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Il concetto di funzione è forse il più importante di tutta la Matematica e la sua comprensione è un requisito essenziale per affrontare con successo lo studio di questa disciplina.

In questo articolo ci focalizziamo sulle seguenti domande tipiche riguardanti questo fondamentale argomento.

  • Qual è il significato di funzione?
  • Cosa significano le proprietà di iniettività, suriettività e biettività, e cosa sono le funzioni inverse?
  • Cosa significano le operazioni di somma, prodotto, composizione e restrizione?
  • Come si rappresentano graficamente le funzioni nel piano cartesiano e come cambiano tali grafici effettuando operazioni elementari?
  • Cosa sono i concetti di simmetria (funzioni pari o dispari), limitatezza, monotonia e periodicità?
  • Studio di una funzione: come si individua il suo insieme di definizione? Come se ne determina il segno? E come tracciarne un grafico approssimativo?

Se desideri comprendere questi concetti leggendo spiegazioni chiare, brevi, illustrate da esempi e grafici, non devi fare altro che cominciare la lettura!

Segnaliamo anche gli altri volumi della raccolta sulle funzioni elementari, oltre agli altri articoli collegati:

 

Sommario

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Questa dispensa è una gentile introduzione alla teoria delle funzioni reali di variabile reale. In queste note definiamo in maniera ampia il concetto di funzione, per poi specializzarci allo studio del grafico di una funzione reale di variabile reale, analizzando le principali proprietà di tali funzioni. Il lettore avrà modo di familiarizzare con la teoria attraverso numerosi esempi, grafici ed esercizi guidati. La trattazione non si propone di essere rigorosa ed autocontenuta, e talvolta siamo costretti a rimandare a trattazioni successive, o alla lettura di altri testi, per una definizione rigorosa delle funzioni trattate.

 

Autori e revisori

 

Prerequisiti

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Questo testo è pensato per un ampio pubblico e prevede i seguenti requisiti minimi: la logica elementare (implicazione, equivalenza), la definiziona intuitiva di insieme, le operazioni tra insiemi (unione, intersezione, prodotto cartesiano), e infine la definizione e le proprietà degli insiemi numerici più comuni.

Per una piena comprensione degli esempi riportati, è necessaria la conoscenza delle funzioni elementari più comuni: potenze, radici, esponenziali, logaritmi, seno e coseno.

 

Notazioni

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\emptyset     insieme vuoto
\mathbb{N}\coloneqq \{ 1,2,  \dots \}     insieme dei numeri naturali;
\mathbb{Z}     insieme dei numeri interi relativi;
\mathbb{N}_0=\mathbb{N}\cup \{0\}     insieme dei numeri interi non negativi;
\mathbb{Z^*}=\mathbb{Z}\setminus\{0\}     insieme dei numeri interi non nulli;
\mathbb{Q}     insieme dei numeri razionali;
\mathbb{R}     insieme dei numeri reali;
\mathbb{C}     insieme dei numeri complessi;
\mathbb{R^+}\coloneqq (0,+\infty)     insieme dei numeri reali positivi, cf. definizione 2.62
\mathbb{R^+}_0\coloneqq [0,+\infty)     insieme dei numeri reali non negativi, cf. definizione 2.62
\mathbb{R^-}\coloneqq (-\infty,0)     insieme dei numeri reali negativi, cf. definizione 2.62
\mathbb{R^-}_0\coloneqq (-\infty,0]     insieme dei numeri reali non positivi, cf. definizione 2.62
\mathbb{R^*}\coloneqq \mathbb{R} \setminus \left\{ 0 \right\}     insieme dei numeri reali non nulli;
\# E     cardinalità dell’insieme E;
A \times B     prodotto cartesiano degli insiemi A e B;
\mathbb{R}^2\coloneqq \mathbb{R} \times \mathbb{R}     piano cartesiano, i.e. prodotto cartesiano di \mathbb{R} con sè stesso;
f \colon E \to F     funzione da E a F; definizione 1.1
f \colon x \in E\mapsto f(x) \in F     funzione da E a F, cf. definizione 1.1
{\rm Dom} (f)     dominio della funzione f, cf. definizione 1.1
\Gamma_f     grafico della funzione f, cf. definizione 1.2
f(A)     immagine dell’insieme A tramite f, cf. definizione 1.6
{\rm Im}( f)     immagine della funzione f, cf. definizione 1.6
f^{-1}(B)     controimmagine dell’insieme B tramite f, cf. definizione 1.11
g \circ f     composizione delle funzioni g e f, cf. definizione 2.16
{\rm Id}_E     funzione identità di E, cf. definizione 2.18
f|_{E'}, f|^{F'}, f|_{E'}^{F'}     restrizioni di f, cf. definizione 2.29
f^{-1}     funzione inversa di f, cf. definizione 2.22 e proposizione 2.23
f+g, fg     rispettivamente somma e prodotto delle funzioni f,g, cf. definizioni 2.10 e 2.13
M(E), m(E)     rispettivamente insieme dei maggioranti e dei minoranti dell’insieme E, cf. definizione 2.63
\max E, \min E     rispettivamente massimo e minimo dell’insieme E, cf. definizione 2.69
\sup E, \inf E     rispettivamente estremo superiore ed estremo inferiore dell’insieme E, cf. definizione 2.76
\max f, \min f     rispettivamente massimo e minimo della funzione f, cf. definizione 2.82
\sup f, \inf f     rispettivamente estremo superiore ed estremo inferiore della funzione f, cf. definizione 2.82
\max_A f, \min_A f     rispettivamente massimo e minimo della funzione f sull’insieme A, cf. definizione 2.82
\sup f, \inf f     rispettivamente estremo superiore ed estremo inferiore della funzione f sull’insieme A, cf. definizione 2.82
\mathbb{T}(f)     insieme dei periodi della funzione f, cf. definizione 2.51
T_0(f)     periodo minimo della funzione f, cf. definizione 2.53
-E=\left\{ -x:x\in E \right\}     opposto di un insieme E \subset \mathbb{R}.


 
 

Introduzione

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Lo scopo di queste note è fornire gli strumenti minimi necessari alla comprensione del concetto di funzione reale di variabile reale, descrivendone le proprietà principali, illustrate attraverso i grafici di alcune funzioni fondamentali.

Il concetto di funzione risale almeno al 1667, e sembra dovuto all’astronomo e matematico scozzese James Gregory (1638-1695). Fu successivamente reintrodotto dal matematico tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646 – 1716) nel 1673, il quale usò per la prima volta il termine “funzione” nei suoi studi sulle curve differenziabili. Nei tre secoli successivi sono state date diverse definizioni di funzione. Una che si avvicina molto a quella odierna è la seguente, fornita dal matematico bourbakista Jean Alexandre Eugène Dieudonné nel 1939:

“Siano E e F due insiemi distinti o no. Una relazione fra una variabile x di E e una variabile y di F è detta relazione funzionale di E verso F, se, qualunque sia x in E, esiste un elemento y di F, e uno solo, che stia nella relazione considerata con x. Si dà il nome di funzione all’operazione che così associa ad ogni elemento x di E l’elemento y di F che si trova nella relazione data con x; si dice che y è il valore della funzione per l’elemento x e che la funzione è determinata dalla relazione funzionale considerata.”.

In parole più semplici, possiamo dire che una funzione f è una relazione tra due insiemi E ed F che prende in input un elemento x che appartiene ad E e dà come output un elemento y=f(x) che appartiene ad F. L’insieme dei valori ammissibili che f può prendere come input, ovvero l’insieme E, è detto il dominio di f, mentre l’insieme che dei possibili valori restituiti da f, ovvero F, è detto codominio. A breve daremo una definizione precisa di questi due concetti.1

Lo studio di una funzione dipende fortemente dagli insiemi E,F in questione, e per insiemi astratti può risultare molto complicato. Una classe di funzioni ampiamente studiata è quella in cui gli insiemi E,F sono insiemi numerici. Ricordiamo che gli insiemi numerici che tipicamente si considerano sono2

    \[ 		$\mathbb{N}\subset \mathbb{Z}\subset \mathbb{Q}\subset \mathbb{R}\subset \mathbb{C}$. 		\]

In queste note considereremo sempre E,F \subseteq \mathbb{R}. Per questa ragione, la nostra analisi sarà limitata allo studio di funzioni reali (il codominio è un sottoinsieme di \mathbb{R}) di variabile reale (il dominio E è un sottoinsieme di \mathbb{R}).

Concludiamo questa introduzione con un breve sommario della dispensa:

    \[\quad\]

  • Nella sezione 1 definiamo formalmente il concetto di funzione, forniamo alcuni esempi e presentiamo il concetto di immagine e controimmagine, che descrivono come agisce una certa funzione relativamente a sottoinsiemi del dominio e del codominio.
  •  

  • Nella sezione 2 introduciamo i primi elementi fondamentali per lo studio del grafico di una funzione: diamo alcune motivazioni di tale studio e presentiamo nel dettaglio i concetti di insieme di definizione e di studio del segno di una funzione. Infine, diamo una guida operativa per tale studio.
  •  

  • Nella sezione 3 presentiamo delle proprietà generali delle funzioni, quali iniettività, suriettività e biettività, composizione, restrizione, invertibilità, e a proprietà specifiche di funzioni reali e/o di variabile reale: somma e prodotto, simmetrie, periodicità, limitatezza e monotonia.

  1. Notare che il codominio contiene i valori restituiti da f, ed è dunque in generale un insieme più grande. Si veda più avanti il concetto di immagine di f e quello di suriettività.

  1. Questi sono gli insiemi di numeri più comuni, ma si possono tuttavia estendere ancora i numeri complessi ottenendo i quaternioni \mathbb{H}, che possono essere estesi ancora per definire gli ottonioni \mathbb{O}, ecc…

 

La definizione di funzione

Introduzione.

Diamo ora una definizione rigorosa di funzione, cf. [5, Definizione 2.1].

Definizione 1.1. Dati due insiemi E,F, una funzione f:E\to F è una relazione tra gli insiemi E e F, tale che ad ogni elemento x\in E si associa uno e un solo elemento y\coloneqq f(x)\in F, detto immagine di x tramite f.

Formalmente, una funzione f:E\to F si definisce come un sottoinsieme f \subset E \times F, tale che

(1)   \begin{equation*} 				\forall \, x \in E \quad \exists \,! y \in F \; \mbox{ tale che } (x,y) \in f. 		\end{equation*}

Tramite la proprietà (1), dato x \in E, l’unico elemento y\in F tale che (x,y)\in f è l’immagine di x tramite f, i.e. y=f(x).

L’insieme E è detto dominio di f e si denota a volte con {\rm Dom}(f), mentre l’insieme F è detto codominio di f.

Se f è una funzione da E a F, si scrive

(2)   \begin{equation*} 			f \colon E\to F, 			\qquad 			\text{oppure} 			\qquad 			f \colon x \in E 			\mapsto f(x) \in F, 		\end{equation*}

se si vuole indicare anche come f agisce sugli elementi del dominio.

    \[\quad\]

Una funzione f: E \to F è dunque una relazione tra gli insiemi E e F, che pensiamo come una “freccia” tra i due insiemi: da ogni elemento dell’insieme di partenza E parte una e una sola freccia verso un elemento dell’insieme di arrivo F, come rappresentato nella figura 1 (a destra). Vogliamo sottolineare che la definizione formale di una funzione f: E \to F richiede che essa sia un sottoinsieme di E \times F con la proprietà (1). In quanto sottoinsieme, essa coincide con l’insieme comunemente detto il “grafico” della funzione f.

Definizione 1.2 (grafico di una funzione). Data una funzione f:E\to F, il grafico di f è l’insieme dato da

(3)   \begin{equation*} 								\Gamma_f\coloneqq \{ (x,f(x)): x \in E \} \subset E \times F,	 							\end{equation*}

    \[\quad\]

Sebbene il modo più rigoroso per definire una funzione sia quello di identificarla con il suo grafico (3), si utilizza una notazione specifica per il grafico, e si pensa una funzione f:E \to F come una “ricetta” per associare ad un elemento di E un elemento di F, piuttosto che come un insieme.

Nella figura seguente (figura 1), la relazione (a sinistra) tra gli insiemi E ed F definita dalle frecce nere non è una funzione, poiché ad un elemento di E è associato più di un elemento di F (nell’insieme E c’è un elemento da cui parte più di una freccia, contrariamente alla definizione di funzione), mentre la relazione tra gli insiemi E' ed F' definita dalle frecce nere (a destra) è una funzione.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 1: esempio di relazione tra insiemi che è una funzione (destra) e che non è una funzione (sinistra).

    \[\quad\]

    \[\quad\]


Esempi.

In questa sezione presentiamo una serie di esempi di funzioni.

Esempio 1.3 (funzioni lineari). Sia f \colon [1,+\infty) \to [0, + \infty) definita da

(4)   \begin{equation*} 					f(x)= \frac{1}{2}x  					\qquad 					\forall x \in [1,+\infty). 				\end{equation*}

Verifichiamo che quella data è una funzione. A ogni x \in [1,+\infty) si può associare il valore \frac{1}{2}x, e il risultato di tale operazione è unico. Inoltre, poiché moltiplicare per un numero positivo non cambia la relazione d’ordine, abbiamo che

    \[x \geq 1 \quad \iff \quad \frac 1 2 x \geq \frac 1 2 \geq 0.\]

Per ogni elemento x del dominio risulta quindi definita univocamente la sua immagine f(x), pertanto f è una funzione avente dominio {\rm Dom} (f) 				= 				[1,+\infty) e codominio [0, + \infty).

Osserviamo che, mentre l’elemento y={2} del codominio è immagine tramite f del numero x = 4, l’elemento \dfrac1 4 del codominio non è immagine di alcun elemento x \in {\rm Dom}( f). Infatti, si ha

(5)   \begin{equation*} 					\frac{1}{2} x  =\frac 1 4 \quad \iff \quad x =\frac 1 2. 				\end{equation*}

Ciò ovviamente non contraddice la definizione 1.1, cf. figura 1.

Per avere un’idea di come è fatto il grafico di f come un sottoinsieme del piano \mathbb{R}^2, cf. 1.2, scegliamo qualche valore della variabile indipendente x e determiniamo il corrispondente valore della variabile dipendente y, riassumendo i nostri calcoli in una tabella:

(6)   \begin{equation*} 						\begin{tabular}{|l|c|r|} 						\hline 						$x$ & $f(x)= \frac 1 2 x$\\  						\hline 				1 & $ \frac 1 2$ \\ 						\hline 						2 & 1 \\  						\hline 						3 & $\frac{3}{2}$ \\ 						\hline 						4 & 2\\  						\hline 						5 & $\frac 52$ \\ 						\hline 					\end{tabular} 				\end{equation*}

Il grafico che ne risulta è rappresentato nella figura 2. In essa possiamo notare i seguenti elementi:

    \[\quad\]

  • La parte marcata in grigio corrisponde al fatto che abbiamo escluso dal dominio l’intervallo (-\infty, 1) e dal codominio l’intervallo (-\infty, 0);
  •  

  • In blu abbiamo rapprensentato il grafico \Gamma_f di f, cioè i punti del piano (x,f(x)) tali che l’ascissa x sia un elemento del dominio e l’ordinata corrisponda al valore f(x); notiamo che esso assume la forma di una retta: infatti, la relazione che definisce f è una cosiddetta relazione lineare, cioè in cui la variabile y è data da un multiplo della variabile x.
  •  

  • Abbiamo indicato i punti appartenenti a \Gamma_ f calcolati nella tabella (6). Ad esempio, il punto (4,2) è sul grafico, poiché

    (7)   \begin{equation*} 					2 						= 						\frac{1}{2} \cdot 4 						= 						f \left( 4 \right). 					\end{equation*}

    In altre parole, il numero y_1=2\in [0,+\infty) è immagine di x_1=4 \in [1,+\infty); abbiamo inoltre rappresentato con delle linee tratteggiate le sue proiezioni del punto (2,1) sugli assi.

  •  

  • Sull’asse y si trova il punto di ordinata y_2=\dfrac{1}{4}, che si vede non essere immagine di alcun elemento del dominio [1,+\infty).

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 2: grafico della funzione f definita da (4).

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Esempio 1.4. Consideriamo la funzione f \colon x \in \mathbb{R} \mapsto x^2\coloneqq x\cdot x \in \mathbb{R}. Verifichiamo che essa è effettivamente una funzione avente dominio {\rm Dom}( f )= \mathbb{R} e codominio \mathbb{R}. Infatti, ogni numero reale x si può elevare al quadrato e il risultato di tale operazione è univocamente definito. Ciò vuol dire che per ogni x \in \mathbb{R} esiste un unico y \in \mathbb{R} tale che y=x^2, cioè f è una funzione. Come già fatto per l’esempio 1.3, per avere un’idea di come è fatto ill grafico di f come un sottoinsieme del piano \mathbb{R}^2, cf. 1.2, scegliamo qualche valore della variabile indipendente x e determiniamo il corrispondente valore della variabile dipendente y, riassumendo i nostri calcoli in una tabella:

(8)   \begin{equation*} 			\begin{tabular}{|l|c|r|} 				\hline 				$x$ & $f(x)= x^2$ \\ 				\hline 				-2 &  4 \\ 				\hline 				-1 & 1 \\ 				\hline 				0 & 0 \\ 				\hline 				1 & 1\\ 				\hline 				2 & 4 \\ 				\hline 			\end{tabular} 		\end{equation*}

Possiamo visualizzare il grafico che ne risulta nella figura 3. In essa possiamo notare i seguenti elementi:

    \[\quad\]

  • In blu abbiamo rapprensentato il grafico \Gamma_f di f, cioè i punti del piano (x,f(x)), tali che l’ascissa x sia un elemento del dominio e l’ordinata corrisponda al valore f(x); la forma che assume è detta parabola e la relazione che definisce f è una cosiddetta relazione quadratica, cioè in cui la variabile y è data dal prodotto della variabile x con sè stessa.
  •  

  • Abbiamo indicato i punti appartenenti a \Gamma_ f calcolati nella tabella (8). Ad esempio, i punti (2,4) e (-2,4 ) sono sul grafico, poiché

    (9)   \begin{equation*} 				4 				= 			2^2 				= 				f \left( 2 \right) \quad \mbox{e} \quad 4 				= 				(-2)^2 				= 				f \left( -2 \right). 			\end{equation*}

    In altre parole, il numero y_1=4\in [0,+\infty) è immagine sia di x_1=2 \in \mathbb{R}, sia di x_2=-2 \in \mathbb{R}. Ciò ovviamente non contraddice la definizione 1.1, cf. figura 1. Abbiamo inoltre rappresentato con delle linee tratteggiate le sue proiezioni dei suddetti punti sugli assi.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 3: grafico della funzione f \colon x \in \mathbb{R} \mapsto x^2\coloneqq x\cdot x \in \mathbb{R}.

    \[\quad\]

Esempio 1.5 (successioni). Sia a \colon \mathbb{N} \to \mathbb{R} la funzione definita da

(10)   \begin{equation*} 					a(n) 					\coloneqq 					\dfrac{1}{n} \qquad \forall n \in \mathbb{N}. 				\end{equation*}

Essa associa cioè a ogni numero naturale positivo n il suo reciproco 1/n. Poiché tale operazione è sempre possibile (dato che n >0) e il suo risultato è univocamente determinato da n, a costituisce effettivamente una funzione con dominio {\rm Dom} (a) = \mathbb{N} e codominio \mathbb{R}.

In generale, una funzione a \colon \mathbb{N} \to \mathbb{R} è detta una successione di numeri reali, in quanto si può pensare di ordinare in una sequenza infinita le immagini di a in base all’elemento del dominio che le determinano:

Inoltre, l’immagine a(n) di un numero naturale n viene spesso indicata con a_n. Anche il grafico di una successione può essere rappresentato come sottoinsieme del piano cartesiano \mathbb{R}^2 e per la successione in esame ciò viene effettuato nella figura 4. Si vede che in questo caso il grafico è costituito da punti “isolati”, e ciò si spiega col fatto che il dominio {\rm Dom}(a) = \mathbb{N}, che, visto come sottoinsieme di \mathbb{R}, è costituito da punti “isolati” sull’asse x.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 4: grafico della successione a definita da (10).

    \[\quad\]

    \[\quad\]


Immagine.

Un concetto di fondamentale importanza è quello di immagine di una funzione, ovvero l’insieme dei valori restituiti da f al variare degli elementi nel dominio.

Definizione 1.6 (Immagine). Sia f:E\to F una funzione e sia A \subseteq E. L’immagine di A è il sottoinsieme f(A) di F dato da

    \[ 		f(A)\coloneqq \{y\in F: \exists \,x\in A: y=f(x) \}= \{ f(x): x \in A \}\subseteq F. 		\]

L’insieme f(E) è detto l’immagine di f, e si denota anche con \operatorname{Im}(f).

Esempio 1.7. Sia f \colon [0,3] \to \mathbb{R} definita da

(11)   \begin{equation*} 		f(x)= \frac{1}{2}x + 1 		\qquad 		\forall x \in [0,3]. 	\end{equation*}

Vogliamo determinare l’immagine di f, cioè f([0,3]). Occorre quindi trovare i valori y \in \mathbb{R} che sono immagine di elementi x \in [0,3].

La figura 5 suggerisce che, se x_0 \in [0,3], allora f(x_0) \in [1,\dfrac{5}{2}]; viceversa, appare che ogni y_0 \in [1,\dfrac{5}{2}] è immagine di qualche x_0 \in [0,3]. Occorre però dimostrare rigorosamente questa intuizione.

Supponiamo che x_0 \in [0,3]. Poiché moltiplicare per 1/2 e aggiungere 1 non modifica le relazioni di ordine, si ha

(12)   \begin{equation*} 		\frac{1}{2}\cdot 0 + 1 		\leq 		\frac{1}{2}\cdot x_0 + 1 		\leq 		\frac{1}{2}\cdot 3 + 1 		\qquad 		\Rightarrow 		\qquad 		1 \leq f(x_0) \leq \frac{5}{2}. 	\end{equation*}

Se x_0 \in [0,3], si ha quindi che f(x_0) \in [1,\dfrac{5}{2}]; ciò vuol dire che l’insieme delle immagini di elementi dell’intervallo [0,3] è contenuto nel sottoinsieme [1,\dfrac{5}{2}] del codominio, cioè, in formule

(13)   \begin{equation*} 		f\big([0,3]\big) \subseteq \left[1,\frac{5}{2} \right]. 	\end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 5: rappresentazione dell’immagine (in rosso) dell’insieme [0,3] tramite la funzione f definita da (11)

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Per provare che la precedente relazione è in realtà un’uguaglianza, occorre dimostrare che, dato y_0 \in [1,\dfrac{5}{2}], esiste almeno un x_0 \in [0,3] tale che f(x_0)=y_0. Data l’espressione di f, occorre cioè verificare che l’equazione

(14)   \begin{equation*} 		y_0 		= 		\frac{1}{2}x + 1 	\end{equation*}

possiede qualche soluzione x_0 \in [0,3]. Risolvendo rispetto a x, si vede che l’unica soluzione è data da

(15)   \begin{equation*} 		x_0 		= 		2(y_0 -1). 	\end{equation*}

Dato che 1\leq y_0 \leq \dfrac{5}{2} e poiché sottrarre 1 e moltiplicare per 2 non modificano le relazioni di ordine tra numeri reali, si ha

(16)   \begin{equation*} 		2(1-1) 		\leq 		2(y_0 -1) 		\leq 		2\left(\frac{5}{2}-1 \right) 		\qquad 		\Rightarrow 		\qquad 		0 \leq x_0 \leq 3. 	\end{equation*}

Ciò mostra che esiste x_0 \in [0,3] tale che f(x_0)=y_0 e, poiché y_0 è arbitrario, otteniamo

(17)   \begin{equation*} 		\left[1,\frac{5}{2} \right] 		\subseteq 		f\big([0,3]\big). 	\end{equation*}

Da (13) e (17) segue che f([0,3]) = [1, \dfrac{5}{2}]. L’insieme f([0,3]) è rappresentato in rosso sull’asse delle y nella figura 5.

Esempio 1.8. Consideriamo la funzione f \colon x \in \mathbb{R} \mapsto x^2 \in \mathbb{R}, il cui grafico è stato rappresentato in figura 6.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 6: grafico della funzione f \colon x \in \mathbb{R} \mapsto x^2 \in \mathbb{R}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Per determinare l’immagine, distinguiamo 3 situazioni possibili, delineate dagli esempi seguenti:

    \[\quad\]

  • Il valore y=4 è immagine di 2 elementi del dominio: x_1=-2 e x_2=2; infatti

    (18)   \begin{gather*} 			f(x_1)= x_1^2 = (-2)^2=4, 			\qquad 			f(x_2)= x_2^2 = 2^2=4. 		\end{gather*}

    Si ha quindi x_1 \neq x_2, ma f(x_1)=f(x_2). Si può dimostrare ogni y>0 è immagine di due elementi distinti x_1,x_2.

  •  

  • Il valore y=0 è immagine di un solo elemento del dominio: x_3=0; infatti l’unico numero reale il cui quadrato è pari a 0 è 0 stesso. Ciò vuol dire che f(0)=0.
  •  

  • Il valore y=-1 non è immagine di alcun elemento del dominio: infatti, se x \in \mathbb{R}, si ha x^2 \geq 0; in altre parole, il quadrato di nessun numero reale è negativo. Ciò è visualizzato nella figura 6 mostrando che nessun punto di ordinata y=-1 appartiene al grafico; infatti, la retta tratteggiata orizzontale dei punti aventi ordinata y=-1 non interseca il grafico di f.

    Neanche tale situazione contraddice la definizione 1.1, in quanto essa non prescrive che ogni elemento del codominio sia immagine di qualche elemento del dominio. Si può dimostrare nessun y<0 è immagine di un elemento del dominio.

    Riassumendo, abbiamo che f(\mathbb{R})=\mathbb{R}_0^+.

    Esempio 1.9. Consideriamo la funzione a\colon \mathbb{N} \to \mathbb{R} definita da

    (19)   \begin{equation*} 		a(n)\coloneqq 2n \qquad\forall n \in \mathbb{N}. 	\end{equation*}

    Notiamo che in questo caso il dominio di f è l’insieme dei numeri naturali \mathbb{N} mentre scegliamo come codominio l’insieme dei numeri reali. L’immagine della funzione è l’insieme dei numeri naturali pari

        \[ 	{\rm Im }(a)=2\mathbb{N}\coloneqq \left\{ 2n: n \in \mathbb{N} \right\}=\{2, 4, 6, \dots\}, 	\]

    in quanto ogni numero pari m si può scrivere come m=2 \left( \dfrac{m}{2} \right), con \dfrac{m}{2} \in \mathbb{N}.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 7: grafico in scala 4:1 della successione a definita da (19).

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Proposizione 1.10 (unione e intersezione di immagini). Sia f \colon E \to F una funzione e siano A,B \subseteq E. Allora, vale

        \[\quad\]

    1. (20)   \begin{equation*}  f(A\cup B)= f(A)\cup f(B);  \end{equation*}

    2.  

    3. (21)   \begin{equation*} 		f(A \cap B) \subseteq f(A)\cap f(B). 	\end{equation*}

        \[\quad\]

    Dimostrazione.

        \[\quad\]

    1. Sia x \in A\cup B. Se x \in A, allora f(x)\in f(A), mentre se x\in B, allora f(x)\in f(B). Abbiamo così mostrato che f(A\cup B)\subseteq  f(A)\cup f(B). Per l’inclusione opposta, si ragiona analogamente.
    2.  

    3. Sia x \in A \cap B. Allora, poiché x\in A, si ha f(x)\in f(A), e poiché x \in B, si ha f(x)\in f(B). Abbiamo così mostrato che f(A \cap B) \subseteq f(A)\cap f(B). L’inclusione opposta in questo caso non vale: ad esempio, A \cap B=\emptyset non implica f(A)\cap f(B)=\emptyset.

Controimmagine.

Analizziamo ora il concetto di controimmagine, che costituisce in un certo senso la nozione inversa dell’immagine.

Definizione 1.11 (controimmagine). Sia f \colon E \to F una funzione e sia B \subseteq F. Si dice controimmagine (o preimmagine) di B tramite f il sottoinsieme di E definito da

(22)   \begin{equation*} 			f^{-1}(B) 			\coloneqq 			\{ 			x \in E 			\colon 			f(x) \in B 			\}\subseteq E. 		\end{equation*}

    \[\quad\]

Osservazione 1.12. Se f \colon E \to F, la controimmagine di un sottoinsieme B \subseteq F del codominio di una funzione f è quindi costituita dagli elementi di E (se ve ne sono) la cui immagine appartiene a B. Determinare la controimmagine di un sottoinsieme B del codominio corrisponde dunque a determinare le soluzioni x, con x \in E, dell’equazione f(x)=y, al variare di y \in B. In particolare, dato y_0 nel codominio di f, determinare f^{-1}(\{y_0\}) equivale a risolvere l’equazione nella variabile x \in E

(23)   \begin{equation*} 		f(x)=y_0. 	\end{equation*}

Osservazione 1.13. Sia f \colon E \to F una funzione. Se B \subseteq F è un intervallo del tipo [y_1,y_2], per determinare f^{-1}(B), si può pensare di “tagliare” il piano con una striscia orizzontale compresa tra l’estremo inferiore y= y_1 e l’estremo superiore y=y_2 e considerare solo le parti di grafico comprese in tale striscia. Le ascisse dei punti appartenenti a questa parte di grafico costituiscono quindi la controimmagine cercata. In particolare, determinare f^{-1}([y_1,y_2]) equivale a risolvere una doppia disequazione nella variabile x \in E

(24)   \begin{equation*} 	y_1 \leq	f(x)\leq y_2. 	\end{equation*}

Esempio 1.14. Si consideri la funzione il cui grafico è rappresentato in blu in figura 8. Per determinare la controimmagine f^{-1}([2,3]) tramite f dell’intervallo [2,3], si può immaginare una striscia orizzontale (ombreggiata in blu nella figura) delimitata dalle rette di equazioni y=2 e y=3 e di considerare le porzioni di grafico che intersecano tale striscia. Le ascisse di tali punti costituiscono f^{-1}([2,3]) e sono gli intervalli [a,b] e [c,d] rappresentati in verde in figura 8.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 8: la controimmagine dell’intervallo [2,3] di una funzione.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Esempio 1.15. Sia f \colon x \in [0,+\infty) \mapsto \dfrac{1}{2}x + 1 \in \mathbb{R} la funzione dell’esempio 1.3 (e dell’esempio 1.7).

    \[\quad\]

  • Calcoliamo la controimmagine tramite f dell’insieme [1,+\infty), cioè il sottoinsieme del dominio {\rm Dom}(f) = [0,+\infty) dato da

    (25)   \begin{equation*} 			f^{-1}\big([1,+\infty) \big) 			= 			\{x \in [0,+\infty) \colon f(x) \in [1,+\infty)\}. 		\end{equation*}

    Osserviamo che, se x \in [0,+\infty), allora

    (26)   \begin{equation*} 			f(x) 			= 			\frac{1}{2}x + 1 			\geq 1. \end{equation*}

    Quindi f(x) \in [1,+\infty), cioè ogni elemento del dominio ha immagine in [1,+\infty). Abbiamo dunque {\rm Dom}(f)  		\subseteq f^{-1}\big([1,+\infty) \big); ma poiché f^{-1}\big([1,+\infty) \big) \subseteq {\rm Dom}(f) per definizione, si ha

    (27)   \begin{equation*} 			f^{-1}\big([1,+\infty) \big) 			= 		{\rm Dom}(f)  			= 			[0,+\infty). 		\end{equation*}

  •  

  • Calcoliamo invece

    (28)   \begin{equation*} 			f^{-1}\big((-2,0) \big) 			= 			\{x \in [0,+\infty) \colon f(x) \in (-2,0)\}. 		\end{equation*}

    Come abbiamo visto in (26), si ha

    (29)   \begin{equation*} 			f(x) 			= 			\frac{1}{2}x + 1 			\geq 1 			\qquad 			\forall x \in [0,+\infty). 		\end{equation*}

    Per nessun numero x appartenente al dominio, quindi, si ha f(x) \in (-2,0). Occorre allora concludere che

    (30)   \begin{equation*} 			f^{-1}\big((-2,0) \big) 			= 			\emptyset. 		\end{equation*}

Esempio 1.16. Sia a la successione dell’esempio 1.5.

    \[\quad\]

  • Calcoliamo la controimmagine dell’intervallo (\dfrac{1}{4},2], cioè

    (31)   \begin{equation*} 			f^{-1}\bigg(\Big(\frac{1}{4},2\Big]\bigg) 			= 			\bigg\{ n \in \mathbb{N} \colon a(n)=a_n \in \Big(\frac{1}{4},2\Big] \bigg\}. 		\end{equation*}

    Occorre cioè trovare i numeri naturali n \in \mathbb{N} tali che \dfrac{1}{n} soddisfi la disuguaglianza

    (32)   \begin{equation*} 			\frac{1}{4} 			< 			\frac{1}{n} 			\leq 			2. 		\end{equation*}

    Poiché una disuguaglianza tra i reciproci di numeri positivi equivale alla disuguaglianza opposta tra i numeri stessi, (32) è equivalente a

    (33)   \begin{equation*} 			4 > n \geq \frac{1}{2}. 		\end{equation*}

    Poiché n è un numero naturale, tutte e sole le soluzioni di tale disuguaglianza sono gli elementi dell’insieme \{1,2,3\}. Si ha quindi

    (34)   \begin{equation*} 			f^{-1}\bigg(\Big(\frac{1}{4},2\Big]\bigg) 			= 			\{1,2,3\}. 		\end{equation*}

    Si veda il grafico della successione a_n contenuto nella figura 9 per una intuizione visiva di tale risultato: si cercano le ascisse di tutti i punti in blu la cui ordinata appartiene all’insieme (\dfrac{1}{4},2]; si può immaginare di “tagliare” il piano con una striscia orizzontale compresa tra l’estremo inferiore y= \dfrac{1}{4} e l’estremo superiore y=2 e considerare solo le parti di grafico comprese in tale striscia. Le ascisse dei punti appartenenti a questa parte di grafico costituiscono quindi la controimmagine cercata.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 9: la controimmagine, tramite la successione a dell’esempio 1.3, dell’insieme (\dfrac{1}{4},2) (rappresentata in verde sull’asse x).

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Esercizio 1.17  (\bigstar\largewhitestar\largewhitestar\largewhitestar\largewhitestar). Sia a la successione dell’esempio 1.5. Calcolare la controimmagine tramite a dell’intervallo (0,\dfrac{1}{4}).

        \[\quad\]

    Proposizione 1.18 (unione e intersezione di controimmagini). Sia f \colon E \to F una funzione e siano A,B \subseteq F. Allora, vale

        \[\quad\]

    1. (35)   \begin{equation*} 				f^{-1}(A\cup B)= f^{-1}(A)\cup f^{-1}(B); 			\end{equation*}

    2.  

    3. (36)   \begin{equation*} 				f^{-1}(A \cap B) = f^{-1}(A)\cap f^{-1}(B). 			\end{equation*}

        \[\quad\]

    Dimostrazione.

        \[\quad\]

    1. Si ha

          \[\begin{aligned} 			f^{-1}(A\cup B)&=\left\{ x\in E :f(x) \in A \vee f(x)\in B \right\}=\\ 			&=	\left\{ x\in E :f(x) \in A \right\}\cup \left\{ x\in E : f(x)\in B \right\}= f^{-1}(A)\cup f^{-1}(B). 		\end{aligned}\]

    2.  

    3. Si ha

          \[\begin{aligned} 	f^{-1}(A\cap B)	&=\left\{ x\in E :f(x) \in A \wedge f(x)\in B \right\}=\\ 			&=	\left\{ x\in E :f(x) \in A \right\}\cap \left\{ x\in E : f(x)\in B \right\}= f^{-1}(A)\cap f^{-1}(B). 		\end{aligned}\]


Operazioni sui numeri reali e funzioni.

Spesso, per semplicità, si tende a confondere una funzione f con l’espressione che la definisce, indicata con f(x). Ad esempio, le operazioni che possiamo definire su un numero reale x tramite operazioni elementari (somme, moltiplicazioni, potenze, ecc …) sono dette “espressioni algebriche” perché coinvolgono operazioni algebriche. Altri esempi di operazioni sui numeri reali sono i radicali (radici quadrate, cubiche, ecc…), l’esponenziazione, il logaritmo, e molte altre, che sono dette invece “espressioni analitiche”. Notiamo che, secondo la definizione data, cf. definizione 1.1 una funzione non è univocamente determinata dall’espressione che la definisce, quindi, ad esempio, la richiesta

Determinare il dominio della funzione f(x)=\dfrac{1}{x}

non ha senso secondo le definizioni date in queste note.

Infatti, nella definizione 1.1, il dominio E e il codominio F sono dati a priori, e fanno parte del dato di una funzione.

Quello che ha senso, invece, è chiedersi: data un’operazione f(x), sul numero x \in \mathbb{R}, quali sono tutti i possibili valori x per cui essa è ben definita?

In generale, una funzione elementare f sarà definita tramite un’espressione algebrica o analitica, dunque la richiesta corretta sarebbe

Determinare tutti i valori di x\in \mathbb{R} per cui f(x)=\dfrac{1}{x} è ben definita,

che si traduce nel determinare il più grande sottoinsieme D di \mathbb{R} per il quale tutte le operazioni coinvolte nell’espressione f(x) siano ben definite, così che esista la funzione f: x \in D \mapsto f(x) \in \mathbb{R}.

Solitamente ci si riferisce a tale sottoinsieme come l’insieme di definizione di f, cf. definizione 3.1. Con un abuso di notazione, parleremo dunque di “dominio” di una funzione f(x), riferendoci a tale sottoinsieme massimale. Per comprendere meglio questo concetto, mostriamo nel prossimo esempio come un’espressione f(x) possa rappresentare più di una funzione.

Esempio 1.19. Sia f(x)=x^2=x\cdot x.

    \[\quad\]

  • Consideriamo la funzione f_1 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} definita da

    (37)   \begin{equation*} 			f_1(x)=x^2 			\qquad 			\forall x \in \mathbb{R}. 		\end{equation*}

  •  

  • Consideriamo invece la funzione f_2 \colon \mathbb{R}\to \mathbb{R}^+_0 definita da

    (38)   \begin{equation*} 			f_2(x)=x^2 			\qquad 			\forall x \in \mathbb{R}. 		\end{equation*}

  •  

  • Infine, consideriamo la funzione f_3 \colon \mathbb{R}_0^+\to \mathbb{R}_0^+ definita da

    (39)   \begin{equation*} 			f_3(x)=x^2 			\qquad 			\forall x \in \mathbb{R}_0^+. 		\end{equation*}

Pur essendo definite dalla stessa espressione analitica, formalmente le funzioni f_1,f_2,f_3 sono diverse, in quanto hanno diverso dominio o diverso codominio. In figura 10 sono riportati i grafici di f_1,f_2,f_3.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 10: grafici delle funzioni f_1,f_2,f_3 nei rispettivi domini e codomini.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

 

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Proprietà delle funzioni

Funzioni iniettive, suriettive, biettive.

In questa sezione introduciamo i concetti fondamentali di iniettività, suriettività e biettività.

    \[\quad\]

Definizione 2.1. Siano E,F due insiemi. Una funzione f:E\to F si dice

    \[\quad\]

  • iniettiva se, per ogni x, y \in E, f(x)=f(y) implica x=y (oppure, equivalentemente x\neq y implica f(x)\neq f(y)).
  •  

  • suriettiva se l’immagine di f è tutto il codominio, ovvero {\rm Im}(f)=F (oppure, equivalentemente \forall \,y\in F \exists \, x\in E tale che y=f(x)).
  •  

  • biettiva (o biunivoca) se è contemporaneamente iniettiva e suriettiva.

    \[\quad\]

Prima di fornire qualche esempio esplicito per le funzioni reali, mostriamo in figura 11 dei diagrammi che spiegano l’idea intuitiva dietro alla definizione di iniettività, suriettività e biettività.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 11: esempi grafici di iniettività, di suriettività e di biettività.

    \[\quad\]

Esempio 2.2. Siano f_1,f_2,f_3 le funzioni dell’esempio 1.19. Notiamo che, per esempio, f_1(2)=f_1(-2)=4 e, più in generale, si ha

(40)   \begin{equation*} 		f_1(x)=f_1(-x) 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}. 	\end{equation*}

Dunque f_1 non è iniettiva (e quindi non è biettiva). Inoltre, poiché il codominio è \mathbb{R} ma \operatorname{Im}( f)=\mathbb{R}_0^+, f_1 non è neanche suriettiva.

L’azione di f_2 coincide quindi con quella di f_1, con l’unica differenza che il codominio di f_2 è il sottoinsieme \mathbb{R}_0^+ di \mathbb{R}. Come prima, f_2 non è iniettiva; essa è però suriettiva poiché \operatorname{Im} (f) coincide con il codominio. Infine, la funzione f_3 è biunivoca, poiché ad ogni elemento del dominio corrisponde uno ed un solo elemento del codominio.

Osservazione 2.3. Esiste una caratterizzazione grafica dell’iniettività e della suriettività. Infatti, rappresentando una funzione f \colon E \to F come un grafico nel piano cartesiano si hanno le seguenti proprietà

    \[\quad\]

  • f è iniettiva se e solo se ogni retta parallela all’asse x di equazione y=y_0 interseca il grafico di f in al più un punto, la cui ascissa è l’eventuale x_0 \in{\rm Dom}(f) tale che f(x_0)=y_0.
  •  

  • f è suriettiva se e solo se ogni retta parallela all’asse x di equazione y=y_0 con y_0 \in F interseca \Gamma_ f in almeno un punto, le cui ascisse coincidono con gli x \in {\rm Dom}( f) tali che f(x)=y_0.
  •  

  • f è biettiva se e solo se ogni retta parallela all’asse x di equazione y=y_0 con y_0 \in F interseca \Gamma_f in esattamente un punto, la cui ascissa è l’unico x_0 \in {\rm Dom}(f) tale che f(x_0)=y_0.

Si possono caratterizzare le proprietà di iniettività, suriettività e biettività in termini di controimmagini, come mostra la seguente proposizione, che è una traduzione in termini formali dell’osservazione 2.3.

Proposizione 2.4. Sia f \colon E \to F una funzione. Allora valgono le seguenti caratterizzazioni:

    \[\quad\]

  1. f è iniettiva se e solo se, per ogni y \in F, f^{-1}(\{y \}) è un insieme costituito da al più un elemento;
  2.  

  3. f è suriettiva se e solo se

    (41)   \begin{equation*} 				\forall y \in F 				\quad 				f^{-1}(\{y \}) 				\neq 				\emptyset; 			\end{equation*}

  4.  

  5. f è biettiva se e solo se

    (42)   \begin{equation*} 				\forall y \in F 			\quad 			\# 			f^{-1}(\{y \}) 			= 			1. 			\end{equation*}

    \[\quad\]

Dimostrazione.

    \[\quad\]

  1. f è iniettiva se e solo se ogni elemento y \in F è immagine di al più un elemento del dominio, quindi, per definizione di controimmagine, se e solo se per ogni y \in F, f^{-1}(\{y \}) è un insieme costituito da al più un elemento;
  2.  

  3. f è suriettiva se e solo se ogni elemento y \in F è immagine di almeno un elemento del dominio, quindi, per definizione di controimmagine, se e solo se, per ogni y \in F, f^{-1}(\{y \}) \neq \emptyset.
  4.  

  5. Unendo i due punti precedenti, si ha che f è biettiva se e solo se, per ogni y \in F, f^{-1}(\{y \}) è non vuoto e costituito al più da un elemento, quindi f^{-1}(\{y \}) è costituito da esattamente un elemento, come afferma l’enunciato.

Osservazione 2.5. La formula (42) può essere riscritta come

(43)   \begin{equation*} 			\forall y \in F 			\quad 			\exists! x \in E \colon 			f^{-1}(\{y \}) 			= 			\{x\}, 	\end{equation*}

la quale assomiglia moltissimo alla (1). In (42), però, F sembra giocare il ruolo di dominio, mentre E quello del codominio. La proposizione 2.4 sembrerebbe cioè suggerire che, data una funzione f \colon E \to F biunivoca, si possa definire una funzione g \colon F \to E che a ogni y \in F associ l’unico elemento x \in E dell’insieme f^{-1}(\{y \}). Tale intuizione è corretta, e infatti si veda la sezione 2.2.4 e in particolare la proposizione 2.27 per una discussione più approfondita.


Operazioni elementari sulle funzioni.

In questa sezione vediamo come le operazioni elementari definite sui numeri reali, i.e. somma e prodotto, si possono trasportare sull’insieme delle funzioni \left\{ f:E \to \mathbb{R} : f \mbox{ è funzione} \right\}, per E un insieme qualunque. Inoltre, vediamo che si possono definire nuove operazioni sulle funzioni, stavolta valide per funzioni il cui dominio e/o codominio è un insieme qualunque, i.e. la composizione di funzioni, la funzione inversa e la restrizione di funzioni.

Ricordiamo la seguente definizione.

    \[\quad\]

Definizione 2.6 (operazione). Sia A un insieme e n\in \mathbb{N} un numero naturale. Una funzione

(44)   \begin{equation*} 			\ast: A^n= \underbrace{A \times A \times \dots \times A}_{n\mbox{ - volte}} \to A 		\end{equation*}

è detta operazione n-aria.

    \[\quad\]

Nel seguito tratteremo solo il caso n=1,2, ovvero il caso delle operazioni unarie e binarie, rispettivamente. Osserviamo che un’operazione unaria su A è semplicemente una funzione da A in sè. Data un’operazione binaria \ast, e due elementi a,b \in A, scriviamo a\ast b per indicare l’immagine di (a,b) tramite \ast.

Esempio 2.7 (operazioni unarie). Un esempio di operazione unaria su A=\mathbb{R} è la funzione che assegna a un numero reale il suo opposto, i.e. f: \mathbb{R} \to \mathbb{R} definita da

    \begin{equation*} 		f(x) \coloneqq -x \qquad \forall x \in \mathbb{R}. 	\end{equation*}

Un altro esempio è costituito dall’operazione su A=\mathbb{R}^* data dalla funzione g: \mathbb{R}^* \to  \mathbb{R}^*, definita da

    \begin{equation*} 		g(x) \coloneqq \frac{1}{x} \qquad \forall x \in \mathbb{R}^*. 	\end{equation*}

che assegna a un numero non nullo il suo reciproco.

Esempio 2.8 (operazioni binarie). Un esempio di operazione binaria su A=\mathbb{R} è la funzione che assegna a due numeri reali la loro somma:

    \[+: (x,y) \in \mathbb{R}^2 \mapsto x+y\in \mathbb{R}.\]

Un altro esempio di operazione binaria su è costituito dall’operazione che assegna a due numeri reali il loro prodotto:

    \[\cdot :(x ,y)\in \mathbb{R}^2 \mapsto x\cdot y \in \mathbb{R}.\]

Per comodità del lettore, richiamiamo le seguenti proprietà di un’operazione.

    \[\quad\]

Definizione 2.9 (proprietà di un’operazione). Sia A un insieme e \ast un’operazione unaria su A. Si dice che \ast gode della

    \[\quad\]

  • Proprietà involutiva, se \forall a \in A \qquad \ast(\ast(a))=a.

Sia A un insieme e \ast un’operazione binaria su A. Si dice che \ast gode della

    \[\quad\]

  • Proprietà commutativa, se \forall a,b \in A \qquad a \ast b =b\ast a;
  •  

  • Proprietà associativa, se \forall a,b,c\in A\qquad a\ast (b\ast c)=(a \ast b)\ast c;
  •  

  • Elemento neutro, se esiste e \in A tale che \forall a \in A\qquad a \ast e=e \ast a=a.

    \[\quad\]

Somma di funzioni

Definiamo la somma di due funzioni reali.

Definizione 2.10 (somma di funzioni). Siano E un insieme e f,g:E \to \mathbb{R} due funzioni. La funzione f+g:E \to \mathbb{R} definita da

(45)   \begin{equation*} 			(f+g)(x)\coloneqq f(x)+g(x) \qquad \forall\, x \in E, 	\end{equation*}

è detta somma delle funzioni f e g.

    \[\quad\]

Osserviamo che è possibile definire la somma di due funzioni quando il loro codominio è un insieme dotato di una somma. Più in generale, dati \alpha,\beta \in \mathbb{R} possiamo definire la combinazione lineare di f e g con coefficienti \alpha e \beta la funzione

    \[\alpha f + \beta g: E \to \mathbb{R}, \quad (\alpha f + \beta g)(x)\coloneqq \alpha f (x)+ \beta g(x).\]

Le seguenti proprietà della somma di funzioni sono facilmente dimostrabili a partire dalle analoghe proprietà dei numeri reali, e invitiamo il lettore a dimostrarle per esercizio.

    \[\quad\]

Proposizione 2.11 (proprietà della somma). La somma di funzioni definita da (45) gode della proprietà commutativa e associativa: date f,g,h: E \to \mathbb{R}, si ha

(46)   \begin{equation*} 			f+g=g+f \quad \mbox{e} \quad f+(g+h)=(f+g)+h. 		\end{equation*}

L’elemento neutro è dato dalla funzione nulla, i.e. la funzione costante

    \[f(x)=0 \qquad \forall x \in E.\]

    \[\quad\]

Facciamo un esempio.

Esempio 2.12. Un caso particolare della definizione precedente si ha quando una delle funzioni è costante. Si considerino f,g \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} le funzioni definite da

(47)   \begin{equation*} 		f(x)=x^2,\;  		g(x)=2 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}; 	\end{equation*}

In altre parole g è la funzione costante di valore 2. Si ha

(48)   \begin{equation*} 		(f+g)(x)= x^2 + 2 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}. 	\end{equation*}

In questo caso, il grafico di f+g si ottiene a partire da quello di f traslandolo in verticale di una quantità pari a 2, cf. figura 12. Rimandiamo alla sezione 2.2.6 per ulteriori dettagli.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 12: grafico delle funzioni f,g (rispettivamente in nero e verde) dell’esempio 2.12, e della loro somma f+g (in blu), ottenuto traslando \Gamma_f verticalmente di un’ampiezza pari a 2.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Prodotto di funzioni

Definizione 2.13 (prodotto). Siano E un insieme e f,g:E \to \mathbb{R} due funzioni. La funzione fg:E \to \mathbb{R} definita da

(49)   \begin{equation*} 		(fg)(x)=f(x)g(x)\qquad \forall\, x \in E,	 		\end{equation*}

è detta prodotto delle funzioni f e g.

    \[\quad\]

Osserviamo che è possibile definire il prodotto di due funzioni quando il loro codominio è un insieme dotato di un prodotto. Le seguenti proprietà del prodotto di funzioni sono facilmente dimostrabili a partire dalle analoghe proprietà dei numeri reali, e invitiamo il lettore a dimostrarle per esercizio.

    \[\quad\]

Proposizione 2.14 (proprietà della somma). Il prodotto di funzioni definita da (49) gode della proprietà commutativa e associativa: date f,g,h: E \to \mathbb{R}, si ha

(50)   \begin{equation*} 			fg=gf \quad \mbox{e} \quad f(gh)=(fg)h. 		\end{equation*}

L’elemento neutro è dato dalla funzione unitaria, i.e. la funzione costante

    \[f(x)=1 \qquad \forall x \in E.\]

    \[\quad\]

Facciamo un esempio.

Esempio 2.15. Un caso particolare della definizione precedente si ha quando una delle funzioni è costante. Si considerino f,g \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} le funzioni definite nell’esempio 2.12: si ha

(51)   \begin{equation*} 		(fg)(x)=2x^2 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}. 	\end{equation*}

In questo caso, il grafico di fg si ottiene dilatando \Gamma_ f nella direzione verticale di un fattore pari a 2, cf. figura 13. Rimandiamo alla sezione 2.2.6 per ulteriori dettagli.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 13: grafico delle funzioni f,g (rispettivamente in nero e verde) dell’esempio 2.12, e del loro prodotto fg (in blu), ottenuto dilatando verticalmente \Gamma_ f di un fattore 2.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Composizione di funzioni

Quando l’immagine di una funzione coincide con il (o, più in generale, è un sottoinsieme del) dominio di un’altra funzione, è possibile definire l’operazione di composizione di funzioni, indicata con il simbolo \circ, nel modo seguente.

Definizione 2.16. Siano E,F,G tre insiemi, f:E\to F e g:F\to G due funzioni. La funzione composta

    \[ 		g\circ f : E \to G 		\]

è definita da

(52)   \begin{equation*} 				(g \circ f )(x)\coloneqq g(f(x))\qquad \forall\, x \in E. 		\end{equation*}

    \[\quad\]

Possiamo schematizzare la definizione di funzione composta appena data con il seguente diagramma.

In generale, laddove possibile, possiamo comporre n\in \mathbb{N} funzioni.

Per esempio, date n funzioni3 \{f_i:E\to E\}_{i=1}^n, è ben definita la composizione

    \[ f_n\circ f_{n-1}\circ \cdots \circ f_1: E\to E. \]

Osservazione 2.17. È chiaro dalla definizione che l’operazione di composizione g \circ f è ben definita se e solo se {\rm Im}(f) \subseteq {\rm Dom }(g).

Definiamo ora una particolare funzione che gioca il ruolo di elemento neutro per l’operazione di composizione, cf. proposizione 2.19.


  1. Notare che, per semplicità, abbiamo preso il dominio di tutte le funzioni uguale al codominio; tuttavia basterebbe che il codominio della funzione f_{i-1} sia contenuto nel dominio di f_i, per ogni i=2,..,n.

Definizione 2.18. Dato un insieme E, si chiama identità di E o funzione identica su E la funzione \operatorname{Id}_E: E \to E definita da

(53)   \begin{equation*} 			\operatorname{Id}_E(x)\coloneqq x \qquad \forall x \in E. 		\end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 14: grafico della funzione {\rm Id}_{\mathbb{R}}:\mathbb{R} \to \mathbb{R}, ovvero il luogo dei punti (x,y)\in \mathbb{R}^2 tali che y=x. Tale grafico rappresenta la retta bisettrice del primo e terzo quadrante.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Proposizione 2.19. (proprietà della composizione). La composizione di funzioni definita da (52) gode della proprietà associativa: date f,g,h: E \to \mathbb{R}, si ha

(54)   \begin{equation*} 		(f\circ g)\circ h=f\circ (g\circ h). 	\end{equation*}

Tuttavia, essa non gode della proprietà commutativa. L’elemento neutro è dato dalla funzione identica, definita da (53):

(55)   \begin{equation*} 		f \circ \operatorname{Id}_E=f \quad \mbox{e} \quad \operatorname{Id}_F\circ f=f. 	\end{equation*}

    \[\quad\]

La dimostrazione dell’associatività della composizione e dell’elemento neutro è un semplice esercizio di scrittura e viene lasciato al lettore. Osserviamo che, in virtù dell’uguaglianza (54), possiamo utilizzare il simbolo h \circ g \circ f per indicare la composizione delle tre funzioni h,g,f (altrimenti occorrerebbe specificare con le parentesi quale composizione effettuare per prima).

Dimostriamo che l’operazione di composizione non è commutativa con il prossimo esempio.

Esempio 2.20. Consideriamo le funzioni f:\mathbb{R}\to \mathbb{R}^+_0 e g:\mathbb{R}^+_0\to \mathbb{R} date da

    \[f(x)=x^2+2 \qquad \forall x \in \mathbb{R}, \quad g(x)=\sqrt x\qquad \forall x \in \mathbb{R}_0^+.\]

Osserviamo che è ben definita la composizione h=g\circ f: \mathbb{R}^+\to \mathbb{R} ed è data da

    \[ 	(g\circ f)(x)=g(f(x))=g(x^2+2)=\sqrt{x^2+ 2}. 	\]

Notiamo inoltre che è ben definita anche f\circ g: \mathbb{R}^+_0 \to \mathbb{R}^+_0, ed è data da

    \[ 	(f\circ g)(x)=f(g(x))=f(\sqrt x)=(\sqrt x)^2+2=|x|+2=x+2, 	\]

dove l’ultima uguaglianza deriva dal fatto che x\geq 0 poiché {\rm Dom}( f) = \mathbb{R}^+_0.

Notiamo che g\circ f \neq f\circ g.

Esempio 2.21. Date le funzioni f:\mathbb{R}^+_0 \to \mathbb{R} e g: \mathbb{R} \to \mathbb{R} definite da

(56)   \begin{equation*} 	f(x)=\sqrt x\qquad \forall x \in \mathbb{R}_0^+, 	\quad 	g(x)=-x 	\qquad 	\forall x \in \mathbb{R}, \end{equation*}

la composizione g \circ f \colon x \in \mathbb{R}_0^+ \mapsto -\sqrt x \in \mathbb{R} è ben definita, mentre f\circ g non lo è, visto che

(57)   \begin{equation*} 	{\rm Im} (g )= \mathbb{R} \nsubseteq {\rm Dom} (f) = \mathbb{R}^+_0, \end{equation*}

Se però restringiamo il dominio di g all’insieme \mathbb{R}^-_0, cf. definizione 2.29, cioè consideriamo la funzione g_1 \colon \mathbb{R}^-_0 \to \mathbb{R}^+_0 definita da g_1(x)=-x, la composizione f\circ g_1 \colon \mathbb{R}^-_0 \to \mathbb{R} risulta ben definita e pari a

(58)   \begin{equation*} 	(f \circ g_1)(x) 	= 	\sqrt{-x} 	\qquad 	\forall x \in \mathbb{R}^-_0. \end{equation*}

Funzione inversa

Definiamo ora un’importante classe di funzioni, quelle invertibili.

Definizione 2.22 (invertibilità). Siano E,F due insiemi. Una funzione f:E\to F si dice invertibile se esiste una funzione g:F\to E tale che

(59)   \begin{equation*} 			g \circ f = \operatorname{Id}_E \quad \mbox{e} \quad 	f \circ g =\operatorname{Id}_F. 		\end{equation*}

Una funzione g che soddisfa l’equazione di sinistra nella (59) si chiama una inversa a sinistra di f, mentre una funzione g che soddisfa l’equazione di destra nella (59) si chiama una inversa a destra di f.

    \[\quad\]

Notiamo che possiamo riformulare la definizione precedente dicendo che una funzione f è invertibile se esiste una funzione g che è una inversa sia a destra che a sinistra.

Proposizione 2.23 (proprietà della funzione inversa). Sia f:E\to F una funzione invertibile. Allora, valgono le seguenti proprietà:

    \[\quad\]

  • Unicità. Se f ammette un’inversa a sinistra g_1 e un’inversa a destra g_2, allora g_1=g_2 e f è invertibile. In particolare, la funzione g data dalla definizione 2.22, se esiste, è unica e viene detta funzione inversa di f. Essa si denota con f^{-1};
  •  

  • Proprietà involutiva. Se f:E\to F è invertibile, allora anche f^{-1}:F \to E lo è e vale (f^{-1})^{-1}=f;
  •  

  • Inversa della composizione. Se f:E\to F e g:F\to G sono invertibili, allora g\circ f è invertibile e si ha (g\circ f)^{-1}=f^{-1}\circ g^{-1}.

    \[\quad\]

Dimostrazione.

    \[\quad\]

  • Unicità. Supponiamo che esista un’inversa a sinistra g_1 e un’inversa a destra g_2. Dunque, vale

    (60)   \begin{equation*} 		g_1 \circ f= \operatorname{Id}_E \quad \mbox{e} \quad f \circ g_2  = \operatorname{Id}_F 	\end{equation*}

    Consideriamo l’equazione di sinistra in (60). In essa, componiamo a destra ambo i membri con g_2 (il che è lecito poiché il dominio di g_1\circ  f coincide con il codominio di g_2) e utilizziamo la (55), così da ottenere

    (61)   \begin{equation*} 			(g_1 \circ f) \circ   g_2=\operatorname{Id}_E \circ\, g_2= g_2. 	\end{equation*}

    D’altra parte, utilizzando in (61) l’associatività della composizione, cf. (54), l’equazione di destra in (60), e infine la (55), otteniamo

    (62)   \begin{equation*} 		(g_1 \circ f) \circ   g_2=	g_1 \circ (f \circ g_2) = g_1 \circ {\rm Id}_F=  g_1  	\end{equation*}

    che implica, paragonando (61) e (62),

        \[ 	g_1=g_2. 	\]

    Si noti che, in particolare, se esistono due funzioni g, \tilde g \colon F \to E che soddisfano (59), allora si ha necessariamente g=\tilde g. Infatti, g è, in particolare, un’inversa a sinistra di f, e \tilde g è, in particolare, un’inversa a destra di f. Possiamo parlare dunque della funzione inversa di f riferendoci, se esiste, all’unica funzione g che soddisfa (59).

  •  

  • Proprietà involutiva. Scambiando i ruoli di f e g nella definizione 2.22, si vede immediatamente che f è l’inversa di f^{-1}. Per l’unicità appena dimostrata, l’inversa di f^{-1} è unica; siccome entrambe le funzioni f e (f^{-1})^{-1} sono inverse di f^{-1}, devono coincidere;
  •  

  • Inversa della composizione. Per l’associatività della composizione, cf. (54), si ha

        \[(f^{-1}\circ g^{-1})\circ (g\circ f)= (f^{-1}\circ (g^{-1}\circ g))\circ f= ( f^{-1}\circ ({\rm Id}_F))\circ f=f^{-1}\circ f={\rm Id}_E,\]

    ovvero f^{-1}\circ g^{-1} è un’inversa a sinistra di g\circ f. Analogamente, si prova che è un’inversa a destra.

Lemma 2.24. Siano f:E \to F e g: F \to E due funzioni. Allora, g è l’inversa di f se e solo se soddisfa

(63)   \begin{equation*} 		y=f(x) \iff x=g(y) \quad  \forall x\in E,\;y\in F. 	\end{equation*}

    \[\quad\]

Dimostrazione. Se g soddisfa (63), allora

    \[(f\circ g)(y)=f(g(y))=f(x)=y \qquad \forall y\in F,\]

e

    \[(g\circ f )(x)=g(f(x))=g(y)=x \qquad \forall x\in E,\]

dunque g è l’inversa di f. Viceversa, se g è l’inversa di f, dall’equazione (59) otteniamo che

    \[\forall x \in E \qquad y=f(x) \iff g(y)=g(f(x))=x,\]

e analogamente

    \[\forall y \in F \qquad x=g(y) \iff f(x)=f(g(y))=y.\]

Tale osservazione si traduce un metodo pratico per determinare la funzione inversa, se esiste, di una funzione f: basta risolvere l’equazione

    \[y=f(x)\]

rispetto a x \in E.

Esempio 2.25 (esempio di funzione invertibile). Sia f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} la funzione definita da

(64)   \begin{equation*} 		f(x) 		= 		5x - 2 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}. 	\end{equation*}

Verifichiamo che essa è invertibile e calcoliamo la sua inversa. In virtù del lemma 2.24, per ogni y \in \mathbb{R} occorre risolvere l’equazione nella variabile x

(65)   \begin{equation*} 		y=f(x) 		= 		5x -2. 	\end{equation*}

Si ha quindi

(66)   \begin{equation*} 		x = \frac{y+2}{5}. 	\end{equation*}

Chiamando g \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} la funzione definita da

(67)   \begin{equation*} 		g(y) 		= 		\frac{y+2}{5} 		\qquad 		\forall y \in \mathbb{R}, 	\end{equation*}

si ha

(68)   \begin{equation*} 		\begin{gathered} 			g(f(x))=g(5x-2) 			=\frac{(5x-2)+2}{5} 			= 			x 			\qquad 			\forall 			x \in \mathbb{R}, 			\\ 			f(g(y)) 			= 			f\Big( \frac{y+2}{5} \Big) 			= 			5\Big( \frac{y+2}{5} \Big)-2 			= 			y 			\qquad 			\forall 			y \in \mathbb{R}. 		\end{gathered} 	\end{equation*}

Dunque f è invertibile e g=f^{-1}.

    \[\quad\]

Esercizio 2.26  (\bigstar\bigstar\largewhitestar\largewhitestar\largewhitestar). Mostrare che, se

    \[f \colon E \subseteq  \mathbb{R} \to F \subseteq  \mathbb{R}\]

è invertibile, allora il grafico della funzione inversa f^{-1} è simmetrico a quello di f rispetto alla retta bisettrice y=x.

    \[\quad\]

(Suggerimento: si consideri un punto arbitrario P=(x, f(x))\in \Gamma_f e si noti che la proprietà di simmetria voluta consiste nel verificare che

    \[\forall x \in E, \; \forall y \in F \qquad 	(x,y) \in \Gamma_f \; \iff \; (y,x) \in \Gamma_{f^{-1}}.\]

Utilizzare infine la proprietà (63). Per una visualizzazione di tale proprietà, si veda ad esempio la figura 15.)

Notiamo, cf. osservazione 2.5, che se una funzione f: E \to F è biettiva, allora

    \[\forall \,y \in F \quad  \exists \,! \, x \in E \; : \; f(x)=y,\]

ovvero è possibile definire la funzione che associa a y \in F l’unico x \in E tale che f(x)=y. La funzione così definita risulta essere l’inversa di f, come mostra nel dettaglio la prossima proposizione.

Proposizione 2.27 (condizione equivalente all’invertibilità). Siano E,F due insiemi tale che E sia non vuoto, e sia f:E\to F una funzione. Allora,

    \[\quad\]

  1. la funzione f ammette un’inversa a sinistra se e solo se è iniettiva;
  2.  

  3. la funzione f ammette un’inversa a destra se e solo se è suriettiva;
  4.  

  5. la funzione f è invertibile se e solo se è biettiva.

    \[\quad\]

Dimostrazione. Notiamo che, poiché abbiamo supposto E non vuoto, si ha necessariamente che F è non vuoto4.

    \[\quad\]

  1. Sia g un’inversa a sinistra di f, ovvero g \circ f={\rm Id}_E. Allora, dati x,y \in E tali che f(x)=f(y), applicando g a entrambi membri otteniamo

        \[g(f(x))=g(f(y)),\]

    ovvero x=y, dunque f è iniettiva.

    Supponiamo ora che f sia iniettiva e costruiamo un’inversa a sinistra come segue. Fissiamo un elemento x_0 \in E qualunque. Sia y \in F e supponiamo che y non sia immagine di alcun x \in E, i.e. y \notin f(E). In questo caso poniamo g(y)\coloneqq x_0. Se, invece, esiste x \in E tale che y=f(x), poniamo g(y)\coloneqq x. Per l’iniettività di f, tale x è unico e dunque g associa ad ogni y \in f(E), l’unico elemento x\in E tale che y=f(x); in altri termini, definiamo

        \[g(y) \coloneqq \begin{cases} 	x_0, & \mbox{ se } f^{-1}(y) =\emptyset;\\ 	x, & \mbox{ se } f^{-1}(y)=\left\{ x \right\}. \end{cases}\]

    Per costruzione, abbiamo

        \[g(f(x))=g(y)=x\qquad \forall x \in E,\]

    dunque g è un’inversa a sinistra di f.

  2.  

  3. Sia g un’inversa a destra di f, ovvero f \circ g={\rm Id}_F. Allora, poiché per ogni y \in F abbiamo che

        \[f(g(y))=y,\]

    si ha y\in f(E). Concludiamo che f è suriettiva. Supponiamo ora f suriettiva e costruiamo un’inversa a destra come segue. Sia y \in F e scegliamo un elemento x \in E tale che f(x)=y. Notiamo che l’esistenza di tale elemento è garantita dalla suriettività di f. Definiamo g(y)\coloneqq x. Per costruzione, abbiamo

        \[f(g(y))=f(x)=y\qquad  \forall y \in F,\]

    dunque g è un’inversa a destra di f.

  4.  

  5. Se f è invertibile, per definizione esiste una funzione g che è un’inversa di f sia a sinistra che a destra. Allora, per quanto appena visto, f è contemporaneamente iniettiva e suriettiva, ovvero biettiva. Viceversa, se è biettiva, abbiamo visto che f ammette un’inversa a sinistra g_1 e un’inversa a destra g_2, e si ha necessariamente g_1=g_2, cf. punto 1. della proposizione 2.23.
    1. Ciò segue dalla definizione di funzione, cf. definizione 1.1. Notiamo che il caso E vuoto è banale.

        \[\quad\]

    Esempio 2.28. Ricordando gli esempi 1.19, 2.2, notiamo che la funzione

        \[f:\mathbb{R}_0^+\to \mathbb{R}_0^+, \; f(x)=x^2\]

    è invertibile, in quanto è contemporaneamente iniettiva e suriettiva. La funzione inversa può essere calcolata esplicitamente usando la definizione. Infatti, si ha

        \[ x\in \mathbb{R}_0^+ \;\wedge\;	y=f(x)\quad  \iff \quad x=f^{-1}(y). 	\]

    Dato che

        \[ x \geq 0\; \wedge\;	y=x^2\quad \iff\quad  x=\sqrt y, 	\]

    segue che la funzione inversa è

        \[f^{-1}:\mathbb{R}_0^+\to \mathbb{R}_0^+,\;f^{-1} (x)=\sqrt x.\]

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 15: grafico della funzione f:\mathbb{R}_0^+\to \mathbb{R}_0^+, \; f(x)=x^2 (in blu) ristretta ad \mathbb{R}^+ e della sua inversa g:\mathbb{R}_0^+\to \mathbb{R}_0^+, \; g(x)=\sqrt x (in verde). In figura 15 è mostrata anche la simmetria dei due grafici rispetto alla retta y=x (tratteggiata in rosso), cf. esercizio 2.24.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Restrizione di funzioni

    Spesso è utile restringere il dominio di una funzione in modo che la funzione ottenuta da questa operazione sia invertibile. Questo motiva la seguente definizione.

    Definizione 2.29 (restrizione). Sia f:E \to F una funzione.

        \[\quad\]

    • Dato un sottoinsieme E' \subset E, indicheremo con f|_{E'} la funzione

          \[f|_{E'}: E' \to F\]

      ottenuta restringendo il dominio di f a E', ovvero

          \[ 			f|_{E'}(x)= f(x) \quad \forall x\in E'. 			\]

    •  

    • Dato un sottoinsieme F' \subset F tale che \operatorname{Im}(f) \subseteq F', indicheremo con f|^{F'} la funzione

          \[f|^{F'}: E \to F'\]

      ottenuta restringendo il codominio di f ad F', ovvero

          \[ 			f|^{F'}(x)= f(x) \qquad \forall x\in E. 			\]

    •  

    • Dati E',F' come sopra, indichiamo con f|_{E'}^{F'} la funzione f|_{E'}^{F'}:E' \to F' ottenuta restringendo il dominio di f a E' e il codominio di f ad F', ovvero

          \[f|_{E'}^{F'}(x)= f(x) \qquad \forall x\in E'.\]

        \[\quad\]

    Siano A \subseteq B due insiemi e indichiamo con

        \[i_A^B:A \to B\]

    la funzione inclusione di A in B, ovvero i_{A}^{B}(x)=x \forall x \in A. Osserviamo che la funzione f|_{E'} si può interpretare come la composizione

        \[f|_{E'}=f \circ i_{E'}^{E}.\]

    Osserviamo infine che l’ipotesi \operatorname{Im}(f)\subseteq F' è necessaria affinché la definizione di f|^{F'} abbia senso.5.

    Esempio 2.30. Siano f_1,f_2,f_3 le funzioni dell’esempio 1.19. Allora si ha

    (69)   \begin{equation*} 		f_2 		= 		f_1|^{\mathbb{R}^+}, 		\qquad 		f_3 		= 		f_2|_{\mathbb{R}^+} 		= 		f_1|_{\mathbb{R}^+}^{\mathbb{R}^+}. 	\end{equation*}

    Restringere il codominio di una funzione può essere utile per ottenere una funzione invertibile. Infatti, abbiamo visto nell’esempio 2.28 che f_3 è invertibile, mentre f_1 e f_2 non sono invertibili, in quanto non biettive, cf. esercizio 1.19.


    1. È per questo motivo che l’immagine \operatorname{Im}(f) è anche detta il codominio minimo di f.

        \[\quad\]

    Operazioni elementari sui grafici

    In questa sezione vediamo come ottenere nuovi grafici di funzione a partire da un dato grafico.

    Si consideri una funzione f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} e supponiamo di conoscerne il grafico. Risulta a volte naturale chiedersi come varia tale grafico effettuando delle semplici operazioni sulla funzione, di cui facciamo alcuni esempi:

        \[\quad\]

    • Sia T_x un numero reale fissato; che rapporto hanno \Gamma_f e \Gamma_ {f_1}, dove f_1 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} è la funzione definita da

      (70)   \begin{equation*} 		f_1(x) 		= 		f(x+ T_x) 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}? 	\end{equation*}

    •  

    • Sia ora T_y un numero reale fissato; che rapporto hanno \Gamma_ f e \Gamma_{ f_2}, dove f_2 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} è la funzione definita da

      (71)   \begin{equation*} 		f_2(x) 		= 		T_y + f(x) 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}? 	\end{equation*}

    •  

    • Più in generale, siano T_x,T_y due numeri reali fissati; che rapporto hanno \Gamma_f e \Gamma_{ f_3}, dove f_3 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} è la funzione definita da

      (72)   \begin{equation*} 		f_3(x) 		= 		T_y + f(x+ T_x) 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}? 	\end{equation*}

    •  

    • Sia k_x un numero reale fissato; che rapporto hanno \Gamma_{ f} e \Gamma_{ g_1}, dove g_1 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} è la funzione definita da

      (73)   \begin{equation*} 		g_1(x) 		= 		f(k_x x) 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}? 	\end{equation*}

    •  

    • Sia ora k_y un numero reale fissato; che rapporto hanno \Gamma_ f e \Gamma {g_2}, dove g_2 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} è la funzione definita da

      (74)   \begin{equation*} 		g_2(x) 		= 		k_y f(x) 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}? 	\end{equation*}

    •  

    • Più in generale, siano k_x,k_y due numeri reali fissati; che rapporto hanno \Gamma_ f e \Gamma_{ g_3}, dove g_3 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} è la funzione definita da

      (75)   \begin{equation*} 		g_3(x) 		= 		k_y f(k_x x) 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}? 	\end{equation*}

      In sintesi, ci chiediamo come varia il grafico di f effettuando delle operazioni (eventualmente combinate) di somma e prodotto con una costante sia per la variabile indipendente x, che per la variabile dipendente y.

      Si vedrà che tali grafici si ottengono effettuando le operazioni di traslazione e di dilatazione sul grafico originario. Più precisamente, la somma con una costante corrisponde a una traslazione, mentre i prodotti corrispondono a dilatazioni.

    Traslazione

    Le traslazioni sono particolari trasformazioni invertibili del piano in sè, la cui azione è un movimento rigido.

        \[\quad\]

    Definizione 2.31 (traslazione). Una funzione T \colon \mathbb{R}^2 \to \mathbb{R}^2 è detta una traslazione se esiste una coppia di numeri reali (T_x,T_y) tali che

    (76)   \begin{equation*} 			T(x,y) 			= 			(x+T_x,y+T_y) 			\qquad 			\forall (x,y) \in \mathbb{R}^2. 		\end{equation*}

    Una tale funzione è detta traslazione di vettore v\coloneqq(T_x,T_y).

    Se T_y=0, T è detta una traslazione lungo l’asse x, mentre nel caso in cui T_x=0, T è detta una traslazione lungo l’asse y.

    Osservazione 2.32. Osserviamo che, preso un sistema di riferimento \mathcal{R}=(O, (x,y)) su \mathbb{R}^2, una traslazione T di vettore v\coloneqq(T_x,T_y), induce un nuovo sistema di riferimento \mathcal{R}'=(O',(x',y')) sul piano, avente origine degli assi nel punto O' di coordinate (T_x,T_y) rispetto al sistema di riferimento \mathcal{R}, invece che nel punto O.

    Questo nuovo sistema di coordinate è tale che, scegliendo un punto P \in \mathbb{R}^2 del piano di coordinate (x,y) pari a (x_P,y_P), le coordinate (x_{T(P)}',y_{T(P)}') dell’immagine T(P) coincideranno con (x_P,y_P), ossia

    (77)   \begin{equation*} 		(x_{T(P)}',y_{T(P)}') 		= 		(x_P,y_P). 	\end{equation*}

    In altre parole, la traslazione T di vettore v=\overset{\longrightarrow}{OO'} corrisponde a definire un nuovo sistema di coordinare (x',y') che sposti l’origine degli assi da O a O'. In tale nuovo sistema di coordinate, l’immagine T(P) di un punto P ha le stesse coordinate che P aveva nel vecchio sistema (x,y). Il sistema di coordinate (x',y') è legato al vecchio sistema (x,y) dalle equazioni

    (78)   \begin{equation*} 		\begin{cases} 			x' = x - T_x\\ 			y' = y - T_y. 		\end{cases} 	\end{equation*}

    Tale punto di vista è illustrato nella figura 16.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 16: traslazione degli assi.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Sia f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} una funzione. Supponiamo ora di voler traslare, ovvero “spostare in modo rigido”, il suo grafico di un vettore fissato v\coloneqq(T_x,T_y): in altre parole vogliamo determinare

    (79)   \begin{equation*} 	T(\Gamma_ f), \end{equation*}

    dove T è la traslazione di vettore v=(T_x,T_y). In virtù dell’osservazione 2.32, T(\Gamma_f ) è identificato dall’equazione

    (80)   \begin{equation*} 	y' 	= 	f(x') \end{equation*}

    nel nuovo sistema di coordinate (x',y'). Otteniamo così la seguente proposizione.

        \[\quad\]

    Proposizione 2.33 (traslazione di funzione). Sia f: \mathbb{R} \to \mathbb{R} e T la traslazione (76). Allora, il grafico della funzione definita dall’equazione

    (81)   \begin{equation*} 		y=f(x-T_x)+T_y. 	\end{equation*}

    è ottenuto dal grafico di f tramite la traslazione T, i.e. coincide con T(\Gamma_ f).

        \[\quad\]

    Dimostrazione. È sufficiente sostituire in (80) la trasformazione inversa di T data da (78).

    Notiamo che l’ipotesi che f sia definita su tutto \mathbb{R} non è essenziale. Tramite la formula (81) possiamo definire la traslazione di una funzione f:E\subset \mathbb{R} \to \mathbb{R} di vettore T=(T_x,T_y) \in \R^2, e il risultato è una funzione il cui dominio è un traslato di E, ovvero l’insieme E+T_x=\left\{ x+T_x : x \in E \right\}.

    Nella figura qui sotto vediamo un esempio concreto.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 17: traslazione del grafico y=\sin x (in blu) di un vettore \overset{\longrightarrow}{OO'}=\left( 1,\dfrac 5 2 \right). L’espressione analitica della funzione traslata (in verde) è y=\sin(x-1)+\dfrac 5 2.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Esempio 2.34 (traslazione lungo l’asse \bm x). Prendiamo T_x=2 e supponiamo di voler traslare il grafico y=x^2 in avanti (cioè verso destra) o indietro (cioè verso sinistra) di 2 unità. Per ottenere le funzioni traslate, come in figura 18, utilizziamo la formula (81) così da ottenere, rispettivamente,

        \[y=(x-2)^2, \quad y=(x+2)^2.\]

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 18: traslazione lungo l’asse x del grafico y=x^2 (in rosso) in avanti (in verde) e indietro (in blu) di 2 unità.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Esempio 2.35 (traslazione lungo l’asse \bm y). Prendiamo T_y=2 e supponiamo di voler traslare il grafico y=\arctan x in sù (cioè nel verso positivo dell’asse y) o in giù (cioè nel verso negativo dell’asse y) di 2 unità. Per ottenere le funzioni traslate, come in figura 19, utilizziamo la formula (81) così da ottenere, rispettivamente,

        \[y=\arctan x+2, \quad y=\arctan x -2.\]

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 19: traslazione lungo l’asse y del grafico della funzione y=\arctan x (in rosso) in sù (in verde) e giù (in blu) di 2 unità.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Dilatazione

    Ricordiamo che per dilatazione intendiamo la seguente trasformazione di coordinate.

    Definizione 2.36 (dilatazione degli assi). Siano k_x,k_y \in \mathbb{R}^+ dei numeri reali positivi.

    La dilatazione di fattori k_x,k_y e centro l’origine è la funzione del piano in sé D \colon \mathbb{R}^2 \to \mathbb{R}^2 definita da

    (82)   \begin{equation*} 			D(x,y) 			= 			(k_x x,k_y y) 			\qquad 			\forall (x,y) \in \mathbb{R}^2. 		\end{equation*}

    Se k_y=1, la dilatazione è detta lungo l’asse x, mentre, se k_x=1, la dilatazione è detta lungo l’asse y.

    Nel caso in cui k_x=k_y, la dilatazione prende il nome di omotetia di fattore k \coloneqq k_x = k_y.

        \[\quad\]

    Osservazione 2.37. Una dilatazione D lascia fissa l’origine degli assi, ossia, come si evince da (82), vale

    (83)   \begin{equation*} 		D(0,0)=(0,0). 	\end{equation*}

    Osservazione 2.38. Si potrebbe definire una dilatazione anche se qualcuno dei fattori k_x,k_y è negativo; il lettore può verificare che ciò corrisponde a effettuare una dilatazione di fattori positivi -k_x e/o -k_y e poi riflettere rispetto all’asse y se k_x<0 e/o all’asse x se k_y<0.

    Osservazione 2.39. A una dilatazione D di fattori k_x,k_y possiamo associare naturalmente un nuovo sistema di coordinate (x',y') nel piano cartesiano, con la proprietà che, per ogni punto P di coordinate (x_P,y_P) rispetto il vecchio sistema di coordinate (x,y), T(P) sia identificato, nel nuovo sistema di coordinate (x',y'), dalla stessa coppia (x_P,y_P). Poiché un cambio di coordinate di questo tipo corrisponde intuitivamente a dilatare le tacchette sugli assi, questa dilatazione delle tacchette deve essere esattamente pari alla scelta dei fattori k_x,k_y.

    Infatti, visto che D(P)=(k_x x_P,k_y y_P) nel sistema (x,y), mentre desideriamo che il sistema (x',y') soddisfi

    (84)   \begin{equation*} 		D(P) = (x_P,y_P), 	\end{equation*}

    deve aversi in generale

    (85)   \begin{equation*} 		\begin{cases} 			x' = \dfrac{x}{k_x}\\[10pt] 			y' = \dfrac{y}{k_y}. 		\end{cases} 	\end{equation*}

    In altre parole, mentre le tacchette sugli assi indotti dal nuovo sistema si dilatano come i fattori k_x,k_y, la coppia di numeri associati a un punto nel sistema di coordinate (x',y') “scala” come l’inverso dei fattori di dilatazione. Tale proprietà, seppur controintuitiva, risulta naturale osservando che, per come abbiamo costruito il sistema di coordinate (x',y'), esso associa coordinate unitarie a punti che, nel sistema (x,y), avevano coordinate pari a k_x,k_y.

    Facciamo un esempio per chiarire i concetti esposti, in cui supponiamo per semplicità che k_x=k_y=k, cioè che le dilatazioni considerate siano omotetie.

    Esempio 2.40. Consideriamo un’omotetia di fattore k con 0<k <1. In questo caso, poiché T(x,y)=(kx,ky) e k<1, la dilatazione è in realtà una “compressione”, ossia accorcia le distanze tra i punti. Ciò implica che le nuove coordinate (x_P',y_P') di uno stesso punto P \in \mathbb{R}^2 siano maggiori in modulo delle coordinate (x_P,y_P); infatti, in questo caso le tacchette sugli assi del nuovo sistema di riferimento sono più vicine del vecchio sistema di riferimento, dunque i valori delle coordinate si “ingrandiscono”.

    Scegliamo ad esempio k=\dfrac{1}{2} e consideriamo il punto P di coordinate (x_P,y_P)=(1,1). Chiaramente, per la definizione 2.36, si ha

    (86)   \begin{equation*} 		D(P)=\Big(\frac{1}{2}, \frac{1}{2} \Big) 	\end{equation*}

    nel sistema di coordinate x,y. Tale situazione è raffigurata a sinistra in figura 20. A destra nella figura 20 osserviamo gli stessi punti P,D(P) nelle coordinate (x',y') indotte dalla dilatazione D: poiché le tacchette sugli assi si avvicinano, le coordinate dei punti aumentano in modulo. Si osservi che le nuove coordinate di T(P) sono uguali alle vecchie coordinate di P, ossia

    (87)   \begin{equation*} 		(x_{T(P)}',y_{T(P)}') 		= 		(x_P,y_P) 		= 		(1,1), 	\end{equation*}

    come richiesto nella definizione delle nuove coordinate x',y'.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 20: l’omotetia D di fattore k=\dfrac{1}{2} dell’esempio 2.40. A sinistra osserviamo l’azione di D in un sistema di assi con le coordinate x,y; a destra è rappresentata l’azione di D nel nuovo sistema di coordinate x',y' indotto da D. Si osservi che le coordinate x,y di P corrispondono alle coordinate x',y' di D(P)

        \[\quad\]

    Esempio 2.41. Consideriamo un’omotetia di fattore k con k >1. In questo caso, poiché k>1, D allunga le distanze tra i punti. Ciò implica che le coordinate (x_P',y_P') di un punto P \in \mathbb{R}^2 siano minori in modulo delle coordinate (x_P,y_P); infatti, le tacchette sugli assi del nuovo sistema di riferimento sono più lontane del vecchio sistema di riferimento, dunque i valori delle coordinate di un punto P fissato si “rimpiccioliscono”.

    Scegliamo ad esempio k=2 e consideriamo il punto P di coordinate (x_P,y_P)=(-3,2). Chiaramente, per la definizione 2.36, si ha

    (88)   \begin{equation*} 		D(P)=(-6, 4) 	\end{equation*}

    nel sistema di coordinate x,y. Tale situazione è raffigurata a sinistra in figura 21. A destra nella figura 21 osserviamo gli stessi punti P,D(P) nelle coordinate (x',y') indotte dalla dilatazione D: poiché le tacchette sugli assi si allontanano, le coordinate dei punti diminuiscono in modulo. Si osservi che le nuove coordinate di T(P) sono uguali alle vecchie coordinate di P, ossia

    (89)   \begin{equation*} 		(x_{T(P)}',y_{T(P)}') 		= 		(x_P,y_P) 		= 		(-3,2). 	\end{equation*}

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 21: l’omotetia D di fattore k=2 dell’esempio 2.41. A sinistra osserviamo l’azione di D in un sistema di assi con le coordinate x,y; a destra è rappresentata l’azione di D nel nuovo sistema di coordinate x',y' indotto da D. Si osservi che le coordinate x,y di P corrispondono alle coordinate x',y' di D(P)

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Supponiamo di voler dilatare il grafico di una funzione f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} di fattori k_x,k_y e, a tal fine, consideriamo la dilatazione D avente tali fattori. Per il ragionamento fatto nell’osservazione 2.39 , l’insieme D(\Gamma_ f), ossia il grafico di f dilatato, nelle nuove coordinate x',y' possiede le stesse coordinate che \Gamma_ f aveva nel sistema di coordinate iniziale x,y. Allora, poiché le coordinate x,y di \Gamma_f soddisfano la relazione y=f(x), le coordinate x',y' di D(\Gamma_ f) soddisfano la relazione

    (90)   \begin{equation*} 	y' 	= 	f(x'). \end{equation*}

    Otteniamo così la seguente proposizione.

        \[\quad\]

    Definizione 2.42 (dilatazione di funzione). Sia f: \mathbb{R} \to \mathbb{R} una funzione e k_x,k_y due parametri non nulli. Chiamiamo dilatazione di f di fattore k_x lungo l’asse x e di fattore k_y lungo l’asse y, la funzione definita dall’equazione

    (91)   \begin{equation*} 			y=k_y\,f\left( \frac{x}{k_x} \right). 		\end{equation*}

        \[\quad\]

    È sufficiente sostituire in (90) la trasformazione inversa di D data da (85).

    Notiamo che l’ipotesi che f sia definita su tutto \mathbb{R} non è essenziale. Tramite la formula (91) possiamo definire la dilatazione di una funzione f:E\subset \mathbb{R} \to \mathbb{R} di fattori k_x,k_y, e il risultato è una funzione il cui dominio è l’insieme k_x\cdot E=\left\{ {k_x} {x}: x \in E \right\}.

    Nella figura qui sotto vediamo un esempio concreto.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 22: dilatazione del grafico della funzione y=\sin x (in rosso) di un fattore k_x=1/2 lungo l’asse x e di un fattore k_y=4 lungo l’asse y. L’espressione analitica della funzione dilatata (in blu) è y=4\sin(2x).

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Nel caso in cui k_x\neq 1,\; k_y=1 parliamo di dilatazione lungo l’asse x, mentre nel caso in cui k_x=1, \;k_y \neq 1 parliamo di dilatazione lungo l’asse y.

    Esempio 2.43 (dilatazione lungo l’asse \bm{x}). Prendiamo k_x=2, 1/2 e supponiamo di voler dilatare la funzione y=\cos x lungo l’asse x. Per ottenere le funzioni dilatate, come in figura 23, utilizziamo la formula (91) così da ottenere, rispettivamente,

        \[y=\cos\left( \frac x 2 \right), \quad y=\cos(2x).\]

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 23: dilatazione lungo l’asse x del grafico della funzione y=\cos x (in rosso) con k_x=\dfrac 1 2 (in verde) e k_x=2 (in blu).

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Esempio 2.44 (dilatazione lungo l’asse \bm{y}). Prendiamo k_y=4, 16, 64 e supponiamo di voler dilatare la funzione y=x^2 lungo l’asse y. Per ottenere le funzioni dilatate, come in figura 24, utilizziamo la formula (91) così da ottenere, rispettivamente,

        \[y=4x^2, \quad y=16x^2, \quad y=64x^2.\]

    Osserviamo che, per via delle proprietà delle potenze, avremmo ottenuto lo stesso risultato dilatando lungo l’asse x di un fattore k_x=\dfrac 1 2, \dfrac 1 4, \dfrac 1 8, rispettivamente.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 24: dilatazione lungo l’asse y del grafico della funzione y=x^2 di fattori k=4 (in verde), k=16 (in arancione), k=64 (in rosso).

        \[\quad\]


Simmetrie.

Un’informazione utile al fine di studiare il grafico di una funzione è la presenza di eventuali simmetrie. Particolari simmetrie sono quelle rispetto l’asse y e all’origine.

Definizione 2.45. Una funzione f:\mathbb{R}\to \mathbb{R} si dice

    \[\quad\]

  • pari se, per ogni x\in \mathbb{R}, \quad  f(x)=f(-x);
  •  

  • dispari se, per ogni x\in \mathbb{R}, \quad f(x)=-f(-x).

    \[\quad\]

Osservazione 2.46. Nella definizione 2.45 abbiamo supposto che {\rm Dom}(f) = \mathbb{R}; tale ipotesi non è veramente necessaria: ha senso chiedersi se una funzione f \colon E\subset \mathbb{R} \to \mathbb{R} è pari o dispari, a patto che E=-E, i.e. E è simmetrico rispetto allo 0:

(92)   \begin{equation*} 		x \in E \iff -x \in E. 	\end{equation*}

Questo è tutto ciò che occorre per confrontare i valori f(x) e f(-x) per ogni x \in E. Per semplicità di esposizione, nel seguito ci riferiremo solo a funzioni aventi dominio pari a \mathbb{R}, ma i risultati enunciati valgono nella generalità sopra esposta.

    \[\quad\]

Definizione 2.47 (parità e simmetrie). La parità di una funzione è collegata con delle simmetrie del suo grafico.

    \[\quad\]

  1. Una funzione f è pari se e soltanto se il suo grafico \Gamma_f è simmetrico rispetto all’asse y;
  2.  

  3. Una funzione f è dispari se e soltanto se il suo grafico \Gamma_f è simmetrico rispetto all’origine degli assi.

    \[\quad\]

Dimostrazione.

  1. Si ha

    (93)   \begin{equation*} 			(x,y) \in \Gamma_ f 			\iff 			y=f(x)=f(-x) 			\iff 			(-x,y) \in \Gamma_f, 		\end{equation*}

    cioè \Gamma_f è simmetrico rispetto alla riflessione rispetto all’asse y.

  2.  

  3. Si ha

    (94)   \begin{equation*} 			(x,y) \in \Gamma_ f 			\iff 			y=f(x)=-f(-x) 			\iff 			(-x,-y) \in \Gamma_ f, 		\end{equation*}

    cioè \Gamma_f f è simmetrico rispetto alla riflessione rispetto all’origine degli assi.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 25: grafico (a sinistra) di una funzione pari, in cui si può notare la simmetria rispetto all’asse y (tratteggiata in rosso). Grafico (a destra) di una funzione dispari, in cui si può notare la simmetria rispetto all’origine degli assi (tratteggiata in rosso).

    \[\quad\]

Esempio 2.48. Siano f,g \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} le funzioni definite da

(95)   \begin{equation*} 		f(x) 		= 		x^2, 		\quad 		g(x) 		=x^3, 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}. \end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 26: grafici delle funzioni f,g dell’esempio 2.48, in scala 2:1 e 4:1 rispettivamente. A sinistra, il grafico della funzione quadratica f; a destra, il grafico della funzione cubica g. Si noti la simmetria di f rispetto all’asse y e la simmetria di g rispetto all’origine degli assi.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Verifichiamo che f è una funzione pari e g è una funzione dispari. Infatti, per ogni x \in \mathbb{R} si ha

    \[ 	f(-x)=(-x)^2=x^2=f(x) 	\quad \text{e} \quad 	g(-x)=(-x)^3=-x^3=-g(-x). 	\]

I grafici di g e f sono riportati in figura 26. Si noti la simmetria di \Gamma_ f rispetto all’asse y e la simmetria di g rispetto all’origine degli assi.

Il prossimo risultato è facilmente dimostrabile a partire dalle definizioni appena date.

Lemma 2.49. Siano f,g\colon \mathbb{R} \to \mathbb{R}. Allora valgono le seguenti proprietà:

  1. Se f è sia pari che dispari, allora f è la funzione nulla, cioè

    (96)   \begin{equation*} 				f(x)=0 				\qquad 				\forall x \in \mathbb{R}. 			\end{equation*}

  2.  

  3. Se f e g sono entrambe pari (risp. dispari) allora per ogni \alpha,\beta \in \mathbb{R} la funzione

        \[h=\alpha f + \beta g\]

    è pari (risp. dispari).

  4.  

  5. (Regola dei segni) Se f e g sono entrambe pari, oppure entrambe dispari, allora la funzione prodotto h=fg è pari. Analogamente, se f è pari e g è dispari, allora la funzione prodotto h=fg è dispari.
  6.  

  7. Se f è pari, allora g \circ f è pari anche se g non è né pari né dispari. Se f è dispari si hanno invece i seguenti casi:

    f dispari
    g parig ∘ f pari
    g disparig ∘ f dispari

    \[\quad\]

Dimostrazione. Dimostriamo solo il punto 1, lasciando gli altri come facile esercizio per il lettore. Si ha

(97)   \begin{equation*} 		f(x) 		= 		f(-x) 		= 		-f(x) 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}, 	\end{equation*}

dove la prima uguaglianza deriva dal fatto che f è pari e la seconda deriva dal fatto che f è dispari. Da f(x)=-f(x) segue 2f(x)=0, cioè

(98)   \begin{equation*} 		f(x) 		= 		0 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}. 	\end{equation*}

Si ha il seguente semplice risultato che permette di decomporre una qualsiasi funzione definita su \mathbb{R} e a valori reali come somma di una funzione pari più una dispari.

    \[\quad\]

Lemma 2.50. Per ogni funzione f:\mathbb{R}\to \mathbb{R}, esistono una funzione pari f_p:\mathbb{R}\to \mathbb{R} e una dispari f_d:\mathbb{R}\to \mathbb{R} tali che

    \[ 		f=f_p+f_d. 		\]

Inoltre, tale decomposizione di f è unica.

    \[\quad\]

Dimostrazione. Per ogni x\in \mathbb{R}, si ha

(99)   \begin{equation*} 		f(x)=\frac{f(x)}{2}+\frac{f(x)}{2}=\frac{f(x)}{2}+\frac{f(-x)}{2}+\frac{f(x)}{2}-\frac{f(-x)}{2}. 	\end{equation*}

Siano f_p,f_d \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} le funzioni definite da

(100)   \begin{equation*} 	f_p(x) = \frac{f(x)+f(-x)}{2}, 	\quad 	f_d(x) =\frac{f(x)-f(-x)}{2} 	\qquad 	\forall x \in \mathbb{R}. \end{equation*}

Da (99) si ha che

(101)   \begin{equation*}  	f(x)=f_p(x)+f_d(x) \qquad \forall x \in \mathbb{R},  \end{equation*}

mentre dalla definizione (100) si vede che

    \[ 	f_p(-x)=f_p(x) \quad \text{e} \quad f_d(-x)=-f(-x) \qquad \forall x \in \mathbb{R}, 	\]

da cui deduciamo che (101) è la decomposizione voluta.

L’unicità di tale decomposizione deriva dal punto 1. del lemma 2.49.

Supponiamo che f=f_p+f_d=g_p+g_d con f_p,g_p funzioni pari e f_d,g_d funzioni dispari, e dimostriamo che f_p=g_p e f_d=g_d. Si ha

(102)   \begin{equation*} 		f_p+f_d= g_p+g_d \quad \iff \quad f_p-g_p=g_d-f_d, 	\end{equation*}

e quindi, per il punto 2. del lemma 2.49, la funzione f_p-g_p è una funzione pari (risp. g_d-f_d è una funzione dispari). La (102) dunque implica che una funzione pari coincide con una funzione dispari, e questo implica che tale funzione è la funzione nulla, per il punto 1. del lemma 2.49. Otteniamo che

    \[f_p(x)-g_p(x)=g_d(x)-f_d(x)=0\qquad \forall x \in \mathbb{R},\]

da cui la conclusione.


Periodicità.

Un’ulteriore proprietà di rilevanza nello studio delle funzioni di variabile reale è la periodicità, cf. [2, definizione 2.4].

Definizione 2.51. Una funzione f:E\subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R} si dice periodica in E se esiste T >0 tale che

    \[\quad\]

  • Il dominio E è invariante per traslazione di T, i.e.

        \[ 			E=E+T\coloneqq \{x+T \mid x\in E\} 			\]

  •  

  • f è invariante per traslazione di T, i.e.

        \[f(x+T)=f(x), \qquad \forall x \in E.\]

Un tale T, se esiste, viene detto un periodo di f, e f è detta T-periodica.

    \[\quad\]

Segue immediatamente dalla definizione precedente che se f: \mathbb{R} \to \mathbb{R} è periodica e T>0 è un periodo, allora anche kT è un periodo per ogni k\in \mathbb{N}. Più in generale, se T è un periodo, si ha

(103)   \begin{equation*} 	f(x+kT)=f(x), \quad \forall x\in \mathbb{R}, \;\forall k \in \mathbb{Z}.  \end{equation*}

Per verificarlo, si può procedere utilizzando il principio di induzione e il fatto che, per definizione,

    \[f(x)=f((x-T)+T)=f(x-T), \quad \forall x \in \mathbb{R}.\]

Il seguente risultato generalizza la precedente osservazione.

Lemma 2.52. Sia f:E\subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R} una funzione e sia

    \[\mathbb{T}(f)\coloneqq \left\{ T>0: T \mbox{ è periodo di }f \right\}\subseteq \mathbb{R}^+\]

l’insieme dei periodi di f. Allora,

    \[\quad\]

  1. \mathbb{T}(f)=\emptyset se e solo se f è aperiodica, ovvero non è periodica;
  2.  

  3. \mathbb{T}(f)=\mathbb{R}^+ se e solo se f è costante;
  4.  

  5. L’insieme \mathbb{T}(f) è chiuso per le somme6, i.e.

        \[\forall T,S \in \mathbb{T}(f) \qquad T+S \in \mathbb{T}(f).\]


  1. Un tale insieme viene chiamato anche un semigruppo.

    \[\quad\]

Dimostrazione.

    \[\quad\]

  1. Segue immediatamente dalla definizione.
  2.  

  3. Una funzione costante è ovviamente T-periodica per ogni T \in \mathbb{R}. Viceversa, se per ogni T >0, T è un periodo di f \colon E \to \mathbb{R}, ossia se \mathbb{T}(f)=\mathbb{R}^+, allora essa è costante. Infatti, dati x_1,x_2 \in \mathbb{R}, con x_1< x_2, poiché f è (x_2-x_1)-periodica, si ha

    (104)   \begin{equation*} 			f(x_2) 			= 			f\big( x_1 + (x_2-x_1) \big) 			= 			f(x_1). 		\end{equation*}

  4.  

  5. Se T,S sono periodi di f, si ha

    (105)   \begin{equation*} 			f\big( x + (T + S) \big) 			= 			f\big( (x + T) + S \big) 			= 			f\big( x + T \big) 			= 			f(x) 			\qquad 			\forall x \in \mathbb{R}, 		\end{equation*}

    dove la seconda uguaglianza segue dal fatto che S è un periodo di f, e la terza segue dal fatto che T è un periodo di f. L’equazione (105) prova che T+S \in \mathbb{T}(f).

    Definizione 2.53. Sia f:E\subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R} una funzione periodica. Se

        \[\exists T_0>0 \;:\; \mathbb{T}(f)=\{kT_0: k \in \N\},\]

    f si dice periodica di periodo minimo T_0, altrimenti si dice che f ha periodi arbitrariamente piccoli. Spesso, per brevità, diremo che f è periodica di periodo {T}_0, intendendo che T_0 è il periodo minimo di f.

        \[\quad\]

    Osservazione 2.54. Data f: E \subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R}, possiamo definire la seguente quantità:

        \[T_0(f)\coloneqq  \inf \{ T >0: T \mbox{ è un periodo di } f \}.\]

    Si può dimostrare che, se T_0(f)>0, f è periodica di periodo minimo T_0(f).

    Abbiamo dunque tre casi:

        \[\quad\]

    • T_0(f)= +\infty, i.e. f è aperiodica;
    •  

    • T_0(f)= 0, i.e. f ha periodi arbitrariamente piccoli;
    •  

    • T_0(f) >0, i.e. f è periodica di periodo minimo T_0.

    Si può dimostrare che se f è continua, allora nel secondo caso possiamo concludere che f è costante.

    Esempio 2.55. Sia f:\mathbb{R}\to [0,1] definita da

        \[ 	f(x)=\left\{\begin{array}{ll} 		1, & \mbox{ se }x \in \mathbb{Q}; \\ 		0, &\mbox{ se } x \in \mathbb{R} \backslash \mathbb{Q}. 	\end{array}\right. 	\]

    Allora f è periodica e \mathbb{T}(f)=\Q^+. Infatti, dato un qualunque numero razionale positivo T, si ha che x+T è razionale se e solo se x è razionale; ciò mostra che

    (106)   \begin{equation*} 		f(x)=f(x+T) \quad \iff \quad T \in \mathbb{Q}^+. 	\end{equation*}

    Concludiamo dunque che f non è aperiodica, né costante. Poiché T_0(f)=\inf \mathbb{Q}^+=0, f non è periodica di periodo minimo, ma ha periodi arbitariamente piccoli (notiamo che f non è continua).

    Solitamente, le funzioni periodiche che si studiano sono ottenute a partire da funzioni trigonometriche (come seno, coseno, tangente…), le quali sono funzioni di periodo minimo, oppure costruite da funzioni discontinue o definite a tratti.

    Proposizione 2.56.

    1. Sia f: \mathbb{R} \to \mathbb{R} periodica di periodo minimo T, e sia k>0. Allora la funzione

          \[g:\mathbb{R} \to \mathbb{R}, \; g(x)=f(kx)\]

      è periodica di periodo minimo \dfrac{T}{k};

    2.  

    3. Siano T>0 e f_1,f_2: \mathbb{R} \to \mathbb{R} due funzioni periodiche di periodo minimo k_1T, k_2T, rispettivamente, con k_1,k_2 \in \mathbb{N}. Allora la funzione

          \[f_1 +f_2 : \mathbb{R} \to \mathbb{R}, \; (f_1+f_2)(x)=f_1(x)+f_2(x)\]

      è periodica, e un periodo è {\rm m.c.m.}(k_1,k_2)T.

        \[\quad\]

    Dimostrazione.

    1. Segue dal fatto che se T è un periodo di g, allora kT è un periodo di f. Infatti,

          \[g(x+T)=g(x) \; \forall x \in \mathbb{R} \iff f(kx+kT)=f(kx)\; \forall x \in \mathbb{R} \iff f(y+kT)=f(y)\; \forall y \in \mathbb{R};\]

    2.  

    3. La tesi è immediata conseguenza di (103): poiché n=\operatorname{m.c.m.}(k_1,k_2) è un multiplo comune sia di k_1 che di k_2, nT è un periodo sia di f_1 che di f_2 per il punto 3. del lemma 2.52. Si ha quindi

      (107)   \begin{equation*} (f_1+f_2)(x+nT) 			= 			f_1(x+nT)+f_2(x+nT) 			= 			f_1(x)+f_2(x) 			= 			(f_1+f_2)(x) 			\qquad 			\forall x \in \mathbb{R}, 		\end{equation*}

      che prova che f_1+f_2 è periodica di periodo nT.

    Osservazione 2.57. La proposizione precedente non fornisce un metodo per calcolare il periodo minimo della funzione f_1+f_2 a partire dai periodi di f_1 e f_2, perché in generale non c’è un tale metodo, come mostrano i seguenti esempi.

    Esempio 2.58. Le funzioni f_1,f_2 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} definite da

        \[f_1(x)=|\cos x|, \qquad f_2(x)=|\sin x|\qquad \forall x \in \mathbb{R},\]

    (il cui grafico è rappresentato rispettivamente in blu e in verde nella figura 27), sono entrambe periodiche di periodo minimo \pi, ma la funzione g=f_1+f_2 definita da

        \[g(x)=|\cos x| + |\sin x| 	\qquad 	\forall x \in \mathbb{R}\]

    (il cui grafico è rappresentato in rosso nella figura 27) è periodica di periodo minimo \dfrac{\pi}{2}. Chiaramente, dalla proposizione 2.56 si ha che un periodo di g è \pi, che però in questo caso non corrisponde al periodo minimo.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 27: le funzioni dell’esempio 2.58.

        \[\quad\]

    Esempio 2.59. Consideriamo la funzione f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R}, \; f(x)=\sin x, il cui grafico è rappresentato in blu nella figura 28, che è periodica di periodo minimo 2\pi. Dalla proposizione 2.56 precedente otteniamo:

        \[\quad\]

    1. Le funzioni definite da

          \[g_1(x)=\sin(2x), \;g_2(x)=\sin\left( \frac x 2 \right),\; g_3(x)=\sin\left( \frac x 3 \right) \qquad \forall x \in \mathbb{R}\]

      sono periodiche di periodo minimo rispettivamente pari a \pi, 4\pi, 6\pi; i loro grafici sono rappresentati rispettivamente in arancione, in verde e in rosso in figura 28.

    2.  

    3. La funzione definita da

          \[h(x)=\sin\left( \frac x 2 \right)+ \sin\left( \frac x 3  \right)\qquad \forall x \in \mathbb{R}\]

      è periodica di periodo 12\pi per la proposizione 2.56, in quanto \operatorname{m.c.m.}(4,6)=12. In questo caso si può verificare che 12\pi è proprio il periodo minimo di h. Il grafico di h è rappresentato in azzurro nella figura 31, dove sono riportati anche i grafici di g_2 e g_3, rispettivamente in verde e in rosso.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 28: le funzioni f,g_1 dell’esempio 2.59.

        \[\quad\]

    Figura 29: le funzioni f,g_2 dell’esempio 2.59.

        \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 30: le funzioni f,g_3 dell’esempio 2.59.

        \[\quad\]

    Figura 31: le funzioni g_2,g_3,h dell’esempio 2.59.

        \[\quad\]


Limitatezza.

Parliamo in questa sezione del concetto di funzione limitata e illimitata. A tal fine, abbiamo bisogno di definire l’estremo superiore e inferiore di un insieme, che a loro volta sono definiti usando il concetto di maggiorante e minorante. Nel seguito useremo il fatto che \mathbb{R} è un campo totalmente ordinato, cf. [5, definizione 1.5, definizione 1.12, definizione 1.17] e l’assioma di completezza, cf. assioma 2.78. Inoltre, essendo \mathbb{R} un insieme “infinito” (qualsiasi cosa voglia dire), dovremmo chiarire cosa intendiamo quando usiamo i simboli +\infty e -\infty. Nonostante sia possibile dare una definizione rigorosa di tali concetti, cf. [5, definizione 1.23], preferiamo fornire al lettore la seguente “visualizzazione”: penseremo alla retta reale (un insieme ordinato) come ad un intervallo infinito i cui punti estremali sono -\infty e +\infty i quali, tuttavia, non sono numeri reali.

Intervalli

Nonostante il concetto di intervallo sia stato già usato svariate volte nel corso della dispensa, ricordiamo per completezza al lettore la definizione di questa classe di sottoinsiemi dell’insieme dei numeri reali.

Definizione 2.60. Dati a,b \in \mathbb{R}, si chiama intervallo di estremi a e b l’insieme di tutti i numeri reali compresi tra a e b. In particolare,

    \[\quad\]

  • [a,b]=\{x\in\mathbb{R} \; \vert \; a\le x\le b\} si dice intervallo chiuso;
  •  

  • (a,b)=\{x\in \mathbb{R}\; \vert \;  a<x<b\} si dice intervallo aperto;
  •  

  • [a,b)=\{x\in\mathbb{R}\; \vert \;  a\le x <b\} si dice intervallo chiuso a sinistra e aperto a destra;
  •  

  • (a,b]=\{x\in\mathbb{R}\; \vert \;  a<x\le b\} si dice intervallo aperto a sinistra e chiuso a destra.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 32: gli intervalli di estremi a,b \in \mathbb{R}: dall’alto in basso, sono stati rappresentati gli insiemi [a,b], (a,b), [a,b), (a,b].

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Osservazione 2.61. Nel caso in cui b<a, segue dalla definizione che [a,b]=\emptyset.

Notiamo che abbiamo utilizzato i termini aperto e chiuso; sebbene non definiamo rigorosamente questi concetti, confidiamo nel fatto che il lettore abbia un’idea intuitiva del loro significato. rimandiamo a [4, definizione 5.1] per ulteriori dettagli. Gli intervalli dati dalla definizione 2.60 si dicono intervalli limitati, cf. definizione 2.64, e l’uso di tale aggettivo ha lo scopo di distinguerli da un’altra classe di intervalli, detti illimitati, dati dalla seguente definizione.

Definizione 2.62. Sia a\in\mathbb{R}. Allora, l’insieme

    \[\quad\]

  • [a,+\infty)=\{x\in\mathbb{R}\; \vert \; x \ge a\} si dice intervallo chiuso illimitato superiormente;
  •  

  • (a,+\infty)=\{x\in\mathbb{R}\; \vert \;  x>a\} si dice intervallo aperto illimitato superiormente;
  •  

  • (-\infty,a]=\{x\in\mathbb{R}\; \vert\;  x\le a\} si dice intervallo chiuso illimitato inferiormente;
  •  

  • (-\infty,a)=\{x\in \mathbb{R} \; \vert \;  x<a\} si dice intervallo aperto illimitato inferiormente.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 33: gli intervalli illimitati di estremo a \in \mathbb{R}: dall’alto in basso, sono stati rappresentati gli insiemi [a,+\infty), (a,+\infty), (-\infty,a], (-\infty,a).

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Maggioranti, minoranti, insiemi limitati

Definizione 2.63. Dato un sottoinsieme non vuoto E\subset \mathbb{R}, un numero M\in \mathbb{R} si dice un maggiorante per E se

(108)   \begin{equation*} 			x\le y 			\qquad 			\forall x \in E. 		\end{equation*}

L’insieme dei maggioranti di E si denota col simbolo M(E).

In modo simile, un numero m\in \mathbb{R} si dice un minorante per E se

(109)   \begin{equation*} 			y \leq x 			\qquad 			\forall x \in E. 		\end{equation*}

L’insieme dei minoranti di E si denota col simbolo m(E).

Se E non ammette alcun maggiorante (risp. minorante) diremo che è illimitato superiormente (risp. inferiormente).

Definizione 2.64. Dato un sottoinsieme non vuoto E\subset \mathbb{R}, se l’insieme dei maggioranti di E è non vuoto, l’insieme E si dice limitato superiormente, mentre se l’insieme dei minoranti di E è non vuoto, l’insieme E si dice limitato inferiormente.

    \[\quad\]

Facciamo alcuni esempi per chiarire i concetti esposti.

Esempio 2.65. Se E=(0,1], si ha

(110)   \begin{equation*} 		M(E) 		= 		\{y \in \mathbb{R} \colon y \geq 1\} 		=[1,+\infty), 		\qquad 		m(E) 		= 		\{y \in \mathbb{R} \colon y \leq 0\} 		=(-\infty,0]. 	\end{equation*}

Infatti, un maggiorante y di E deve certamente soddisfare la disequazione y \geq 1, e inoltre qualsiasi y\in [1, +\infty) soddisfa

(111)   \begin{equation*} 		y \geq x 		\qquad 		\forall x \in (0,1]. 	\end{equation*}

Quindi l’insieme dei maggioranti di E soddisfa M(E)=[1,+\infty). Analogamente si può dimostrare che m(E)=(-\infty,0]. Osserviamo che il numero reale 1 è sia un elemento di E che un suo maggiorante. La situazione è rappresentata nella figura 34.

Notiamo quindi che, poiché E ammette sia dei maggioranti che dei minoranti (cioè M(E) \neq \emptyset e m(E) \neq \emptyset), esso è limitato sia superiormente che inferiormente, cioè è limitato.

Invece, M(E) è illimitato superiormente, in quanto non possiede dei maggioranti, ma è limitato inferiormente, in quanto 1 è ad esempio un suo minorante. Analogamente, m(E) è illimitato inferiormente e limitato superiormente. Di conseguenza, secondo la definizione 2.63, M(E) e m(E) sono illimitati.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 34: rappresentazione dell’insieme E=(0,1] (in blu) dell’esempio 2.65 sulla retta reale; in verde è indicato l’insieme M(E)=[1,+\infty) dei maggioranti di E, mentre in rosso è indicato l’insieme m(E)=(-\infty,0] dei minoranti di E.

    \[\quad\]

Esempio 2.66. Sia E=\{-1\} \cup (2,4] \cup [5,+\infty) (rappresentato in figura 35). Si ha

(112)   \begin{equation*} 		M(E) 		= 		\emptyset, 		\qquad 		m(E) 		= 		\{y \in \mathbb{R} \colon y \leq -1\} 		=(-\infty,-1]. 	\end{equation*}

Infatti, M(E)= \emptyset in quanto un numero reale y è un maggiorante di E solo se y \geq x per ogni x \in [5,+\infty), ma [5,+\infty) contiene numeri arbitrariamente grandi e quindi nessun y può essere un suo maggiorante.

Invece m(E)=(-\infty,-1] in quanto, se y \in (-\infty,-1], cioè se y \leq -1, allora y \leq x per ogni x \in E, quindi y \in m(E), e ciò mostra che

(113)   \begin{equation*} 		(-\infty,-1] \subseteq m(E). 	\end{equation*}

Per l’inclusione opposta, se y \in m(E), cioè se y è un minorante di E, allora per definizione di minorante deve in particolare aversi y \leq -1, cioè y \in (-\infty,-1], da cui m(E) \subseteq (-\infty,-1].

E risulta quindi limitato inferiormente e illimitato superiormente. La situazione è rappresentata nella figura 35.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 35: rappresentazione dell’insieme E (in blu) dell’esempio 2.66 sulla retta reale; in rosso è indicato l’insieme m(E)=(-\infty,-1] dei minoranti di E, mentre si nota l’assenza dell’insieme M(E) dei maggioranti di E, che infatti è vuoto.

    \[\quad\]

Esempio 2.67. Sia E= \emptyset. Si ha

(114)   \begin{equation*} 		m(E) = M(E) = \mathbb{R}. 	\end{equation*}

Infatti, se y è un qualsiasi numero reale, poiché non vi è alcun x \in \emptyset, sicuramente y \geq x per tutti gli x \in E (non c’è nulla da verificare!); quindi M(\emptyset)= \mathbb{R}. Analogamente si vede che m(\emptyset)= \mathbb{R}. La situazione è rappresentata nella figura 36.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 36: rappresentazione dell’esempio 2.67: gli insiemi dei maggioranti (in verde) e dei minoranti (in rosso) dell’insieme vuoto coincidono con \mathbb{R}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Lemma 2.68. Se M(E) \neq \emptyset, allora M(E) è illimitato superiormente. Analogamente, se m(E) \neq \emptyset, allora m(E) è illimitato inferiormente.

    \[\quad\]

Dimostrazione. Dimostriamo la prima affermazione, e lasciamo l’altra per esercizio al lettore.

L’idea fondamentale è che, se y è un maggiorante di E, allora anche ogni z \geq y è un maggiorante di E.

Infatti, se E ammette dei maggioranti, cioè se M(E) \neq \emptyset, consideriamo un particolare maggiorante y e dimostriamo che

(115)   \begin{equation*} 		[y,+\infty) \subseteq M(E). 	\end{equation*}

Per provarlo, dimostriamo che ogni z \geq y soddisfa z \in M(E). Infatti si ha

(116)   \begin{equation*} 		x \leq y \leq z 		\qquad 		\forall x \in E, 	\end{equation*}

dove la prima disuguaglianza segue dal fatto che y è un maggiorante di E. Quindi, per la definizione 2.63, anche z è un maggiorante di E. Poiché M(E) contiene numeri arbitrariamente grandi, è illimitato.

Massimi e minimi

Un maggiorante di un insieme E \subseteq \mathbb{R} è quindi un numero reale che è maggiore o uguale a ogni elemento di E. Abbiamo visto, ad esempio nell’esempio 2.65, che un elemento M di E può essere anche un maggiorante per E (risp. elemento m di E può essere anche un minorante per E).

Tali particolari elementi (quando esistono), sono detti rispettivamente massimo e minimo di E, come precisa la seguente definizione.

Definizione 2.69 (massimo e minimo). Dato un sottoinsieme non vuoto E\subset \mathbb{R}, un numero M\in \mathbb{R}, se esiste, si dice minimo di E se è un minorante per E e se M \in E. Analogamente, un numero M\in \mathbb{R}, se esiste, si dice massimo di E se è un maggiorante per E e se M \in E. Minimo e massimo di un insieme E saranno indicati con \min E e \max E rispettivamente.

    \[\quad\]

Osservazione 2.70. L’uso dell’articolo determinativo e l’introduzione delle notazioni \max e \min per il massimo e il minimo sono giustificati dal fatto che, quando esistono, il massimo e il minimo di un insieme sono unici. Infatti, se M_1, M_2 sono due massimi di E \subset \mathbb{R}, poiché M_1 e M_2 sono sia elementi di E sia suoi maggioranti, si ha

(117)   \begin{equation*} 		M_1 \leq M_2, 		\qquad 		M_2 \leq M_1, 	\end{equation*}

cioè M_1 = M_2. Analogamente si prova che il minimo di E \subseteq \mathbb{R}, se esiste, è unico.

Facciamo subito qualche esempio per chiarire i concetti esposti.

Esempio 2.71. L’insieme E = (0,1] dell’esempio 2.65 (si veda la figura 34) ha massimo e vale \max E=1, in quanto 1 è sia un elemento di E, sia un maggiorante per E:

(118)   \begin{equation*} 		\{1\} 		= 		E \cap M(E). 	\end{equation*}

D’altra parte, E non ha minimo, in quanto l’insieme dei minoranti di E non ha elementi in comune con E (E e m(E) sono disgiunti):

(119)   \begin{equation*} 		E \cap m(E) 		= 		\emptyset. 	\end{equation*}

Esempio 2.72. L’insieme E=\{-1\} \cup (2,4] \cup [5,+\infty) dell’esempio 2.66 (si veda la figura 35) ha minimo \min E=-1, in quanto -1 è sia un elemento di E, sia un minorante per E:

(120)   \begin{equation*} 		\{-1\} 		= 		E \cap m(E). 	\end{equation*}

D’altra parte, E non ha massimo, in quanto l’insieme dei maggioranti di E è vuoto, (E è superiormente illimitato) e quindi ovviamente non ha elementi in comune con E:

(121)   \begin{equation*} 		E \cap M(E) 		= 		\emptyset. 	\end{equation*}

Esempio 2.73. L’insieme E=\emptyset dell’esempio 2.67 non ha né massimo né minimo, in quanto banalmente non contiene alcun elemento.

Esempio 2.74. Se E=[0,1) \cup \{7\}, il minimo e il massimo di E esistono e si ha

(122)   \begin{equation*} 		\min E = 0, 		\qquad 		\max E = 7, 	\end{equation*}

in quanto E \cap m(E)=\{ 0 \} e E \cap M(E)= \{7\}, come mostrato nella figura 37.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 37: rappresentazione dell’insieme E (in blu) dell’esempio 2.74 rappresentato sulla retta reale; in rosso è indicato l’insieme m(E)=(-\infty,0] dei minoranti di E e si vede che \min E = 0 è l’unico elemento dell’insieme E \cap m(E); in verde è indicato l’insieme M(E)=[7,+\infty) dei maggioranti di E e si vede che \max E=7 è l’unico elemento dell’insieme E \cap M(E).

    \[\quad\]

Esempio 2.75. Sia

(123)   \begin{equation*} 		E 		= 		\left\{ 		\frac{1}{n} \colon n \in \mathbb{N} 		\right\} 		= 		\left\{ 		1,\frac{1}{2}, \frac{1}{3}, \dots, \frac{1}{n}, \dots 		\right\}, 	\end{equation*}

cioè l’immagine della successione dell’esempio 1.5. Esso è rappresentato dai punti in blu in figura 38, insieme all’insieme M(E) dei suoi maggioranti (in verde) e l’insieme m(E) dei suoi minoranti (in rosso). Si vede che 1=\max E in quanto

(124)   \begin{equation*} 		E \cap M(E) 		= \{1\}, 	\end{equation*}

mentre \min E non esiste. Per provarlo, verifichiamo innanzitutto che m(E)=(-\infty, 0]. Infatti, se y \leq 0, sicuramente è un minorante di E, in quanto E contiene solo numeri positivi. Inoltre, poiché \dfrac{1}{n} è arbitrariamente piccolo in modulo, nessun numero positivo può essere un minorante di E; da tali considerazioni segue appunto m(E)=(-\infty, 0]. Poiché, come abbiamo osservato, gli elementi di E sono tutti strettamente positivi, si ha

(125)   \begin{equation*} 		m(E) \cap E 		= 		\emptyset, 	\end{equation*}

che appunto mostra che \min E non esiste.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 38: rappresentazione dell’insieme E (in blu) dell’esempio 2.75 rappresentato sulla retta reale; in rosso è indicato l’insieme m(E)=(-\infty,0], mentre in verde è indicato l’insieme M(E)=[1,+\infty) dei maggioranti di E. Si vede che \max E = 1 e che \min E non esiste in quanto 0 \notin E.

    \[\quad\]

Estremo superiore e inferiore

L’esempio 2.75 mette in luce una particolarità dell’esistenza di massimo e minimo di un insieme. Infatti, si sarebbe tentati di concludere che \min E non esiste per una pura scelta di definizioni: nella definizione 2.69 è richiesto che il massimo e il minimo di E debbano appartenere a E e questo è il motivo per cui \min E non esiste; sempre relativamente all’esempio 2.75, si vorrebbe esprimere il concetto intuitivo che 0 è il numero reale che “delimita dal basso” E, anche se non vi appartiene.

Questa necessità motiva la definizione di estremo superiore e di estremo inferiore di un insieme.

Le nozioni di estremo superiore e inferiore di un sottoinsieme dei numeri reali è di fondamentale importanza per tutta l’analisi matematica, cf. [3]. Per una trattazione più approfondita di tale argomento, rimandiamo ad esempio alla lettura di [1, pag. 23].

Definizione 2.76 (estremo superiore e inferiore). Dato un sottoinsieme non vuoto E\subset \mathbb{R} limitato superiormente, l’estremo superiore di E è definito da

    \[ 		\sup E\coloneqq \min M(E). 		\]

Se, invece, E non è limitato superiormente, poniamo

    \[\sup E\coloneqq +\infty.\]

Analogamente, dato un sottoinsieme non vuoto E\subset \mathbb{R} limitato inferiormente, l’estremo inferiore di E è definito da

    \[ 		\inf E\coloneqq \max m (E). 		\]

Se, invece, E non è limitato inferiormente, poniamo

    \[\inf E\coloneqq  -\infty.\]

Per l’insieme vuoto, definiamo convenzionalmente \sup\emptyset =-\infty e \inf \emptyset= +\infty.

    \[\quad\]

Osservazione 2.77. Notiamo che, mentre un insieme limitato e non vuoto qualunque E \subseteq \mathbb{R} non ha necessariamente massimo e minimo, l’insieme M(E) dei maggioranti di E ha sempre minimo, e l’insieme m(E) dei minoranti di E ha sempre massimo; quindi \sup E e \inf E esistono sempre, al contrario di \max E e \inf E.

Questa garanzia di esistenza è dovuta a una importantissima proprietà caratteristica dei numeri reali, detta assioma di completezza o assioma di Dedekind; un assioma è una proprietà che viene assunta vera senza necessità di dimostrazione, quindi nel seguito useremo questa proprietà dei numeri reali senza dimostrarla7. Per convenienza del lettore, enunciamo l’assioma in questione.


  1. Ciò è leggermente fuorviante, perché in realtà l’assioma di completezza è dimostrabile a partire dalla costruzione formale dei numeri reali. Esso è però chiamato assioma per ragioni storiche, e perché non ne daremo una dimostrazione rigorosa. Per maggiori dettagli rimandiamo il lettore in assioma di Dedekind.

Assioma 2.78. (completezza di \mathbb{R}). Un insieme E \subset \mathbb{R} superiormente limitato possiede estremo superiore \sup E.

    \[\quad\]

Osserviamo che l’assioma 2.78 implica l’esistenza dell’estremo inferiore per ogni insieme limitato inferiormente, come mostra la prossima proposizione.

    \[\quad\]

proposizione 2.79 (proprietà dell’estremo superiore e inferiore). Sia E, F \subseteq \mathbb{R}; valgono le seguenti proprietà:

    \[\quad\]

  1. Se \sup E \in E, allora \sup E = \max E; analogamente, se \inf E \in E, allora \inf E = \min E;
  2.  

  3. \sup (-E)=-\inf E e \inf(-E)=-\sup E;
  4.  

  5. \sup E e \inf E esistono e sono unici;
  6.  

  7. Se E \subseteq F, allora

    (126)   \begin{equation*} 				\sup E \leq \sup F, 				\qquad 				\inf E \geq \inf F; 			\end{equation*}

  8.  

  9. Se E è limitato superiormente, allora \sup E è caratterizzato dalla seguente proprietà:

    (127)   \begin{equation*} 				\alpha=\sup E \iff \left\{\begin{array}{l} 					\alpha \geq x  \quad \forall x \in E\\ 					\forall \beta < \alpha \quad \exists x \in E: x>\beta; 				\end{array}\right. 			\end{equation*}

    Analogamente, Se E è limitato inferiormente, allora \inf E è caratterizzato dalla seguente proprietà:

    (128)   \begin{equation*} 				\alpha=\inf E \iff \left\{\begin{array}{l} 					\alpha \leq x  \quad \forall x \in E\\ 					\forall \beta > \alpha \quad \exists x \in E: x<\beta. 				\end{array}\right. 			\end{equation*}

    \[\quad\]

Dimostrazione.

  1. Se \sup E \in E, poiché \sup E è anche un maggiorante di E, allora \sup E = \max E per la definizione 2.69. La proprietà riguardante \inf E si dimostra in maniera analoga.
  2.  

  3. Per definizione, si ha che y \in M(-E) se e solo se y\geq -x per ogni x \in E, ovvero se e solo se -y \leq x per ogni x \in E. Abbiamo dunque provato che

    (129)   \begin{equation*} 			M(-E)=-m(E) 		\end{equation*}

    Con un ragionanmento del tutto analogo si prova che per ogni A \subseteq \mathbb{R}, si ha \max(-A)=-\min(A). Prendendo il \max in (129) e sostituendo quest’ultima uguaglianza, segue che \sup(-E)=-\inf E. La seconda uguaglianza nel punto 2. segue immediatamente dalla prima.

  4.  

  5. L’esistenza di \sup E segue dall’assioma di completezza dei numeri reali, cf. assioma 2.78; l’esistenza di \inf E segue dal punto 2. L’unicità è conseguenza della definizione 2.76 e dell’unicità di massimo e minimo.
  6.  

  7. Se y \in M(F), per ogni x \in F si ha y \geq x. Poiché E \subseteq F, si ottiene anche

    (130)   \begin{equation*} 			y \geq x 			\qquad 			\forall x \in E, 		\end{equation*}

    da cui y \in M(E), quindi

    (131)   \begin{equation*} 			M(F) \subseteq M(E). 		\end{equation*}

    Poiché per definizione 2.76, si ha \sup F = \min M(F) e \min M(F) \in M(E) per (131), per definizione di minimo si ha

    (132)   \begin{equation*} 			\sup F 			= 			\min M(F) 			\geq 			\min M(E) 			= 			\sup E. 		\end{equation*}

    La disuguaglianza \inf E \geq \inf F si dimostra in maniera analoga.

  8.  

  9. Se \alpha = \sup E, allora per la definizione 2.76 \alpha è un maggiorante di E, cioè

    (133)   \begin{equation*} 			\alpha \geq x  \quad \forall x \in E. 		\end{equation*}

    Inoltre, \alpha è il minimo dei maggioranti di E, e ciò implica che qualunque numero \beta < \alpha non è un maggiorante di E, quindi

    (134)   \begin{equation*} 			\forall \beta< \alpha \quad \exists x \in E: x>\beta. 		\end{equation*}

    Queste considerazione provano

    (135)   \begin{equation*} 			\alpha=\sup E 			\Longrightarrow 			\left\{\begin{array}{l} 				\alpha \geq x  \quad \forall x \in E\\ 				\forall \beta< \alpha \quad \exists x \in E: x>\beta. 			\end{array}\right. 		\end{equation*}

    Per provare l’implicazione opposta, osserviamo che se \alpha \in \mathbb{R} soddisfa le due condizioni al membro destro di (127), la prima implica che \alpha \in M(E), mentre la seconda implica che, ogni \beta< \alpha non è un maggiorante di E, quindi \alpha = \min M(E), cioè

    (136)   \begin{equation*} 			\alpha 			= 			\sup E. 		\end{equation*}

    La caratterizzazione (128) si dimostra in maniera analoga.

Esempio 2.80. Se E=(0,1] allora

    \[ 	\sup E=1 ,\quad \quad \inf E=0. 	\]

Siccome 0 \notin E, E non ammette minimo. D’altra parte \sup E=1 \in E dunque \max E=1.

Esempio 2.81. Determinare estremo superiore e inferiore, e dire se sono massimo e minimo, del seguente insieme

    \[ 	E=\left\{a_{n}=\frac{1}{3 n^{2}+5}: n \in \mathbb{N}\right\}. 	\]

Osserviamo preliminarmente che la successione \left\{a_n=\dfrac{1}{3n^2+5}\right\} è maggiore uguale a 0 per ogni n\in \mathbb{N}. Inoltre a_n> a_{n+1} per ogni n\in\mathbb{N}; infatti

    \[ 	\frac{1}{3 n^{2}+5}>\frac{1}{3(n+1)^{2}+5} \Longleftrightarrow 3 n^{2}+5<3\left(n^{2}+2 n+1\right)+5 \Longleftrightarrow 3 n^{2}<3 n^{2}+6 n+3 \Longleftrightarrow 6 n>-3 	\]

e ovviamente l’ultima disuguaglianza è valida per ogni n\in\mathbb{N}. Allora

    \[ 	0<\frac{1}{3 n^{2}+5} \leq  a_{1}=\frac{1}{8} 	\]

L’elemento \dfrac{1}{8} appartiene all’insieme A ed è un maggiorante di esso, quindi

    \[ 	\sup E= \max E= \frac 1 8. 	\]

Osserviamo che \nexists\,n\in\mathbb{N} tale che a_n=0. Vogliamo dimostrare che \inf E=0, dobbiamo cioè verificare che:

    \[ 	\forall \varepsilon>0 \quad  \exists n_{\varepsilon} \in \mathbb{N}: \quad \frac{1}{3 n_{\varepsilon}^{2}+5}<\varepsilon 	\]

pertanto

    \[ 	\frac{1}{3 n_{\varepsilon}^{2}+5}<\varepsilon \quad \Longleftrightarrow \quad 3 n_{\varepsilon}^{2}+5>\frac{1}{\varepsilon} \quad \Longleftrightarrow \quad  n_{\varepsilon}^{2}>\frac{1}{3}\left(\frac{1}{\varepsilon}-5\right), 	\]

che è certamente vera per qualche n_\varepsilon \in \mathbb{N} abbastanza grande. Dunque \inf E=0 e l’insieme non ammette minimo.

Una volta date le definizioni di estremo superiore e inferiore per un insieme, le corrispondenti definizioni per una funzione f reale di variabile reale sono naturali.

Definizione 2.82. Una funzione f:E\subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R} si dice limitata superiormente se \operatorname{Im}(f) è limitato superiormente, ossia se esiste M \in \mathbb{R} tale che

    \[f(x) \leq M 		\qquad 		\forall x \in E.\]

In particolare, f è limitata superiormente se

    \[\alpha\coloneqq \sup \operatorname{Im}(f)=\sup\{f(x): x \in E\} < +\infty.\]

Se \alpha \in \operatorname{Im}(f) allora \alpha si dice il massimo di f su E e si indica con

    \[ 		\max_{x\in E} f(x). 		\]

Analogamente, una funzione f:E\subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R} si dice limitata inferiormente se \operatorname{Im}(f) è limitato inferiormente, ossia se esiste m \in \mathbb{R} tale che

    \[f(x) \ge m 		\qquad 		\forall x \in E.\]

In particolare, f è limitata inferiormente se

    \[\beta\coloneqq \inf \operatorname{Im}(f)=\inf\{f(x): x \in E\} > -\infty.\]

Se \beta \in \operatorname{Im}(f) allora \beta si dice il minimo di f su E e si indica con

    \[ 		\min_{x\in E} f(x). 		\]

Infine, una funzione f:E\subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R} si dice

    \[\quad\]

  • limitata se è limitata sia superiormente che inferiormente.
  •  

  • illimitata superiormente (risp. inferiormente) se non è limitata superiormente (risp. inferiormente).

Esempio 2.83. La funzione f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} definita da

(137)   \begin{equation*} 		f(x)=x^2 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R} 	\end{equation*}

è limitata inferiormente e illimitata superiormente. Infatti, come mostrato dalla figura 39, si ha

(138)   \begin{equation*} 	{\rm Im} (f) 		= 		[0,+\infty). 	\end{equation*}

Da ciò segue \sup f = + \infty e che m({\rm Im}  (f)) = (-\infty, 0] (si veda figura 39 dove m({\rm Im} ( f)) è rappresentato in rosso). Dunque

    \[ 	\inf f  	= 	\inf {\rm Im}(  f) 	= 	\max m({\rm Im} ( f)) 	= 	\max \, (-\infty, 0] =0. 	\]

Poiché \inf f \in {\rm Im} ( f), f ha minimo e si ha

(139)   \begin{equation*} 		\inf f 		= 		\min f 		= 		0. 	\end{equation*}

D’altra parte, poiché {\rm Im}  (f) = [0,+\infty), f è illimitata superiormente, quindi si ha

(140)   \begin{equation*} 		\sup f = + \infty. 	\end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 39: la funzione f(x)=x^2 dell’esempio 2.83. In blu, sull’asse y, è raffigurato l’insieme {\rm Im} ( f), mentre in rosso è raffigurato l’insieme m({\rm Im}  (f)) dei minoranti di {\rm Im} ( f); si noti che {\rm Im}  (f) è illimitato superiormente.

    \[\quad\]

Esempio 2.84. Con ragionamenti analoghi al precedente esempio, si può verificare che la funzione f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} definita da

(141)   \begin{equation*} 		f(x)=x^3 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R} 	\end{equation*}

soddisfa {\rm Im}  (f )= \mathbb{R} (si veda la figura 40) e quindi è illimitata sia superiormente che inferiormente, dunque

(142)   \begin{equation*} 		\sup f 		= 		+\infty, 		\qquad 		\inf f 		= 		-\infty. 	\end{equation*}

D’altra parte, poiché f\big([0,2)\big) = [0,8), per la definizione 2.82 si ha

(143)   \begin{equation*} 		\sup_{[0,2)} f 		= 		8, 		\qquad 		\inf_{[0,2)} f 		= 		\min_{[0,2)} f 		= 		0 	\end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 40: la funzione f(x)=x^3 dell’esempio 2.84). In blu, sull’asse y, è raffigurato l’insieme {\rm Im} ( f), si noti che {\rm Im} ( f) = \mathbb{R} è illimitato.

    \[\quad\]

Esempio 2.85. La funzione f:\mathbb{R}_0^+\to \mathbb{R} definita da

(144)   \begin{equation*} 		f(x)=\sqrt x 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}_0^+ 	\end{equation*}

soddisfa {\rm Im} ( f) = [0,+\infty) (si veda la figura 41, quindi è illimitata superiormente e limitata inferiormente e si ha

    \[ 	\sup f = + \infty, 	\qquad 	\inf f =\min f=0. 	\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 41: la funzione f dell’esempio 2.85. In blu, sull’asse y, è raffigurato l’insieme {\rm Im} ( f), mentre in rosso è raffigurato l’insieme m({\rm Im} ( f)); si noti che {\rm Im} ( f) = [0,+\infty) è illimitato superiormente e che \min f = 0.

    \[\quad\]

    \[\quad\]


Monotonia.

Un altro aspetto da affrontare è la monotonia di una funzione, ovvero se (o dove) essa è crescente o decrescente.

Definizione 2.86. Una funzione f:E \subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R} si dice8

    \[\quad\]

  • Monotona crescente se per ogni x,y\in E tali che x<y si ha f(x)\le f(y).
  •  

  • Monotona decrescente se per ogni x,y\in E tali che x<y si ha f(x)\ge f(y).
  •  

  • Monotona strettamente crescente se per ogni x,y\in E tali che x<y si ha f(x)< f(y).
  •  

  • Monotona strettamente decrescente se per ogni x,y\in E tali che x<y si ha f(x)> f(y).

  1. Segnaliamo che alcuni autori utilizzano una terminologia differente, utilizzando il termine non-decrescente (risp. non-crescente) per quello che noi abbiamo definito come crescente (risp. decrescente) e riservano il termine crescente (risp. descrescente) per quello che noi abbiamo definito come strettamente crescente (risp. strettamente decrescente).

    \[\quad\]

Osservazione 2.87. Una funzione strettamente crescente è anche crescente, mentre il viceversa in generale è falso; analogamente, una funzione strettamente decrescente è anche decrescente, mentre il viceversa in generale è falso.

Inoltre, se una funzione f \colon E \to \mathbb{R} è sia crescente che decrescente, allora è costante: infatti, per ogni x, y \in E tali che x \leq y, deve aversi

(145)   \begin{equation*} 		f(x) \leq f(y), 		\qquad 		f(x) \geq f(y), 	\end{equation*}

che implica f(x)=f(y).

Esempio 2.88.

  1. Sia f_1 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} definita da

    (146)   \begin{equation*} 			f_1(x) 			= 			\begin{cases} 				x, & \text{se } x \in (-\infty,1]; \\ 				1, & \text{se } x \in (1,3]; \\ 				2x - 4, & \text{se } x \in (3,+\infty). 			\end{cases} 		\end{equation*}

    f_1 è una cosiddetta funzione definita per casi e il suo grafico è rappresentato in alto a sinistra nella figura 42. Si verifica facilmente che f_1 è monotona crescente, come evidenziato dalla figura: da x_1<x_2<x_3 segue

    (147)   \begin{equation*} 			f_(x_1) \leq f_(x_2) < f_(x_3). 		\end{equation*}

    f_1 non è però strettamente crescente, infatti, se x_1,x_2 \in (1,3] con x_1 < x_2, si ha

        \[1=f_1(x_1)=f_1(x_2).\]

  2.  

  3. La funzione f_2 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} definita da

    (148)   \begin{equation*} 			f(x) 			= 			\frac{x^5}{4} - \frac{8}{5}x^3 + 2x 			\qquad 			\forall x \in \mathbb{R} 		\end{equation*}

    e il cui grafico è rappresentato in alto a destra nella figura 42 non è monotona: infatti per i tre punti x_1 < x_2 < x_3 rappresentati si ha

    (149)   \begin{equation*} 			f_2(x_1) < f_2(x_2), 			\qquad 			f_2(x_2) > f_2(x_3). 		\end{equation*}

    Come si può notare dal grafico, f_2 è monotona strettamente decrescente nell’intervallo [x_2,x_3].

  4.     \[\quad\]

        \[\quad\]

    Figura 42: grafici (in blu) delle funzioni dell’esempio 2.88.

     

  5. La funzione f_3 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} definita da

    (150)   \begin{equation*} 			f_3(x) 			= -x^3 \qquad 			\forall x \in \mathbb{R} 		\end{equation*}

    il cui grafico è rappresentato in basso a sinistra nella figura 42 è strettamente decrescente, come si può notare dalla scelta dei punti x_1,x_2 fatta ad esempio sul grafico.

  6.  

  7. La funzione f_4 \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} definita da

    (151)   \begin{equation*} 			f_4(x) 			= 			x^2 			\qquad 			\forall x \in \mathbb{R} 		\end{equation*}

    (il cui grafico è rappresentato in basso a destra nella figura 42) non è monotona, infatti per i tre punti x_1 < x_2 < x_3 rappresentati si ha

    (152)   \begin{equation*} 			f_4(x_1) > f_4(x_2), 			\qquad 			f_4(x_2) < f_4(x_3). 		\end{equation*}

    f_4 è però monotona strettamente decrescente su (-\infty, 0] e strettamente crescente su [0,+\infty).

Osservazione 2.89. Nell’esempio 2.88, abbiamo preferito illustrare più che dimostrare le affermazioni fatte; ad esempio, le affermazioni che la funzione f_1 sia crescente, che la funzione f_3 sia strettamente decrescente e che la funzione f_4 sia crescente se ristretta a [0,+\infty) andrebbero dimostrate rigorosamente, scegliendo due generici x_1,x_2 e provando che le loro immagini soddisfano le relazioni della definizione 2.86. Il lettore può svolgere questi ragionamenti come utile esercizio.

Esempio 2.90. La funzione f \colon \mathbb{R}_0^+ \to \mathbb{R}_0^+ definita da

(153)   \begin{equation*} 		f(x) 		= 		\sqrt[4]{x} 		\qquad 		\forall x \in \mathbb{R}_0^+ 	\end{equation*}

è monotona strettamente crescente: per qualunque x_1,x_2\in \mathbb{R}^+ con x_1<x_2, si ha \sqrt[4] x_1<\sqrt[4] x_2, come mostrato in figura 43.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 43: grafico (in blu) della funzione dell’esempio 2.90.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Per dimostrarlo, osserviamo che per ogni x \in \mathbb{R}_0^+, f(x) soddisfa

(154)   \begin{equation*} 		\big(f(x)\big)^4 		= 		x, 	\end{equation*}

per definizione di radice quarta. Scegliamo quindi x_1,x_2 \in \mathbb{R}_0^+ tali che x_1 < x_2.

Se avessimo f(x_1) \geq f(x_2), poiché la potenza di esponente 4 è una funzione crescente (moltiplicando per sé stessi numeri positivi maggiori si ottengono risultati maggiori), da (154) si otterrebbe

(155)   \begin{equation*} 		x_1 		= 		\big(f(x_1)\big)^4 		\geq 		\big(f(x_2)\big)^4 		= 		x_2, 	\end{equation*}

cioè x_1 \geq x_2, che contraddice x_1 < x_2; la contraddizione deriva dall’aver supposto che f(x_1) \geq f(x_2), quindi ciò vuol dire che f(x_1) < f(x_2).

Vediamo ora un risultato che collega la monotonia di una funzione alla sua invertibilità.

Teorema 2.91. Sia f \colon E  \subseteq \mathbb{R}\to \mathbb{R} una funzione monotona strettamente crescente (risp. decrescente) in E. Allora, la funzione

    \[f|^{{\rm Im }f} \colon E \to {\rm Im }(f)\]

è invertibile e la sua inversa è una funzione monotona strettamente crescente (risp. decrescente).

    \[\quad\]

Dimostrazione. Senza perdita di generalità, supponiamo che f sia monotona strettamente crescente, l’altro caso è analogo. Questo significa che per ogni x,y\in E con x<y, si ha f(x)<f(y). In particolare, questo implica che f è iniettiva. Considerando f|^{{\rm Im} f}, cioè la funzione ottenuta a partire da f restringendo il suo codominio alla sua immagine, essa rimane iniettiva, in quanto f lo è, ed è anche suriettiva, per definizione. Dunque, f|^{{\rm Im }f} è biettiva e dunque invertibile come funzione E \to {\rm Im}(f), cf. proposizione 2.27. Sia g la sua inversa. Per dimostrare l’ultima affermazione, scegliamo due elementi qualunque y_1, y_2 \in f(E) con y_1 < y_2 e verifichiamo che g(y_1) < g(y_2). Poniamo quindi x_1=g(y_1) e x_2=g(y_2); poiché g è l’inversa di f|^{{\rm Im} (f)}, si ha

(156)   \begin{equation*}  	f(x_1) = y_1 < y_2 = f(x_2).  \end{equation*}

Per la monotonia di f deve aversi quindi x_1 < x_2, cioè

(157)   \begin{equation*}  	g(y_1)  	=  	x_1  	< x_2  	=g(y_2).  \end{equation*}

Esempio 2.92. La funzione quadratica f:x \in \mathbb{R}_0^+ \mapsto x^2 \in \mathbb{R}_0^+ è monotona strettamente crescente, quindi invertibile per il teorema 2.91. dunque, esiste una funzione g: f(\mathbb{R}_0^+)\to \mathbb{R}_0^+ che è inversa di f, la quale sappiamo essere, cf. esempio 2.28, la funzione g: x \in \mathbb{R}_0^+ \mapsto \sqrt{x}\in \mathbb{R}_0^+. La parte non banale di questa affermazione, che non abbiamo dimostrato in questa dispensa, è dimostrare rigorosamente che f è suriettiva, cf. esempio 1.8. Ciò segue dall’assioma di completezza, cf. assioma 2.78.

    \[\quad\]

Esercizio 2.93  (\bigstar\largewhitestar\largewhitestar\largewhitestar\largewhitestar). Provare, con un controesempio, che non vale il viceversa nel teorema precedente, ovvero: trovare una funzione che sia invertibile ma non monotona.

    \[\quad\]

(Suggerimento: Si consideri E=[0,2] e si divida ad esempio E= [0,1] \cup (1,2]; si scelgano poi quattro numeri a<b<c<d in \mathbb{R}, due funzioni f_1 \colon [0,1] \to [a,b], crescente, e f_2 \colon (1,2] \to [c,d), decrescente, (ad esempio lineari); si definisca infine f \colon E \to \mathbb{R} tale che

(158)   \begin{equation*} 		f(x) 		= 		\begin{cases} 			f_1(x) & \text{se } x \in [0,1]\\ 			f_2(x) & \text{se } x \in (1,2]. 		\end{cases} 	\end{equation*}

Si mostri poi che f non è monotona, ma è iniettiva e quindi invertibile restringendo il codominio a {\rm Im} (f).)


 

Studio di funzione reale di variabile reale

Motivazioni.

Molti fenomeni naturali sono descritti da funzioni di vario tipo. Un modo naturale per comprendere qualitativamente tali fenomeni consiste nel tracciare un grafico approssimativo delle funzioni in gioco, in modo da evidenziare visivamente le loro proprietà, che abbiamo studiato nelle sezioni 1 e 2. Per chiarirci le idee, supponiamo di aver ricavato un modello matematico del moto di un corpo soggetto a forze e fissato a un binario rettilineo verticale, che possiamo immaginare come un asse y verticale, e supponiamo di sapere che la sua posizione su tale asse è una funzione f del tempo, cioè esiste una certa operazione matematica f che, calcolata al tempo t, fornisce la posizione y(t) del corpo in quell’istante. In altre parole, abbiamo una relazione del tipo y=f(t); ad esempio l’espressione può essere qualcosa di simile alla seguente

(159)   \begin{equation*} 	y(t) 	= 	f(t)= 	\dfrac{t^2-\sqrt{10-t}}{2^t  \sqrt[4]{10-t}}. \end{equation*}

Non ci chiediamo da dove provenga tale relazione, ma stiamo solo supponendo che i dati in nostro possesso suggeriscano che la posizione del corpo sia legata al tempo da essa. Risulta naturale farsi alcune domande sul nostro modello matematico del fenomeno:

    \[\quad\]

  1. Che validità temporale ha il nostro modello? Cioè, per quali tempi ci permette effettivamente di calcolare l’altezza y raggiunta dal corpo? Osserviamo che le radici quadrate e quarte non sono definite per t>10 (poiché l’argomento della radice diventa negativo), e che inoltre il denominatore si annulla per t=10. Poiché tali operazioni non si possono svolgere, quindi sicuramente il nostro modello non è più valido per tempi t \geq 10. Esistono altre limitazioni temporali che non abbiamo notato?
  2.  

  3. Cosa ci sta suggerendo il nostro modello sul moto del corpo per tempi t<10?
  4.  

  5. Per quali tempi l’altezza del corpo sarà superiore o inferiore al valore di riferimento y=0?
  6.  

  7. Esso si muoverà in salita o in discesa o oscillerà più volte?
  8.  

  9. Il corpo rimarrà confinato (e in tal caso quali sono i massimi e minimi valori di altezza che raggiungerà, se li raggiunge) o tenderà a sfuggire lontano (e in tal caso in quale direzione)?
  10.  

  11. Il suo moto avrà una periodicità? Se si, quanto dura un “ciclo” compiuto dal corpo?
  12.  

  13. Cosa prevede che succeda il nostro modello matematico, in prossimità del(dei) tempo(i) “singolare(i)” t=10 (dove 10 possono essere secondi, minuti, anni, a seconda del particolare problema che stiamo studiando)?
  14.  

  15. Da dove sta provenendo il corpo, cioè cosa dice il modello per tempi negativi?
  16.  

  17. Con che velocità si muoverà il corpo? Avrà inoltre degli scatti o il suo movimento sarà fluido e continuo?

Tutte queste domande possono essere riformulate in linguaggio matematico, cioè relative alla funzione determinata da f; il lettore è invitato a convincersi del fatto che il prossimo elenco di domande è una traduzione del primo in linguaggio matematico:

    \[\quad\]

  1. Qual è l’insieme di definizione della funzione f? Abbiamo capito che esso è contenuto nell’intervallo (-\infty,10). Vi sono altre limitazioni che non abbiamo notato?
  2.  

  3. Quali sono le proprietà di f nel suo dominio?
  4.  

  5. Per quali t \in {\rm Dom} (f) si ha f(t) \geq 0 e quali t \in {\rm Dom}( f) si ha f(t)< 0?
  6.  

  7. f è crescente, decrescente oppure alterna intervalli contenuti in {\rm Dom} (f) in cui è crescente a intervalli in cui è decrescente?
  8.  

  9. f è limitata? Quanto valgono \sup f e \inf f? Questi valori sono raggiunti? Ossia, esistono \max f e \min f? Oppure f è illimitata? Se lo è, è limitata superiormente o inferiormente e per quali tempi tali valori tendono a venire raggiunti?
  10.  

  11. f è periodica? Se si, ha un periodo minimo? Quanto vale?
  12.  

  13. Quanto vale il limite di f per t \to 10?
  14.  

  15. Quanto vale il limite di f per t \to -\infty?
  16.  

  17. Quanto vale la derivata di f? f è continua oppure ha delle discontinuità?

Si può osservare come queste informazioni su f permettano di disegnarne il grafico e, viceversa, come osservare il grafico di f permette di dedurre le suddette informazioni. Le ultime domande dell’elenco richiamano concetti matematici che non abbiamo definito nelle sezioni precedenti (e che non definiremo in queste dispense, cf. sezione 3.5), ma che abbiamo preferito presentare in modo da supportare l’intuizione che, studiando concetti matematici associati alla funzione f, si possa rispondere alle domande naturali che ci si pone relativamente a un modello matematico di un fenomeno reale.

Osservando che la scrittura di un modello matematico riguarda moltissime situazioni di importanza enorme (variazioni economiche, epidemie, sicurezza…), risulta di fondamentale importanza rispondere a queste questioni. Lo studio dell’Analisi Matematica tenta proprio di assolvere questo compito, ed è per questo motivo che una parte considerevole dei corsi universitari di matematica riguardano il cosiddetto “studio di funzioni”, che consiste nello sviluppare degli strumenti utili a rispondere alle domande che ci siamo posti sopra (e a molte altre).

Nelle prossime sezioni presenteremo alcune parziali risposte che si possono ottenere con metodi elementari, rimandando ai successivi corsi di Analisi Matematica per tutta la serie di strumenti (continuità, limiti, derivate, integrali) che permettono di trovare delle risposte esaustive alla maggior parte delle domande che abbiamo posto.


Insieme di definizione.

    \[\quad\]

Definizione 3.1 (insieme di definizione). Data un’operazione f(x) sul numero reale x, si dice insieme di definizione, o campo di esistenza, o dominio massimale di f(x), il massimo sottoinsieme D di \mathbb{R}, rispetto all’ordinamento per inclusione, per cui esista la funzione f: D \to \mathbb{R} definita da

(160)   \begin{equation*} 			f: x \in D \mapsto  			f(x) \in \mathbb{R} 		\end{equation*}

Con un abuso di notazione, la funzione f:D \to \mathbb{R}, detta funzione determinata da f(x), si indica con lo stesso simbolo usato per l’operazione che la determina.

    \[\quad\]

Facciamo qualche esempio pratico per chiarire meglio la questione.

Esempio 3.2 (denominatori). Determiniamo l’insieme di definizione di

(161)   \begin{equation*} 		f(x)=\frac{1}{x-1}. 	\end{equation*}

L’insieme cercato è costituito da tutti i valori x\in \mathbb{R} per i quali il denominatore è non nullo (altrimenti l’operazione di divisione non sarebbe ben definita). Dunque in questo caso il “dominio” di f(x) è l’insieme

    \[ 	{\rm Dom}(f)=\{x\in \mathbb{R} \; :\; x-1 \neq 0\}=\{x\in \mathbb{R} \; : \; x \neq 1\}=\mathbb{R}\setminus \{1\}, 	\]

ovvero tutto l’insieme \mathbb{R} escluso il punto x=1.

La funzione determinata da (161) è dunque

    \[f: \mathbb{R}\setminus \{1\} \to \mathbb{R}, \; 	f(x)=\frac{1}{x-1}.\]

In generale, supponiamo che f(x) sia esprimibile come

    \[f(x)=\dfrac{h(x)}{g(x)}.\]

Allora il dominio di f è l’insieme

    \[ 	{\rm Dom}(f)=\{x\in 	{\rm Dom}(g) \; :\; g(x)\neq 0\} \cap 	{\rm Dom}(h). 	\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 44: grafico della funzione f (in blu) determinata da (161).

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Esempio 3.3 (radici quadrate). Determiniamo l’insieme di definizione di

(162)   \begin{equation*} 		f(x)=\sqrt{x-1}. 	\end{equation*}

L’insieme cercato è costituito da tutti i valori di x\in \mathbb{R} per i quali l’argomento della radice è non negativo (altrimenti l’operazione di radice quadrata non sarebbe ben definita). Dunque in questo caso il “dominio” di f è l’insieme

    \[ 	{\rm Dom}(f)=\{x\in \mathbb{R} \; :\; {x-1} \ge  0\}=\{x\in \mathbb{R} \; : \; x \ge 1\}=[1, +\infty). 	\]

La funzione determinata da (162) è dunque

    \[f: [1, +\infty)\to \mathbb{R}, \; 	f(x)=\sqrt{x-1}.\]

In generale, se in f(x) sono coinvolte radici quadrate, per esempio

    \[f(x)=\sqrt{g(x)},\]

allora il dominio di f è l’insieme

    \[ 	{\rm Dom}(f)=\{x\in 	{\rm Dom}(g) \; :\; g(x)\ge  0\}. 	\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 45: grafico della funzione f (in blu) determinata da (162).

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Esempio 3.4 (logaritmi). Sia a \in \mathbb{R} tale che a>0 e a\neq 1 un numero fissato. Determiniamo l’insieme di definizione di

(163)   \begin{equation*} 		f(x)=\log_a (x-1), 	\end{equation*}

L’insieme cercato è costituito da tutti i valori di x\in \mathbb{R} per i quali l’argomento del logaritmo è positivo (altrimenti non sarebbe ben definito il logaritmo). Dunque in questo caso il “dominio” di f è l’insieme

    \[ 	{\rm Dom}(f)=\{x\in \mathbb{R} \; :\; {x-1} >  0\}=\{x\in \mathbb{R} \; : \; x >1\}=(1, +\infty). 	\]

La funzione determinata da (163) è dunque

    \[f: (1, +\infty)\to \mathbb{R}, \; 	f(x)=\log_a (x-1).\]

In generale, se in f(x) sono coinvolti dei logaritmi, per esempio

    \[f(x)=\log_a(g(x)),\]

allora il dominio di f è l’insieme

    \[ 	{\rm Dom}(f)=\{x\in 	{\rm Dom}(g) \; :\; g(x) >  0\}. 	\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 46: grafico della funzione f (in blu) determinata da (163).

    \[\quad\]

    \[\quad\]

I tre esempi riportati qui sopra, sebbene non esauriscano tutti i casi possibili (basti pensare alle funzioni trigonometriche e alle loro inverse), rappresentano una buona base sulla quale esercitarsi nella determinazione del dominio naturale di una funzione reale di variabile reale. Nella pratica, bisogna combinare in modo opportuno quanto riportato negli esempi precedenti, come mostra il prossimo esempio.

Esempio 3.5 (denominatori e radici quadrate). Determiniamo l’insieme di definizione di

(164)   \begin{equation*} 		f(x)=\frac{\sqrt{x}}{2x^2-3}. 	\end{equation*}

L’insieme cercato è costituito da tutti i valori di x\in \mathbb{R} per i quali il termine sotto radice sia non negativo e il termine al denominatore sia non nullo. Dunque in questo caso il “dominio” di f è l’insieme

    \[ 	{\rm Dom}(f)=\{x\in \mathbb{R} \; :\; {x} \ge  0 \quad \text{e} \quad 2x^2-3 \neq 0\}. 	\]

Dunque per determinare le x in E dobbiamo risolvere il sistema

    \[ 	\begin{cases} 		&{x} \ge  0 \\ 		& 2x^2-3 \neq 0, 	\end{cases} 	\]

la cui soluzione è

    \[ 	\begin{cases} 		&x \ge  0 \\ 		& x \neq \pm \sqrt{\frac 32}. 	\end{cases} 	\]

Dunque otteniamo

    \[ 	{\rm Dom}(f)=\left[0, \sqrt{\frac 32} \right) \cup \left( \sqrt{\frac 32},  +\infty \right). 	\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 47: grafico della funzione f (in blu) determinata da (164.).

    \[\quad\]

    \[\quad\]


Studio del segno.

Il problema dello studio del segno di una funzione consiste nel determinare gli insiemi dei punti del dominio dove essa è positiva, nulla o negativa, cioè

(165)   \begin{equation*} 	\{x \in {\rm Dom} (f) \colon f(x) > 0\}, 	\qquad 	\{x \in {\rm Dom} (f )\colon f(x) = 0\}, 	\qquad 	\{x \in {\rm Dom} (f )\colon f(x) < 0\}. \end{equation*}

Determinare tali insiemi si riduce quindi alla risoluzione di disequazioni, ovvero trovare i valori di x che sono soluzioni rispettivamente delle seguenti condizioni

(166)   \begin{equation*} 	f(x)>0, 	\qquad 	f(x)=0, 	\qquad 	f(x) < 0. \end{equation*}

Chiaramente basta determinare solo due degli insiemi descritti, in quanto il terzo è ottenuto come complementare dell’unione degli altri due, ad esempio

(167)   \begin{equation*} 	\{x \in {\rm Dom}( f) \colon f(x) < 0\} 	= 	{\rm Dom} (f) \setminus \{x \in {\rm Dom} (f )\colon f(x) \geq 0\}. \end{equation*}

È ragionevole aspettarsi la seguente definizione.

Definizione 3.6 (studio del segno). Studiare il segno di una funzione f: {\rm Dom}(f) \to \mathbb{R} corrisponde a determinare l’insieme delle soluzioni della disequazione

(168)   \begin{equation*} 			f(x) \geq 0. 		\end{equation*}

    \[\quad\]

Osservazione 3.7. Determinare il segno di una funzione equivale a determinare se, in corrispondenza di una certa ascissa x, y=f(x) \geq 0 e ciò, graficamente, indica se il grafico si trova al di sopra o al di sotto dell’asse delle x, cioè se \Gamma_ f è nella parte superiore o inferiore del piano cartesiano.

Chiariamo i concetti esposti con degli esempi.

Esempio 3.8. Studiamo il segno di

    \[f(x)=x+\sqrt x.\]

Come visto nella sezione 3.2, questa espressione induce una funzione nel suo insieme di definizione. Poiché la radice quadrata è calcolabile solo per argomenti non negativi, si ha

(169)   \begin{equation*} 		{\rm Dom} (f) 		= 		[0,+\infty). 	\end{equation*}

Quindi l’espressione f definisce una funzione f \colon \mathbb{R}_0^+ \to \mathbb{R}. Per determinare il segno di f, risolviamo la disequazione

    \[ 	x+\sqrt x\ge 0. 	\]

Per ogni x \geq 0 (ossia per gli x \in {\rm Dom}( f)), f(x) è costituita dalla somma di due termini: il primo corrisponde a x stesso, che quindi è non-negativo; il secondo è dato da \sqrt{x} che, per definizione di radice quadrata, è l’unico numero reale non negativo che elevato al quadrato è pari a x, e quindi è appunto non-negativo. Poiché f(x) è la somma di due termini non negativi, è non-negativa e si ha

(170)   \begin{equation*} 		f(x) \geq 0 		\qquad 		\forall x \in {\rm Dom}( f). 	\end{equation*}

Studiamo ora l’insieme degli zeri di f, ossia

(171)   \begin{equation*} 		\{x \in {\rm Dom} (f) \colon f(x) = 0\}. 	\end{equation*}

Per ragionamenti analoghi, si ha che f(x)=0 se e solo se x = 0. Riportiamo tali considerazioni su un piano cartesiano, rappresentato nella figura 48:

    \[\quad\]

  • Abbiamo indicato in grigio la parte di piano esclusa poiché {\rm Dom}( f) = [0,+\infty);
  •  

  • In arancione abbiamo indicato la parte di piano che il grafico non interseca, cioè la regione dei punti aventi coordinata y < 0, in quanto f(x) \geq 0 per ogni x \in {\rm Dom} (f);
  •  

  • Si noti anche che f(0)=0 e che 0 è l’unico punto in cui f si annulla.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 48: il campo di esistenza e l’insieme di positività della funzione f dell’esempio 3.8.

    \[\quad\]

Esempio 3.9. Studiamo il segno di

    \[ 	f(x)=\frac{x^2-5x+6}{\sqrt{2x-3}}. 	\]

Innanzitutto occorre determinare l’insieme di definizione {\rm Dom} (f) di f. A tal fine, affinché l’operazione data da f sia ben definita, occorre che l’argomento della radice quadrata sia non negativo e che inoltre il denominatore della frazione (cioè il risultato della radice, non sia nullo. Per determinare {\rm Dom}( f), occorre quindi risolvere il sistema di condizioni

(172)   \begin{equation*} 		\begin{cases} 			2x-3 \ge 0\\ 			\sqrt{2x-3}\neq 0.\\ 		\end{cases} 	\end{equation*}

Poiché il risultato di una radice quadrata è diverso da zero se e solo se il radicando è diverso da 0, il sistema si riduce alla disequazione

(173)   \begin{equation*} 		2x - 3 > 0, 	\end{equation*}

che, risolta, fornisce quindi

(174)   \begin{equation*} 		{\rm Dom} (f) 		= 		\left\{ x\in \mathbb{R}: x > \frac 32 \right\} 		= 		\left(\frac 32, +\infty\right) . 	\end{equation*}

Studiamo ora il segno di f. Occorre determinare

(175)   \begin{equation*} 		\{x \in {\rm Dom} (f )\colon f(x) \geq 0\} 		= 		\left\{ 		x \in {\rm Dom}( f )\colon \frac{x^2-5x+6}{\sqrt{2x-3}} \geq 0 		\right\} 	\end{equation*}

Siccome il denominatore è sempre positivo (per definizione di radice quadrata), il segno di f è lo stesso del numeratore:

(176)   \begin{equation*} 		f(x) > 0 		\iff 		x^2-5x+6 > 0 		\qquad 		\text{e} 		\qquad 		f(x) = 0 		\iff 		x^2-5x+6 = 0. 	\end{equation*}

Studiamo dunque la disequazione

    \[ 	x^2-5x+6\ge 0 \iff (x-3)(x-2)\ge 0 \iff 	x \le 2 \text{ oppure } x \ge 3. 	\]

Analogamente si ha

(177)   \begin{equation*} 		x^2-5x+6 = 0 \iff (x-3)(x-2) = 0 \iff 		x = 2 \text{ oppure } x = 3. 	\end{equation*}

Quindi si ha, in definitiva:

(178)   \begin{equation*} \begin{split} 		f(x)> 0 \qquad & \forall x\in (3/2, 2)\cup (3,+\infty),\\ 		f(x)<0 \qquad & \forall x\in (2, 3)\\ 		f(x)=0 \qquad & \forall x \in \{2,3\}. \end{split} 	\end{equation*}

Abbiamo riportato in figura 49 i risultati ottenuti: in grigio è rappresentata la parte di piano che il grafico di f non interseca, cioè i punti del piano le cui ascisse x non appartengono al dominio di f. In arancione abbiamo ombreggiato le regioni del piano che non intersecano \Gamma_ f per i risultati sul segno di f ottenuti in (178). Si notino inoltre i punti di coordinate (2,0),(3,0) appartenenti al grafico di f a causa dell’ultima equazione in (178); abbiamo inoltre riportato in blu il grafico di f, che conferma quindi le informazioni che abbiamo dedotto.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 49: il campo di esistenza e l’insieme di positività della funzione f dell’esempio 3.9.

    \[\quad\]

    \[\quad\]


Grafico di una funzione reale di variabile reale.

Utilizzare una tabella per rappresentare i valori di una funzione può restituire una prima idea di come è fatto il suo grafico, cf. (3). Le funzioni reali di variabile reale sono particolarmente facili da visualizzare, in quanto possiamo rappresentare il loro grafico in un piano cartesiano. Ricordiamo la seguente definizione, cf. 1.2.

    \[\quad\]

Definizione 3.10 (grafico di una funzione reale di variabile reale). Siano E,F\subseteq \mathbb{R}. Il grafico di una funzione f:E\to F, è l’insieme dei punti del piano dato da

    \[ 		\Gamma_f\coloneqq \{(x,y)\in E\times F\: : y=f(x)\}\subseteq \mathbb{R}^2. 		\]

    \[\quad\]

Vediamo ora alcuni esempi espliciti di funzione, e rappresentiamone il grafico.

Esempio 3.11 (funzione affine). Consideriamo l’espressione

    \[ 	f(x)=1+x. 	\]

L’insieme di definizione di f è E=\mathbb{R}, in quanto è sempre definita l’operazione di somma tra due numeri reali. Si ha

    \[f(x)>0 \iff 1+x >0 \iff x>-1.\]

Inoltre, f(x)=0 se e solo se x=-1. Vediamo con una tabella alcuni valori che restituisce f al variare di x.

    \[ 	\begin{tabular}{|l|c|r|} 		\hline 		$x$ & $f(x)= 1+x$ \\ 		\hline 		-3 & -2 \\ 		\hline 		-2 & -1 \\ 		\hline 		-1 & 0 \\ 		\hline 		0 & 1\\ 		\hline 		1 & 2 \\ 		\hline 		2 & 3 \\ 		\hline 		3 & 4 \\ 		\hline 	\end{tabular} 	\]

È chiaro che man mano che prendiamo valori sempre maggiori della x, la funzione restituisce valori sempre maggiori, in maniera “lineare”. Possiamo quindi ipotizzare che l’immagine della funzione è costituito dall’insieme \mathbb{R}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 50: grafico della funzione f:\mathbb{R} \to \mathbb{R},\;f(x)=1+x.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Esempio 3.12 (funzione quadratica). Consideriamo l’espressione

    \[ 	f(x)=x^2. 	\]

L’insieme di definizione di f è E=\mathbb{R}, in quanto è sempre definita l’operazione di prodotto tra due numeri reali. Si ha

    \[f(x)>0 \iff x^2 >0 \iff x\neq 0.\]

Inoltre, f(x)=0 se e solo se x=0. Vediamo con una tabella alcuni valori che restituisce f al variare di x.

    \[ 	\begin{tabular}{|l|c|r|} 		\hline 		$x$ & $f(x)= x^2$ \\ 		\hline 		-3 & 9 \\ 		\hline 		-2 & 4 \\ 		\hline 		-1 & 1 \\ 		\hline 		0 & 0\\ 		\hline 		1 & 1 \\ 		\hline 		2 & 4 \\ 		\hline 		3 & 9 \\ 		\hline 	\end{tabular} 	\]

Osserviamo che f(-x)=f(x) per ogni x \in \mathbb{R}, quindi per studiare la funzione basta considerare i valori di x non negativi, e “riflettere” le informazioni ottenute per x negativo.

È chiaro che man mano che prendiamo valori positivi sempre maggiori della x, la funzione restituisce valori positivi sempre maggiori, in maniera “quadratica”. Possiamo quindi ipotizzare che l’immagine della funzione è costituito dall’insieme \mathbb{R}_0^+ di tutti i numeri reali non negativi.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 51: grafico della funzione f:\mathbb{R} \to \mathbb{R},\;f(x)=x^2.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Esempio 3.13 (funzione reciproco). Consideriamo l’espressione

    \[ 	f(x)=\frac 1x. 	\]

L’insieme di definizione di f è E=\mathbb{R}\setminus \{0\}. Chiaramente,

    \[f(x)>0 \iff x>0\]

Inoltre, f(x)\neq 0 per ogni x\in E. Vediamo con una tabella alcuni valori che restituisce f al variare di x.

    \[ 	\begin{tabular}{|l|c|r|} 		\hline 		$x$ & $f(x)= 1/x$ \\ 		\hline 		-100 & -0,01 \\ 		\hline 		-50 & -0,02 \\ 		\hline 		-25 & -0,04\\ 		\hline 		-0,5 & -2 \\ 		\hline 		0,5 & 2 \\ 		\hline 		25 & 0,04 \\ 		\hline 		50 & 0,02 \\ 		\hline 		100 & 0,01 \\ 		\hline 	\end{tabular} 	\]

Man mano che prendiamo valori negativi della x sempre più vicini a zero, la funzione restituisce valori sempre più piccoli. Simmetricamente, prendendo valori positivi della x sempre più vicini a zero, f restituisce un valore sempre più grande. Analogamente, man mano che la variabile x> aumenta (risp. x<0 diminuisce), f(x) decresce e si avvicina a zero positivamente (risp. negativamente). Possiamo quindi ipotizzare che l’immagine è l’insieme \mathbb{R}\setminus \{0\}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 52: grafico della funzione f:\mathbb{R}\setminus \left\{ 0 \right\} \to \mathbb{R},\;f(x)=\dfrac 1x.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Esempio 3.14 (grafici in forma implicita). Se f \colon \mathbb{R} \to \mathbb{R} è una funzione, allora la relazione y=f(x) può essere scritta anche come un’equazione implicita del tipo

(179)   \begin{equation*} 		F(x,y)=0, 	\end{equation*}

dove si pone F(x,y)=y-f(x).

In particolare, questo mostra che il grafico di una funzione è una particolare curva piana9. Infatti, esempi di curve piane si ottengono come luogo di zeri di una funzione di due variabili, ovvero

(180)   \begin{equation*} 		\mathcal{C}=\{(x,y)\in \mathbb{R}^2 : F(x,y)=0\}. 	\end{equation*}

Notiamo che non è vero il viceversa, ovvero una generica curva, i.e. descritta da (180), non esprime sempre il grafico di una funzione. Si pensi ad esempio all’equazione

(181)   \begin{equation*} 		x^2+y^2=1. 	\end{equation*}

L’equazione di cui sopra descrive il luogo geometrico di tutti i punti che distano 1 dall’origine O. Ovvero, l’equazione (181) descrive una circonferenza data da

(182)   \begin{equation*} 		\mathcal{C}\coloneqq \{(x,y)\in \mathbb{R}^2:x^2+y^2-1=0 \}. 	\end{equation*}

Ma questa chiaramente non è il grafico di una funzione, poiché per ogni punto x_0\in (-1,1) corrispondono due soluzioni distinte, y_+, y_- dell’equazione x_0^2+y^2=1, cf. figura 53, e ciò contraddice la definizione di funzione. Infatti, abbiamo

(183)   \begin{equation*} 		x_0^2+y^2=1 \quad \iff \quad 	y=\pm \sqrt{1-x_0^2}. 	\end{equation*}

È possibile dunque esprimere la curva \mathcal{C} definita in (182), come l’unione di due grafici di funzione. Infatti, scegliendo il segno + o - in (183), si ottengono due funzioni f_+ \colon [-1,1] \to \mathbb{R} e f_- \colon [-1,1] \to \mathbb{R}, definite da

(184)   \begin{equation*} 		f_+(x)=+\sqrt{1-x^2}, 		\quad 		f_-(x)=-\sqrt{1-x^2} 		\qquad 		\forall x \in [-1,1]. 	\end{equation*}

Le funzioni f_+ e f_- sono ben definite in quanto il loro valore è univocamente determinato per ogni x \in [-1,1]; inoltre è facile verificare che \mathcal{C} = (\Gamma_{f_+}) \cup (\Gamma_{f_-}).

Un criterio visivo per determinare se una curva nel piano Oxy costituisce il grafico di una funzione è il seguente: se ogni retta parallela all’asse y interseca la curva in al più un punto, allora essa è il grafico di una funzione.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 53: luogo geometrico dei punti descritto dall’equazione x^2+y^2=1 (circonferenza unitaria). Esso non è il grafico di una funzione, in quanto un x_0 \in (-1,1) determina due diverse immagini y_{\pm}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]


  1. In matematica, una curva piana è una funzione \gamma: I \subseteq \mathbb{R} \to \mathbb{R}^2, mentre l’immagine \gamma(I)\subset \mathbb{R}^2 è detto sostegno della curva. spesso, però, si abusa di notazione, chiamando curva piana il sostegno di una curva.

Scaletta dello studio di funzione.

In questa breve sezione, vogliamo riassumere i passi necessari allo studio qualitativo del grafico di una funzione. Con il termine “studio di funzione”, come già detto, ci riferiamo alla rappresentazione approssimativa, ma più fedele possibile alla realtà, del grafico di una funzione. Lo scopo di uno studio di funzione è riportare in un grafico tutte le informazioni necessarie a descrivere le caratteristiche della funzione. Per ulteriori dettagli sulla scaletta, e approfondimenti, rimandiamo il lettore alla guida allo studio di funzione di Qui Si Risolve.

Data un’espressione analitica y=f(x), per rappresentare il grafico della funzione da essa determinata, cf. definizione 3.1, sono necessari i seguenti passi:

    \[\quad\]

  1. Determinazione dell’insieme di definizione (o dominio naturale) di f(x), cf. definizione 3.1;
  2.  

  3. Determinazione di eventuali simmetrie, cf. definizione 2.45, e periodicità, cf. Definizione 2.51;
  4.  

  5. Determinazione degli intervalli di positività e negatività, cf. definizione 3.6 e degli eventuali punti di intersezione tra il grafico della funzione e gli assi coordinati;
  6.  

  7. Determinazione di eventuali asintoti;
  8.  

  9. Determinazione degli intervalli di monotonia, cf. definizione 2.86 e degli eventuali punti stazionari della funzioni (e.g. massimi e minimi relativi);
  10.  

  11. Determinazione degli intervalli di convessità, e degli eventuali punti di flesso;
  12.  

  13. Rappresentazione del grafico della funzione.

 
 

Riferimenti bibliografici

[1] Apostol, T. M.; Calculus, Volume I: One-Variable Calculus, with an Introduction to Linear Algebra, John Wiley & Sons 1967.

[2] Bertsch, M., Dal Passo, R., Giacomelli, R.; Analisi matematica, 2ed, McGraw-Hill, 2011.

[3] Dedekind R., Essays on the Theory of Numbers: I. Continuity and Irrational Numbers, II. The Nature and Meaning of Numbers (translated by W.W. Beman), Chicago, Open Court Publishing, 1901.

[4] Giusti, E.; Analisi matematica 1, Programma di matematica fisica elettronica, Bollati Boringhieri 1992.

[5] Rudin, W.; Principles of mathematical analysis, International series in pure and applied mathematics, McGraw-Hill 1976.

 
 

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    5. Esercizi sul teorema di Weierstrass con l’uso delle derivate
    6. Studio di funzione completo nel calcolo differenziale
    7. Esercizi teorici nel calcolo differenziale
    8. Metodo di bisezione
    9. Metodo di Newton
  6. Teoremi del calcolo differenziale
    1. Teoria sui Teoremi del calcolo differenziale
    2. Teorema di Rolle
    3. Teorema di Lagrange
    4. Teorema di Cauchy
    5. Teorema di De L’Hôpital
  7. Calcolo integrale
    1. Integrale di Riemann
    2. Integrali immediati
    3. Integrale di funzione composta
    4. Integrali per sostituzione
    5. Integrali per parti
    6. Integrali di funzione razionale
    7. Calcolo delle aree
    8. Metodo dei rettangoli e dei trapezi
    9. Esercizi Misti Integrali Indefiniti
    10. Esercizi Misti Integrali Definiti
  8. Integrali impropri
    1. Teoria Integrali impropri
    2. Carattere di un integrale improprio
    3. Calcolo di un integrale improprio
  9. Espansione di Taylor
    1. Teoria Espansione di Taylor
    2. Limiti di funzione con Taylor
    3. Limiti di successione con Taylor
    4. Stime del resto
  10. Funzioni integrali (Approfondimento)
    1. Teoria Funzioni integrali (Approfondimento)
    2. Studio di funzione integrale
    3. Limiti con Taylor e De L’Hôpital
    4. Derivazione di integrali parametrici (Tecnica di Feynmann)
  11. Numeri Complessi
    1. Teoria Numeri complessi
    2. Espressioni con i numeri complessi
    3. Radice di un numero complesso
    4. Equazioni con i numeri complessi
    5. Disequazioni con i numeri complessi
    6. Esercizi misti Numeri complessi
  12. Serie numeriche
    1. Teoria Serie numeriche
    2. Esercizi Serie a termini positivi
    3. Esercizi Serie a termini di segno variabile
    4. Esercizi Serie geometriche e telescopiche
  13. Successioni di funzioni
    1. Teoria Successioni di funzioni
    2. Esercizi Successioni di funzioni
  14. Serie di funzioni
    1. Teoria Serie di funzioni
    2. Esercizi Serie di funzioni
  15. Serie di potenze
    1. Teoria Serie di potenze
    2. Esercizi Serie di potenze
  16. Serie di Fourier
    1. Teoria Serie di Fourier
    2. Esercizi Serie di Fourier
  17. Trasformata di Fourier
    1. Teoria Trasformata di Fourier
    2. Esercizi Trasformata di Fourier
  18. Funzioni di più variabili
    1. Teoria Funzioni di più variabili
    2. Massimi e minimi liberi e vincolati
    3. Limiti in due variabili
    4. Integrali doppi
    5. Integrali tripli
    6. Integrali di linea di prima specie
    7. Integrali di linea di seconda specie
    8. Forme differenziali e campi vettoriali
    9. Teorema di Gauss-Green
    10. Integrali di superficie
    11. Flusso di un campo vettoriale
    12. Teorema di Stokes
    13. Teorema della divergenza
    14. Campi solenoidali
    15. Teorema del Dini
  19. Equazioni differenziali lineari e non lineari
    1. Teoria equazioni differenziali lineari e non lineari
    2. Equazioni differenziali lineari e non lineari del primo ordine omogenee
  20. Equazioni differenziali lineari
    1. Del primo ordine non omogenee
    2. Di ordine superiore al primo,a coefficienti costanti,omogenee
    3. Di ordine superiore al primo,a coefficienti costanti,non omogenee
    4. Di Eulero,di Bernoulli,di Clairaut,di Lagrange e di Abel
    5. Non omogenee avente per omogenea associata un’equazione di Eulero
    6. Sistemi di EDO
  21. Equazioni differenziali non lineari
    1. A variabili separabiliO
    2. A secondo membro omogeneo
    3. Del tipo y’=y(ax+by+c)
    4. Del tipo y’=y(ax+by+c)/(a’x+b’y+c’)
    5. Equazioni differenziali esatte
    6. Mancanti delle variabili x e y
    7. Cenni sullo studio di un’assegnata equazione differenziale non lineare
    8. Di Riccati
    9. Cambi di variabile: simmetrie di Lie
  22. Analisi complessa
    1. Fondamenti
    2. Funzioni olomorfe
    3. Integrale di Cauchy e applicazioni
    4. Teorema della curva di Jordan e teorema fondamentale dell’Algebra
    5. Teorema di inversione di Lagrange
    6. Teorema dei Residui
    7. Funzioni meromorfe
    8. Prodotti infiniti e prodotti di Weierstrass
    9. Continuazione analitica e topologia
    10. Teoremi di rigidità di funzioni olomorfe
    11. Trasformata di Mellin
  23. Equazioni alle derivate parziali
    1. Equazioni del primo ordine
    2. Equazioni del secondo ordine lineari
    3. Equazioni non-lineari
    4. Sistemi di PDE
  24. Funzioni speciali
    1. Funzione Gamma di Eulero
    2. Funzioni Beta,Digamma,Trigamma
    3. Integrali ellittici
    4. Funzioni di Bessel
    5. Funzione zeta di Riemann e funzioni L di Dirichlet
    6. Funzione polilogaritmo
    7. Funzioni ipergeometriche
  25. Analisi funzionale
    1. Misura e integrale di Lebesgue
    2. Spazi Lp,teoremi di completezza e compattezza
    3. Spazi di Hilbert,serie e trasformata di Fourier
    4. Teoria e pratica dei polinomi ortogonali
    5. Spazi di Sobolev
  26. Complementi
    1. Curiosità e approfondimenti
    2. Compiti di analisi
    3. Esercizi avanzati analisi
  27. Funzioni Convesse

 
 

Tutti gli esercizi di geometria

In questa sezione vengono raccolti molti altri esercizi che coprono tutti gli argomenti di geometria proposti all’interno del sito con lo scopo di offrire al lettore la possibilità di approfondire e rinforzare le proprie competenze inerenti a tali argomenti.

Strutture algebriche.





 
 

Risorse didattiche aggiuntive per approfondire la matematica

Leggi...

  • Math Stack Exchange – Parte della rete Stack Exchange, questo sito è un forum di domande e risposte specificamente dedicato alla matematica. È una delle piattaforme più popolari per discutere e risolvere problemi matematici di vario livello, dall’elementare all’avanzato.
  • Art of Problem Solving (AoPS) – Questo sito è molto noto tra gli studenti di matematica di livello avanzato e i partecipanti a competizioni matematiche. Offre forum, corsi online, e risorse educative su una vasta gamma di argomenti.
  • MathOverflow – Questo sito è destinato a matematici professionisti e ricercatori. È una piattaforma per domande di ricerca avanzata in matematica. È strettamente legato a Math Stack Exchange ma è orientato a un pubblico con una formazione più avanzata.
  • PlanetMath – Una comunità collaborativa di matematici che crea e cura articoli enciclopedici e altre risorse di matematica. È simile a Wikipedia, ma focalizzata esclusivamente sulla matematica.
  • Wolfram MathWorld – Una delle risorse online più complete per la matematica. Contiene migliaia di articoli su argomenti di matematica, creati e curati da esperti. Sebbene non sia un forum, è una risorsa eccellente per la teoria matematica.
  • The Math Forum – Un sito storico che offre un’ampia gamma di risorse, inclusi forum di discussione, articoli e risorse educative. Sebbene alcune parti del sito siano state integrate con altri servizi, come NCTM, rimane una risorsa preziosa per la comunità educativa.
  • Stack Overflow (sezione matematica) – Sebbene Stack Overflow sia principalmente noto per la programmazione, ci sono anche discussioni rilevanti di matematica applicata, specialmente nel contesto della scienza dei dati, statistica, e algoritmi.
  • Reddit (r/Math) – Un subreddit popolare dove si possono trovare discussioni su una vasta gamma di argomenti matematici. È meno formale rispetto ai siti di domande e risposte come Math Stack Exchange, ma ha una comunità attiva e molte discussioni interessanti.
  • Brilliant.org – Offre corsi interattivi e problemi di matematica e scienza. È particolarmente utile per chi vuole allenare le proprie capacità di problem solving in matematica.
  • Khan Academy – Una risorsa educativa globale con lezioni video, esercizi interattivi e articoli su una vasta gamma di argomenti di matematica, dalla scuola elementare all’università.






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