’intervallo
. Ciò è possibile in quanto i numeri razionali formano un insieme detto numerabile, cioè in corrispondenza biunivoca con i numeri naturali. Una tale successione
è detta una enumerazione dei razionali.
Poiché le funzioni
sono equilimitate, possiamo applicare il lemma 3.62 e ottenere l’esistenza di una sottosuccessione
e di una funzione
(cioè definita su ognuno dei
) per cui si abbia
(170)
In altre parole,
è il limite puntuale della successione di funzioni
sull’insieme
, cioè sui razionali appartenenti all’intervallo
. Dimostriamo ora che la successione
converge puntualmente su
. Per alleggerire la notazione, supponiamo che
(171)
Sia quindi
; vogliamo provare che la successione
è di Cauchy. Sia quindi
; per ogni
, per la disuguaglianza triangolare si ha
(172)
L’idea consiste nello stimare i termini del membro di destra della (172). Sia quindi
tale che
; per la densità di
in
, fissiamo
tale che
(173)
Poiché
è un modulo di continuità per tutte le
si ha
(174)
D’altra parte, poiché
è convergente, essa è di Cauchy e quindi esiste
tale che
(175)
Inserendo (174) e (175) in (172), si ottiene
(176)
che prova che la successione
è di Cauchy. Per tale ragione essa converge a un numero reale che indichiamo con
. In tal modo, risulta definita la funzione
tale che
(177)
è quindi il limite puntuale della successione
(che, lo si ricorda, corrisponde in realtà alla successione
, cf. (171)). Il teorema 3.56 implica che la convergenza è uniforme.
- 2.
1.
Se da ogni sottosuccessione
se ne può estrarre una uniformemente convergente, supponiamo per assurdo che
non sia equilimitata; supponiamo cioè che per ogni
esista
e
tale che
(178)
A meno di definire
in modo tale che
, otteniamo una sottosuccessione
di
e, a meno di passare ulteriormente a una sottosuccessione, per l’ipotesi possiamo supporre che
converge uniformemente a una funzione
. Poiché le funzioni
sono tutte limitate, in quanto sono funzioni continue un intervallo chiuso e limitato, la proposizione 3.59 implica che la successione
è equilimitata, che contraddice (178).
Supponiamo ora per assurdo che la successione
non sia equicontinua. Allora, per l’osservazione 3.53, esiste
tale che, per ogni
, esistono
e
tali che
(179)
A meno di definire
in modo tale che
, otteniamo una sottosuccessione
di
e, a meno di passare ulteriormente a una sottosuccessione, per l’ipotesi possiamo supporre che
converge uniformemente a una funzione
. Per il teorema 3.56, la successione
è equicontinua, ma ciò contraddice la (179).
Gli spazi normati
e 
Introduzione.
Questa idea è così utile che diviene il concetto centrale della cosiddetta Analisi funzionale, la branca dell’Analisi Matematica che si occupa dello studio dei vari spazi di funzioni, delle loro proprietà e delle relazioni tra essi.
Noi esamineremo solo qualcuno di questi spazi di funzioni, e cioè quelli relativi alla convergenza uniforme di successioni di funzioni.
A tal fine, cominciamo col definire precisamente il concetto di distanza e di spazio metrico. Durante il corso di questa sezione, se non diversamente specificato, denota un sottoinsieme di
.
Spazi metrici e normati.
-
se e solo se
;
- Simmetria: per ogni
si ha
;
- Disuguaglianza triangolare:
(180)
Esempio 4.2. Se, come anticipato nell’introduzione, definiamo la funzione
(181)
essa risulta una distanza su (verificarlo per esercizio), per cui la coppia
risulta uno spazio metrico.
Esempio 4.3. La naturale estensione dell’esempio precedente è la funzione
(182)
che risulta essere una distanza su ; cioè la coppia
è uno spazio metrico.
È possibile parlare di successioni convergenti in uno spazio metrico, che è l’estensione dello stesso concetto per successioni di numeri reali.
(183)
è detto limite della successione
e si scrive
(184)
Osservazione 4.5. Il limite di una successione in uno spazio metrico, se esiste, è unico. Infatti, siano limiti della successione
. Allora per ogni
, dato
per cui vale (183), si ha
(185)
Per l’arbitrarietà di , si ha
e dalla proprietà 1 della definizione 4.1, si ottiene
.
Su uno spazio vettoriale reale (o complesso), è possibile definire una norma, che è intuitivamente un modo per misurare le lunghezze dei vettori.
-
se e solo se
;
- 1-omogeneità: per ogni
e per ogni
, si ha
(186)
- per ogni
vale la disuguaglianza triangolare:
(187)
Se è una norma su
, la coppia
si dice uno spazio normato.
Esempio 4.7. Con riferimento agli esempi 4.2 e 4.3, la funzione
(188)
è una norma su .
La situazione descritta nel precedente esempio non è una mera coincidenza, infatti ci si può aspettare che i concetti di distanza su un insieme e di norma su uno spazio vettoriale siano collegati: una norma su permette di definire una distanza tra i punti di esso, definita come la lunghezza della traslazione che porta uno nell’altro, come mostra la seguente proposizione.
(189)
è una distanza, detta distanza indotta dalla norma .
Dimostrazione. Occorre verificare che soddisfa le 3 proprietà richieste dalla definizione 4.1. La proprietà 1 è una banale conseguenza della proprietà 1 della definizione 4.6. Per quanto riguarda la simmetria, si ha
(190)
dove l’ultima uguaglianza è dovuta alla condizione 2 sulle norme. Riguardo la 3, si ha
(191)
dove si è usata la proprietà 3 della definizione 4.6.
Osservazione 4.9. Il viceversa della proposizione 4.8 non è in generale vero: esistono cioè distanze su spazi vettoriali che non sono indotte da alcuna norma, come mostra il prossimo esempio.
Esempio 4.10 Sia e sia
la funzione definita da
(192)
Per provare che è una distanza, verifichiamo che essa soddisfa le condizioni della definizione 4.1:
-
se e solo se
;
-
per ogni
per la simmetria del valore assoluto;
- Per ogni
si ha
(193)
dove la prima disuguaglianza segue dalla disuguaglianza triangolare per il valore assoluto e dal fatto che la funzione
è crescente e la seconda disuguaglianza segue dal fatto che la funzione
è concava (oppure si può dimostrare semplicemente elevando al quadrato i due membri).
Quindi è una distanza su
. Per dimostrare che essa non è indotta da alcuna norma, proviamo che essa non è
-omogenea, cioè che una tale norma non potrebbe soddisfare la condizione 2 della definizione 4.1. Infatti, supponiamo per assurdo che esista una norma
che induca
; allora, per la proposizione 4.8, essa sarebbe definita da
. Ma allora si avrebbe
(194)
che contraddice la condizione 2 della definizione 4.6. Da tale assurdo segue che non è indotta da alcuna norma.
Gli spazi delle funzioni limitate.
(195)
lo spazio vettoriale delle funzioni limitate su con le usuali operazioni di somma e prodotto per uno scalare.
Osservazione 4.12. Si può fare lo stesso discorso anche se per
.
Si può dotare lo spazio di una norma, detta norma infinito o uniforme.
(196)
viene detta norma infinito o norma uniforme della funzione .
La distanza che, per la proposizione 4.8, tale norma induce su
è detta distanza infinito e si denota con
.
Osservazione 4.14. Poiché ogni è limitata, la quantità
risulta ben definita.
Il fatto di averla chiamata norma è giustificato dalla seguente proposizione, la cui dimostrazione è lasciata come esercizio per il lettore.
Abbiamo introdotto la distanza infinito su perché essa è precisamente la distanza che induce la convergenza uniforme, come chiarisce la seguente proposizione. Ciò giustifica il nome di norma uniforme.
Dimostrazione. Si ha
(197)
Per definizione, converge uniformemente a
se e solo se l’ultima quantità tende a
per
. Ma ciò è equivalente al fatto che
(198)
cioè è equivalente alla convergenza della successione a
in
.
Osservazione 4.17. Cosa si può dire riguardo alla convergenza puntuale? Si può dimostrare che non è possibile definire una distanza su
in modo che valga un analogo della proposizione 4.16 per la convergenza puntuale. In altre parole, la convergenza puntuale non è indotta da una distanza. Per una dimostrazione rimandiamo a e [2, IX.7.1]
Un sottospazio di di particolare importanza è costituito dalle funzioni continue e limitate su
.
Osservazione 4.19. Poiché è un sottospazio di
, allora la norma infinito è una norma anche su
.
Essendo spazi vettoriali normati, per la proposizione 4.8 sia che
sono spazi metrici.
Successioni di Cauchy e completezza.
(199)
Tra gli spazi metrici, una classe importante è costituita dagli spazi metrici completi. Il concetto di completezza è un’estensione della nozione di completezza di e infatti, come ci accingiamo a vedere, esso è perfettamente analogo al criterio di Cauchy per le successioni di numeri reali.
Esempio 4.22. Lo spazio metrico definito nell’esempio 4.2 è uno spazio metrico completo per il teorema 3.13.
Esempio 4.24. Lo spazio metrico è completo per la proposizione 3.18.
Osserviamo come la continuità del limite uniforme di una successione di funzioni continue stabilita dal teorema 3.19 possa essere riformulata nel linguaggio degli spazi metrici.
Dimostrazione. Sia una successione di Cauchy in
. Allora ognuna delle
è una funzione continua e limitata su
. Per il criterio di Cauchy per la convergenza uniforme dato dalla proposizione 3.18,
converge uniformemente a una funzione
che risulta continua per il teorema 3.19 e limitata (proposizione 3.59).
Per la proposizione 4.16, la successione converge a
nello spazio metrico
, che risulta quindi completo.
(Equi)limitatezza di funzioni.
(200)
Passiamo ora alla definizione di insieme limitato.
(201)
In maniera analoga si dice che una successione di elementi di
si dice limitata se se esiste
e
tale che
(202)
Osservazione 4.28. Se è limitato, cioè se esiste
e
che soddisfano la definizione 4.27, allora per ogni
vi è una palla centrata in
contenente
, infatti
(203)
Data questa definizione, la discussione sull’equilimitatezza fatta all’inizio della sezione 3.3.3 si può riformulare nel seguente modo.
Dimostrazione. La successione è equilimitata se e solo se esiste
tale che
(204)
Ciò è equivalente a dire che
(205)
dove denota la funzione identicamente nulla su
. A sua volta, questo è equivalente a
(206)
dove la palla è intesa nella distanza di
.
Negli spazi metrici vale il risultato, analogo del caso , che afferma la limitatezza di una successione convergente.
Dimostrazione. Sia . Per definizione di limite, esiste
tale che
(207)
Definiamo ora
(208)
Per (207) si ha
(209)
Osservazione 4.31. La proposizione 3.59, che afferma l’equilimitatezza di una successione uniformemente convergente, può essere quindi vista come una semplice conseguenza delle proposizioni 4.29 e 4.30.
Compattezza di funzioni continue e limitate.
Osservazione 4.33. Il teorema di Bolzano-Weiestrass si può quindi riformulare dicendo che una successione in
limitata è relativamente compatta.
Una estensione del teorema di Bolzano-Weiestrass è il seguente risultato, la cui dimostrazione è lasciata per esercizio.
-
è limitato;
-
è relativamente compatto.
Osservazione 4.36. Il teorema di Bolzano-Weierstrass corrisponde all’implicazione nel caso in cui
e
è costituito da una successione.
L’esercizio 3.61 mostra quindi che un analogo del teorema di Heine-Borel non è valido per qualunque spazio metrico, in particolare se . In altre parole, non tutte le successioni limitate in
possiedono estratte convergenti.
Abbiamo però visto col teorema 3.65 che, aggiungendo alla limitatezza l’ipotesi di equicontinuità, si ottiene l’esistenza di estratte convergenti. Possiamo quindi riformulare il teorema di Ascoli-Arzelà nella seguente forma.
-
è limitato in
e equicontinuo;
è relativamente compatto in
.
Esercizi
Svolgimento esercizio 2.5.
(210)
Svolgimento esercizio 3.5.
(211)
Poiché il limite puntuale delle è la funzione
identicamente nulla (come mostrato nell’esercizio 2.5), otteniamo
(212)
per cui la convergenza non è uniforme.
Svolgimento esercizio 3.6.
(213)
Per ogni si ha quindi
(214)
Ciò dimostra la convergenza uniforme delle alla funzione
identicamente nulla.
Svolgimento esercizio 3.12.
Ciò dimostra la convergenza puntuale alla funzione . Per quanto riguarda la convergenza uniforme, osserviamo che
(215)
Ciò vuol dire che non converge a
per
, quindi la proposizione 3.7 implica che la convergenza non è uniforme. In virtù della proposizione 3.10, la successione
non converge uniformemente a nessuna funzione.
Per quanto riguarda l’ultima asserzione, essa si può dimostrare osservando che per ogni la funzione
è crescente, per cui, se
, si ha
(216)
dove l’ultimo limite vale per la convergenza puntuale delle a
. Di nuovo per la proposizione 3.7, si ha che
converge uniformemente a
su
.
Svolgimento esercizio 3.27.
(217)
quindi converge puntualmente alla funzione
.
Si consideri la successione
. Si ha
(218)
Per il teorema 3.23, la convergenza non è uniforme.
Svolgimento esercizio 3.32.
(219)
dove, se ,
denota la funzione caratteristica dell’insieme
, cioè
(220)
Figura 6: la funzione definita in (219).
Per come è definita, la funzione è integrabile e si ha
(221)
Mostriamo che la successione delle converge uniformemente alla funzione
definita da
(222)
(notare che per ogni vi è un solo
per cui
, quindi la convergenza della serie è assicurata).
Infatti si ha
(223)
Tuttavia per ogni si ha
(224)
Ciò prova che non esiste e quindi
non risulta integrabile in senso improprio.
Svolgimento esercizio 3.33.
(225)
Essa converge uniformemente alla funzione identicamente nulla, infatti
(226)
D’altra parte,
e quindi non si verifica la convergenza degli integrali.
Svolgimento esercizio 3.38.
(227)
Per il teorema fondamentale del calcolo è derivabile in
e vale
(228)
Occorre pertanto mostrare solo la convergenza uniforme delle a
.
A tal fine, si consideri
; poiché
converge uniformemente a
e
esiste
tale che
(229)
Si fissi un tale ; per la disuguaglianza triangolare e per ogni
, si ha
(230)
Ciò mostra la convergenza uniforme delle a
.
Svolgimento esercizio 3.61.
Figura 7: la funzione dell’esercizio 3.61.
La generica funzione è rappresentata nella figura 7. Per dimostrare che essa non possiede sottosuccessioni convergenti puntualmente, consideriamo una sua qualunque sottosuccessione
; vogliamo estrarre da essa una opportua ulteriore sottosuccessione
e trovare un punto
tale che il limite
non esista. Il punto
sarà ottenuto come limite di una successione
: informalmente, l’idea è di scegliere
ricorsivamente tale che
(231)
in modo che sia vicino al valore
per ogni
. Ciò dimostrerà che la successione
non è convergente.
Per semplicità di notazione, si illustrerà l’argomento per la sottosuccessione , ma sarà chiaro che esso può essere ripetuto per qualunque sottosuccessione
, in quanto ogni passaggio della costruzione ricorsiva dipenderà solo dalla possibilità di scegliere
sufficientemente grande rispetto a
.
Un’osservazione semplice, ma fondamentale, è la seguente: se oppure
, allora
per ogni
. Ciò segue chiaramente dalla definizione delle
.
Si definisce ,
e
(232)
dove l’ultima uguaglianza segue dall’osservazione fondamentale.
Una volta definito , si sceglie
tale che
(233)
e
Si pone
(234)
Poiché per l’osservazione fatta all’inizio si ha , otteniamo
(235)
La successione risulta di Cauchy; infatti, se
, si ha
(236)
Quindi esiste tale che
; (236) implica anche che
(237)
Poiché per ogni
soddisfa
(238)
otteniamo
(239)
dove per l’ultima disuguaglianza abbiamo usato (237). Otteniamo quindi
(240)
Tali relazioni dimostrano quindi che la successione non è convergente, poiché possiede due estratte convergenti a limiti diversi (
e
).
Appendice A: Misura di unioni finite di intervalli
Leggi...
In alcune dimostrazioni dei risultati che seguono (in particolare nella costruzione dell’esempio B.2 e nella dimostrazione del teorema 2.16) abbiamo bisogno di tale concetto di misura di un insieme.
Non tratteremo però il concetto di misura nella sua generalità poiché esso esula dagli scopi di questa dispensa (rimandando il lettore a testi specifici sull’argomento) e preferiamo restringerci al caso particolare di insiemi costituiti da una unione finita di intervalli, sostanzialmente per due ragioni:
- Essi costituiscono una cosiddetta algebra: complementari, unioni e intersezioni finite di insiemi costituiti da unioni finite di intervalli sono ancora costituiti da unioni finite di intervalli. Quindi, anche trattando solo questo caso particolare, siamo in grado di “misurare” complementari, unioni e intersezioni finite di insiemi.
- Tale famiglia di insiemi è sufficiente a concludere le dimostrazioni dei risultati di cui abbiamo bisogno.
(241)
Si può verificare che tale definizione non dipende dalla decomposizione di in intervalli disgiunti scelta. Inoltre la misura appena definita soddisfa alcune semplici proprietà, riportate nel seguente risultato.
Dimostrazione.
- È una conseguenza immediata della definizione A.1;
- Sia
e
e supponiamo
. Allora
(242)
dove la disuguaglianza deriva dal fatto che gli intervalli
sono disgiunti e l’ultima uguaglianza dal fatto che
.
- Se
e
, allora si può trovare una decomposizione di
in un numero finito di intervalli
e un numero
tali che
(243)
(basta scegliere tre decomposizioni di
e definire gli
come le intersezioni possibili degli intervalli che le compongono, e poi eventualmente riordinarli). Da ciò si ottiene
(244)
Appendice B: Una funzione non integrabile
Leggi...
Premettiamo alla costruzione il prossimo utile lemma, che afferma che l’intersezione di una famiglia decrescente di chiusi e limitati non vuoti è non vuota.
(245)
Dimostrazione. Chiamiamo . Per ogni
scegliamo
; poiché
è chiuso e limitato e per ogni
si ha
, per il teorema di Bolzano-Weierstrass possiamo assumere che
(a meno di passare a una sottosuccessione) converga a
. Poiché per ogni
si ha
(246)
e poiché è chiuso, otteniamo
(247)
Ciò dimostra che , che risulta quindi non vuoto.
Possiamo quindi esibire una successione di funzioni continue che converge puntualmente a una funzione non integrabile secondo Riemann.
Esempio B.2 (limite puntuale di funzioni continue non integrabile). La costruzione è suddivisa in vari step.
- Costruzione della successione
e dell’insieme
.
Consideriamo la successione di funzioni
definita, per
, da
(248)
dove
è definito ricorsivamente:
(249)
In altre parole,
è ottenuto sottraendo da ognuno degli intervalli costituenti
un intervallo aperto centrale di ampiezza pari a
. Per un certo
fissato, fa funzione
vale
su
e decresce linearmente al valore
, assunto nei punti aventi distanza da
maggiore o uguale a
. In particolare, poiché la funzione distanza da un insieme è continua (è 1-Lipschitziana) e il massimo tra due funzioni continue è continuo, ogni funzione
è continua, quindi integrabile.
Si vede che per ogni
, la successione
è decrescente e ciò implica che esiste il limite
, che è per definizione il limite puntuale della successione
calcolato nel punto
.
Definiamo l’insieme
come l’intersezione di tutti gli
:
(250)
-
è non vuoto
Per come è definito, si ha
, dove
è una successione decrescente di chiusi e limitati non vuoti. Applicando il lemma B.1 con
, si ottiene
.
-
è la funzione caratteristica di
Affermiamo che
è la funzione caratteristica dell’insieme
:
(251)
Infatti, chiaramente
per ogni
, visto che
per ogni
e
per ogni
.
D’altra parte, se
, allora esiste
tale che
. Dato che
è compatto, esiste
tale che
(252)
Inoltre, poiché per ogni
vale
, si ha
(253)
Per ogni
tale che
, per definizione delle
si ha allora
; poiché la successione
è definitivamente nulla, si ha
.
-
non è integrabile secondo Riemann.
Affermiamo ora che la funzione
non è integrabile secondo Riemann. Poiché l’insieme
non contiene nessun intervallo (provarlo per esercizio), per ogni suddivisione
dell’intervallo
la somma inferiore
di
su
è nulla.
Per quanto riguarda le somme superiori, vogliamo dimostrare che per ogni suddivisione
di
, si ha
, che proverebbe appunto la non integrabilità di
.
Si consideri quindi una suddivisione
dell’intervallo
definita da
(254)
Scegliamo un
e chiamiamo, per ogni
,
(255)
Gli intervalli aperti
sono degli “allargamenti” degli
in modo che la lunghezza totale aggiunta sia pari a
.
Abbiamo quindi la seguente stima per la somma superiore
di
relativa a
:
(256)
dove con
si indica la misura dell’intervallo
che, come nella definizione A.1, è pari alla differenza tra i suoi estremi:
. Definendo l’insieme
(257)
si ha
(258)
(dove
è la distanza tra i due insiemi
, definita nella sezione Notazioni) poiché l’insieme
ricopre
. Ma allora, poiché
, si ha
(259)
Poiché per ogni
è costituito da un’unione finita di intervalli chiusi la cui somma delle lunghezze è pari a (verificarlo per esercizio)
(260)
(dove
qui indica la somma delle lunghezze degli intervalli che costituiscono l’insieme
, cioè la misura di
data dalla definizione A.1), da (259) si ottiene
(261)
Unendo (256) e (261), si ottiene.
(262)
Per l’arbitrarietà di
, si ottiene
(263)
che appunto implica la non integrabilità di
secondo Riemann.
Osservazione B.3. La parte della costruzione in cui si mostra che non è strettamente necessaria. Infatti, successivamente viene provato che la funzione caratteristica di
non è integrabile, e ciò in particolare implica che
non è vuoto, altrimenti si avrebbe
che è addirittura continua. Abbiamo però inserito la dimostrazione diretta di quel punto in quanto la riteniamo istruttiva e applicabile anche in altri contesti.
Osservazione B.4. L’insieme definito nel precedente esempio è un cosiddetto fat Cantor set, in quanto la sua costruzione è modellata sulla base del famoso insieme di Cantor. L’aggettivo fat è dovuto al fatto che, differentemente dal classico insieme di Cantor, l’insieme
costruito sopra ha misura di Lebesgue positiva. In termini euristici, ciò può essere spiegato notando che, come si può intuire dalla dimostrazione di sopra, un qualsiasi insieme aperto che ricopra
ha una somma delle lunghezze dei suoi intervalli maggiore o uguale a
.
Chiaramente tali nozioni non possono essere discusse in dettaglio in quanto esulano dagli scopi della presente dispensa.
Appendice C: il teorema di convergenza dominata di Arzelà
Introduzione.
Risultati preliminari.
Osservazione C.2. Si può facilmente verificare che la definizione C.1 è equivalente alla seguente: un insieme si dice aperto se per ogni
, esiste un intervallo aperto
tale che
.
Il primo risultato che presentiamo consiste nell’ottenere una scrittura di ogni insieme aperto come unione di una famiglia al più numerabile (cioè finita o in corrispondenza biunivoca con i numeri naturali) di intervalli aperti disgiunti.
(264)
Osservazione C.4. È importante notare che la parte interessante del lemma C.3 consiste nell’aggettivo disgiunti. Infatti, è facile dimostrare che un qualsiasi intervallo aperto è unione al più numerabile di intervalli aperti con estremi razionali. Poiché tali intervalli costituiscono un insieme numerabile (in quanto tali sono i numeri razionali), l’enunciato seguirebbe facilmente.
Come ulteriore osservazione sul lemma, si noti che esso è falso in per
: un insieme costituito dall’unione di palle aperte non può in generale essere scritto come unione al più numerabile di palle disgiunte. Il lettore può cercare degli esempi per esercizio.
Dimostrazione del lemma C.3. L’idea della dimostrazione consiste nel considerare una famiglia di intervalli la cui unione dà
e nell’unire tutti gli intervalli che sono collegati con altri intervalli in
in modo da formare degli intervalli più grandi che risultino disgiunti e in quantità numerabile.
- Costruzione della famiglia
Sia
un insieme qualsiasi i cui elementi siano intervalli tali che
(265)
Dati
, diciamo che
e
sono collegati se, esistono un numero finito di intervalli
tali che
(266)
dove abbiamo posto
e
. Gli intervalli
sono detti una serie di collegamento di
e
. In altre parole,
e
sono collegati se esiste una successione finita di elementi di
a due a due non disgiunti che porti da
a
.
Si vede facilmente che ogni intervallo
è collegato a sé stesso, che se
e
sono collegati e
e
sono collegati, allora
e
sono collegati. Ciò mostra che la proprietà di essere collegati è una cosiddetta relazione di equivalenza.
Sia
e consideriamo l’insieme
definito da
(267)
Dati
, dalle proprietà della relazione di essere collegati, si ha subito che
se e solo se
e
sono collegati.
Consideriamo quindi la famiglia
costituita dagli insiemi
al variare di
, cioè
(268)
-
.
Per come sono definiti gli elementi
di
(cioè unioni di intervalli contenuti in
), ovviamente si ha
.
Per dimostrare l’altra inclusione, consideriamo
. Poiché
è l’unione degli intervalli di
, esiste
tale che
. Ma allora
, e quindi
.
- Gli elementi
di
sono intervalli aperti
Sia
e dimostriamo che
è un intervallo. Proveremo che, dati
con
, allora
. Siano
due intervalli collegati a
che contengono rispettivamente
e
. Poiché appunto entrambi sono collegati a
,
e
sono collegati tra loro e la loro serie di collegamento
è costituita tutta da intervalli collegati a
. Quindi la loro unione
(269)
è contenuta in
.
è ovviamente un intervallo, in quanto in (269) ogni intervallo ha intersezione non vuota dal precedente e dal successivo. Si ha inoltre
. Da ciò segue che
è un intervallo.
Per provare che
è aperto, siano
gli estremi di
, con
e proviamo che entrambi non appartengono a
. Supponiamo infatti per assurdo che
. Allora esisterebbe un intervallo aperto
collegato a
tale che
. Ma poiché
è aperto, esiste
tale che
. Ma allora
e ciò contraddice l’ipotesi che
sia l’estremo sinistro di
.
Per tale motivo,
è aperto.
- Se
non sono collegati, allora
Supponiamo per assurdo che
e
non siano collegati e che esista
. Allora esiste
collegato a
e
collegato a
tali che
(270)
Quindi
. Ma poiché due intervalli che si intersecano sono collegati, ciò mostra che anche
e
sono collegati, e ciò è assurdo.
- Gli intervalli
sono una quantità al più numerabile
Ogni
contiene almeno un numero razionale e, poiché i
sono disgiunti, ogni numero razionale appartiene ad al più un
per qualche
. Ciò mostra che gli elementi
di
sono in quantità al più numerabile.
Il prossimo lemma esprime una condizione sufficiente affinché l’intersezione di una famiglia numerabile decrescente di insiemi aperti abbia intersezione non vuota. Ciò in generale non è vero: si pensi all’esempio
.
(271)
Dimostrazione. L’idea della dimostrazione consiste nell’esibire una successione di insiemi chiusi e limitati non vuoti, tali che
(272)
Poiché l’intersezione di una tale famiglia non è vuota per il lemma B.1 ed è certamente contenuta in , anche quest’ultima risulta non vuota.
Poiché gli aperti sono limitati e la famiglia è decrescente, a meno di riscalare e traslare, senza perdita di generalità possiamo supporre che
(273)
- Stime sulle lunghezze degli intervalli costituenti gli
Per il lemma C.3, consideriamo per ogni
la decomposizione di
in intervalli aperti disgiunti, cioè
(274)
dove
oppure
. Fissiamo ora
. Poiché gli intervalli
sono a due a due disgiunti, ognuno degli intervalli disgiunti della famiglia
è contenuto in esattamente uno degli
. Questo implica che
(275)
dove:
- La prima disuguaglianza deriva dal fatto che
, quindi le somme parziali della serie non eccedono
, poiché per il punto 2 del lemma A.2 ogni somma finita di lunghezze di intervalli disgiunti contenuti in
non può eccedere il valore
:
(276)
Da ciò segue
.
- La seconda disuguaglianza deriva dal fatto che per ogni
esiste
tale che
(277)
Poiché
, per il punto 2 del lemma A.2 si ottiene
(278)
da cui
.
- Definizione dei compatti
tali che
.
Definiamo
per ricorrenza.
- Esiste
tale che
e una famiglia di intervalli chiusi
e disgiunti tali che
(279)
dove abbiamo posto
(280)
Poiché
, si ha
.
- Supponiamo definito
, costituito da un’unione finita di intervalli chiusi disgiunti e supponiamo che esso soddisfi
(281)
In particolare da ciò segue che:
(a) , in quanto
per (275);
(b) è costituito dall’unione al più numerabile di intervalli disgiunti la cui serie delle lunghezze soddisfa
(282)
Ciò si può verificare considerando che è ottenuto sottraendo da
una quantità finita di intervalli chiusi, che ognuno di tali intervalli chiusi è contenuto in uno solo tra gli intervalli
costituenti
e applicando il punto 3 del lemma A.2.
Vogliamo definire , costituito dall’unione finita di intervalli chiusi disgiunti e soddisfacente
(283)
Come sopra, esiste tale che
e una famiglia di intervalli chiusi e disgiunti
tali che
(284)
dove abbiamo posto . Per come è definito,
.
Definiamo . Chiaramente
è costituito dall’unione finita di intervalli chiusi disgiunti e si ha
.
Dimostriamo che
(285)
(286)
dove l’uguaglianza deriva dal fatto che , che tale unione è disgiunta, dal fatto che i due insiemi sono costituiti dall’unione finita di intervalli chiusi e dal punto 3 del lemma A.2.
Poiché è costituito da un’unione finita di intervalli contenuti in
, per (282) si ha
(287)
Unendo (286), (284) e (287) si ottiene
(288)
-
Poiché per ogni
si ha
,
, si ottiene
(289)
dove la prima disuguaglianza è dovuta al lemma B.1 e l’inclusione segue dal fatto che
per ogni
.
Dimostrazione del teorema 2.16.
Dimostrazione del teorema 2.16. L’idea della dimostrazione consiste nel ridursi al caso di non negative convergenti e
e poi ragionare per assurdo: se non si avesse convergenza degli integrali, esisterebbe per ogni
una famiglia finita
di intervalli aperti su cui
e tale che
(290)
Per ottenere tale stima è cruciale l’ipotesi che
(291)
(da cui l’aggettivo dominata nel nome del teorema). La stima (290) permette di applicare il lemma C.5 e trovare un punto per cui
non converge a
. Da tale contraddizione con la convergenza puntuale segue la tesi.
- Si può supporre
,
,
e
Senza ledere la generalità, a meno di sostituire
con
definita da
(292)
possiamo supporre che
sia la funzione identicamente nulla, che
e che
. Inoltre, possiamo limitarci a dimostrare il risultato assumendo che
(293)
Infatti, poiché
e per la disuguaglianza triangolare
, l’assunzione (293) non è restrittiva.
Supponiamo per assurdo che
. A meno di passare a una opportuna sottosuccessione, possiamo assumere che esista
tale che
(294)
- Definizione delle famiglie
e stima
Da (294) segue che per ogni
esiste una suddivisione
dell’intervallo
definita da
(295)
e tale che
(296)
Vogliamo stimare la misura dell’unione degli intervalli
su cui
. Si ha
(297)
dove nella seconda disuguaglianza abbiamo utilizzato il fatto che
e nella terza disuguaglianza abbiamo sfruttato il fatto che gli intervalli
sono disgiunti e contenuti in
e il punto 2 del lemma A.2. Chiamiamo
gli intervalli
tali che
. Definendo
(298)
la disuguaglianza (297) diventa quindi
(299)
- Definizione degli aperti
ed esistenza di
Per ogni
, definiamo
(300)
Ogni
è un insieme aperto in quanto è costituito dall’unione di intervalli aperti (poiché tale è ogni
) e soddisfa
. Inoltre si ha
con
, dove
è una famiglia finita di intervalli aperti disgiunti tali che
. Possiamo applicare quindi il lemma C.5 e concludere che esiste
.
-
Osserviamo che, se
, allora esiste
tale che
(301)
Infatti, se
, esiste
tale che
e
è costituito dall’unione degli intervalli
tali che
.
Quindi, poiché
, per ogni
esiste
tale che
. Ciò chiaramente implica che
(302)
che contraddice il fatto che
converge puntualmente alla funzione nulla.
Riferimenti bibliografici
[1] Acerbi, E. & Buttazzo, G., Primo corso di Analisi Matematica Pitagora Editrice, (1997).
[2] Dugundji, J., Topology Allyn and Bacon, (1966).
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