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Teoria sulla gravitazione

Gravitazione in Meccanica classica

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Benvenuti nella nostra guida alla teoria sulla gravitazione!
In questo articolo presentiamo la teoria di base su questa importante interazione fisica dovuta alle masse dei corpi: trattiamo i principi di base, la famosa legge della gravitazione di Newton, l’energia potenziale gravitazionale e le loro conseguenze sul moto dei corpi. Il testo offre una visione completa sull’argomento, con definizioni e spiegazioni rigorose, oltre a esempi, esercizi e illustrazioni per chiarire i concetti.

Consigliamo le seguenti raccolte di esercizi su questo e altri temi della meccanica classica:

Buona lettura!

 
 

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Ottieni il documento di 58 pagine contenente la teoria sulla gravitazione per il corso di fisica 1.

 
 

Sommario

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In questo elaborato è presentata un’analisi dinamica e cinematica di oggetti che si muovono sotto l’influenza di una forza centrale. Si pone particolare attenzione alla forza di gravità, classificata come una forza centrale che agisce tra due corpi in base alla loro massa e alla loro distanza. L’analisi dettagliata della forza gravitazionale ci consente di applicare i risultati studiati a numerosi contesti astrofisici.

 

Autori e revisori


 
 

Notazioni

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Simbolo \wedge    Prodotto vettoriale;
Simbolo \cdot    Prodotto scalare;
Simbolo \nabla    Gradiente;
CM    Centro di massa;
\varepsilon    Eccentricità;
G    Costante di gravitazione universale;
m_S    Massa del Sole;
m_T    Massa della Terra;
M_L    Massa della Luna;
g    Accelerazione di gravità.


 
 

Introduzione

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La gravità è una delle quattro interazioni fondamentali del nostro Universo assieme alle interazioni elettromagnetica, debole e forte. Nonostante in senso assoluto la gravità sia la più debole delle interazioni fondamentali, gioca un ruolo di primo piano in tutti i processi astrofisici in cui le masse, o le densità, degli oggetti sotto studio sono tali da renderla un’interazione tutt’altro che trascurabile. Infatti, su tutte le scale di studio dell’astrofisica, dallo studio dei pianeti ai sistemi di ammassi di galassie, la dinamica è completamente dovuta all’interazione gravitazionale.

È stato Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 1642 – Londra, 1726), alla fine dei Principia, a descrivere la gravitazione come una causa che opera sul Sole e i pianeti “in accordo alla quantità di materia solida che contengono e propagandosi in ogni direzione per immense distanze, decrescendo sempre come l’inverso del quadrato della distanza” é [10].

Questo elaborato presenta gli aspetti fondamentali della teoria della gravitazione.

    \[\quad\]

  • Nella sezione 1 è introdotto il concetto di forza centrale e sono presentate le relative proprietà.
  •  

  • La sezione 2 è interamente dedicata alla trattazione della teoria della gravitazione. Dopo un breve richiamo alle conoscenze che si avevano prima di Newton sul moto dei pianeti, viene enunciata la legge di gravitazione universale e introdotto il concetto di campo gravitazionale.
  •  

  • Nella sezione 3 l’attenzione è rivolta allo studio di sistemi di punti materiali interagenti mediante la forza gravitazionale, in particolare all’analisi energetica e cinematica. Infine, viene presentata una dimostrazione del teorema di Gauss in ambito gravitazionale.
  •  

  • Nella sezione 4, i risultati ottenuti dallo studio della forza gravitazionale sono utilizzati per analizzare alcuni meccanismi astronomici che regolano la dinamica dei corpi celesti.

 

Forze centrali

Proprietà.

Sia Oxy un sistema di riferimento fisso con origine in O, e P un punto generico del piano xy, come rappresentato in figura 1.

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Figura 1: rappresentazione di un punto generico P nel piano xy.

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Si definisce forza centrale [8] una forza che soddisfa le seguenti proprietà:

    \[\quad\]

  • in ogni punto P del piano xy tale forza ha direzione passante per un punto fisso O, chiamato centro di forza;
  •  

  • il suo modulo dipende unicamente dalla distanza r=\left|\overrightarrow{OP}\right| dal centro stesso.

Una qualsiasi forza avente le proprietà elencate si può dunque scrivere come \vec{F}(r)=f(r)\,\hat{r}, dove \hat{r} è il versore che indica la direzione radiale e dove il modulo di \vec{F}(r) dipende dalla distanza r mediante la funzione f(r), con f(r)>0 (f(r)<0) se la forza è repulsiva (attrattiva).

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Figura 2: schematizzazione di una forza centrale attrattiva.

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Figura 3: schematizzazione di una forza centrale repulsiva.

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L’azione di una forza avente tali caratteristiche in una certa regione di spazio si può descrivere associando ad ogni punto un vettore, stabilendo un cosiddetto campo di forza.

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Figura 4: campo generato da una forza centrale attrattiva.

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Figura 4: campo generato da una forza centrale repulsiva.

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    \[\quad\]

Dimostriamo ora che in un campo di forze centrali il momento angolare \vec{L} è costante in modulo, direzione e verso. La rappresentazione del campo di forze centrali, nelle figure 4 e 5, ci suggerisce di introdurre un nuovo sistema di coordinate polari \{r,\theta\} alternative a quelle cartesiane definite dai versori \hat{x} e \hat{y} associati agli assi cartesiani. L’angolo \theta è preso in modo tale da crescere in senso antiorario e tale che sia nullo quando il punto materiale si trova sull’asse x. Introduciamo, quindi, i versori \hat{r} e \hat{\theta}: il primo punta nella direzione radiale, mentre il secondo punta, rispettando la regola della mano destra, nella direzione di crescita dell’angolo \theta. In tali coordinate, il generico raggio vettore \vec{r} ha solo componente radiale

(1)   \begin{equation*}     \vec{r} = r \ \hat{r}; \end{equation*}

è inoltre da sottolineare che, in generale, il versore \hat{\theta} non deve essere tangente alla curva che descrive la traiettoria del corpo. Pertanto, i versori \hat{r} e \hat{\theta} non sono fissi nel tempo ma evolvono con lo spostarsi del corpo lungo la traiettoria e, quindi, evolvono nel tempo.

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Figura 6: rappresentazione della velocità in coordinate polari.

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Con riferimento alla figura 6, possiamo rappresentare la velocità \vec{v} in coordinate polari scomponendola in due componenti:

(2)   \begin{equation*} \vec{v}=v_r\,\hat{r}+v_{\theta}\,\hat{\theta}, \end{equation*}

dove v_r, detta velocità radiale, è la componente velocità in direzione del raggio vettore e v_{\theta}, detta velocità trasversa, è la componente della velocità in direzione ortogonale al raggio vettore. Come già detto, i versori \hat{r} e \hat{\theta} non sono fissi, tuttavia indicano la direzione delle componenti della velocità istante per istante. Sia inoltre \hat{z}=\hat{r}\wedge\hat{\theta} il versore ortogonale al piano individuato da \vec{r} e \hat{\theta}.

Si ricordi che il momento angolare \vec{L}_O di una particella avente massa m rispetto ad un polo O è definito come

(3)   \begin{equation*} \vec{L}_O=\vec{r}\wedge\vec{p}=m\vec{r}\wedge\vec{v}, \end{equation*}

in cui \vec{p}=m\vec{v} è la quantità di moto della particella. Dunque, in un moto curvilineo di un corpo di massa m, il momento angolare rispetto a un polo O coincidente con il centro di forza diventa

(4)   \begin{equation*} \vec{L}_O=m\,r\,\hat{r}\wedge(v_r\,\hat{r}+v_{\theta}\,\hat{\theta})=m\,r\,v_{\theta}\,\hat{z} \end{equation*}

dove r\,\hat{r}\wedge v_r\,\hat{r}=\vec{0} per le proprietà del prodotto vettoriale. Per quanto riguarda l’espressione esplicita di v_{\theta} abbiamo che

    \[\begin{aligned} \vec{v} & = \dfrac{d\vec{r}}{dt} = \dfrac{d(r \, \hat{r})}{dt} = \dfrac{dr}{dt} \, \hat{r} + r \, \dfrac{d\hat{r}}{dt} =\\ \label{2} & = \dfrac{dr}{dt} \, \hat{r} + r \, \dfrac{d\theta}{dt} \, \hat{\theta}; \end{aligned}\]

da cui

(5)   \begin{equation*} \vec{L}_O=m\,r^2\,\dfrac{d\theta}{dt}\,\hat{z}. \end{equation*}

Notiamo che nel sistema in questione il momento angolare è calcolato rispetto a un polo O fisso nel sistema di riferimento inerziale xy. In questo caso, il teorema del momento angolare garantisce che il momento angolare L_O di un punto materiale in moto sul piano xy evolve nel tempo secondo la seguente equazione differenziale

(6)   \begin{equation*} \vec{M}_O=\dfrac{d\vec{L}_O}{dt}, \end{equation*}

in cui M_O è il momento torcente totale dovuto alle forze esterne che agiscono sul punto materiale calcolato rispetto allo stesso polo O. Tuttavia, il momento torcente \vec{M}_O rispetto a un polo fisso O è la somma dei momenti delle forze esterne \vec{F}_i^{(E)} applicate ad un punto materiale, calcolati rispetto allo stesso polo fisso O

(7)   \begin{equation*} \vec{M}_O=\vec{r}\wedge \sum_i\vec{F}_i^{(E)}, \end{equation*}

in cui r è il vettore posizione del punto materiale rispetto al polo O; segue che

(8)   \begin{equation*}     \dfrac{d\vec{L}_O}{dt}=\vec{r}\wedge \sum_i\vec{F}_i^{(E)}. \end{equation*}

Si consideri una regione di spazio in cui agisce la sola forza centrale \vec{F}(r); il momento di tale forza rispetto al centro è nullo, essendo \vec{r} e \vec{F}(r) due vettori paralleli:

(9)   \begin{equation*} \vec{M}_O=\vec{r}\wedge\vec{F}(r)=r\,F(r)\,\hat{r}\wedge\hat{r}=\vec{0}. \end{equation*}

Ne consegue che

(10)   \begin{equation*} \boxcolorato{fisica}{\dfrac{d\vec{L}_O}{dt}=\vec{0}\qquad\Rightarrow\qquad\vec{L}_O=\text{costante}.} \end{equation*}

La conseguenza fondamentale dell’equazione (10) è che il moto di un generico punto materiale P avviene in un piano fisso contenente1 \vec{r} e \vec{v}, essendo quest’ultimo per definizione ortogonale a \vec{L}_O. Ricordando l’equazione (5), deduciamo che, nonostante le grandezze r e \dfrac{d\theta}{dt} siano variabili nel tempo, si mantiene costante il prodotto r^2\,\dfrac{d\theta}{dt}.

Introduciamo ora la velocità areale \dfrac{dA}{dt}, ovvero una grandezza che esprime la rapidità con cui il raggio vettore \vec{r} del punto P spazza l’area della regione di spazio compresa tra il polo O e una porzione della traiettoria del punto materiale:

(11)   \begin{equation*} \dfrac{dA}{dt} = \dfrac{1}{2} \, r^2 \, \dfrac{d\theta}{dt}. \end{equation*}

La più importante conseguenza della conservazione del momento angolare è che la velocità areolare di un punto soggetto a un campo di forze centrali si mantiene anch’essa costante. Per dimostrare tale risultato si consideri la figura 7.

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Figura 7: rappresentazione dell’area spazzata dA dal vettore di modulo r congiungente O e P in un tempo dt.

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    \[\quad\]

L’area infinitesima dA spazzata dal raggio vettore \vec{r} in un tempo dt si può approssimare con l’area di un triangolo di base r\,d\theta e altezza r:

(12)   \begin{equation*} dA=\dfrac{1}{2}\,r^2\,d\theta. \end{equation*}

La velocità areolare dA/dt esprime il tasso di variazione dell’area spazzata da \vec{r} e, usando la (5), può essere riscritta come

(13)   \begin{equation*} \boxcolorato{fisica}{\dfrac{dA}{dt}=\dfrac{1}{2}\,r^2\,\dfrac{d\theta}{dt}=\dfrac{L_O}{2\,m}.} \end{equation*}

in cui L_O è il modulo del vettore momento angolare \vec{L}_O. Grazie all’equazione (13) è immediato constatare che la costanza della velocità areolare è una diretta conseguenza della conservazione del momento angolare.

Un’altra importante caratteristica delle forze centrali è che sono conservative, ovvero il lavoro da esse compiuto quando un punto materiale si sposta tra due punti A a B non dipende dal particolare percorso che congiunge tali punti.

Richiami teorici: forze conservative

Prima di proseguire con lo studio delle forze centrali, soffermiamoci su alcuni richiami riguardanti le forze conservative che ci saranno utili per mostrare che le forze centrali sono effettivamente conservative. Per approfondire le tematiche seguenti si consiglia di consultare [12].

Per prima cosa introduciamo intuitivamente il concetto di campo vettoriale con il quale le forze fisiche vengono modellizzate. Un campo vettoriale2 \vec{F} è una funzione a più variabili a valori vettoriali, ossia

(14)   \begin{equation*}     \vec{F}: \mathbb{R}^n \rightarrow \mathbb{R}^m  \end{equation*}

in cui n e m sono, rispettivamente, le dimensioni dello spazio di partenza e arrivo. In altri termini, un campo vettoriale è una funzione che associa a ogni punto di uno spazio euclideo n dimensionale un vettore dello spazio Euclideo m dimensionale. Pertanto una notazione comoda per indicare un campo vettoriale è \vec{F}(\vec{x})=(F_1(\vec{x}),F_2(\vec{x}),...,F_m(\vec{x})) in cui \vec{x}=(x_1,x_2,..,x_n). Noi ci focalizzeremo sui campo vettoriali in cui n,m \in \{1,2,3\} poiché in ambito fisico le forze sono formalizzate, matematicamente, come campi vettoriali. Una classe particolarmente rilevante di campi vettoriali sono i cosiddetti campi vettoriali conservativi che ci apprestiamo a definire e studiare brevemente. Per procedere, definiamo il lavoro di un campo vettoriale \vec{F}. Detta \gamma un generico cammino3 tramite il quale un punto materiale va da A a B, come mostrato in figura 8, la definizione di lavoro di un campo vettoriale è la seguente

(15)   \begin{equation*} W_{A\rightarrow B}=\int_{\gamma } \vec{F}(\vec{x})\cdot d\vec{s} \end{equation*}

in cui d\vec{s} è il vettore spostamento infinitesimo lungo il cammino \gamma.

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Figura 8: generico cammino congiungente due punti A e B.

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Un campo vettoriale \vec{F} si definisce conservativo se il suo lavoro non dipende dal cammino \gamma scelto per congiungere i punti A e B. In altri termini, con riferimento alla figura 9, se \gamma è un cammino che congiunge A e B, \gamma_1 è un secondo cammino che congiunge A e B, e \gamma_i è qualunque altro cammino che congiunge A e B e vale che

(16)   \begin{equation*}     \int_{\gamma} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s}=\int_{\gamma_1} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s}=\int_{\gamma_i} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s} \end{equation*}

allora il campo vettoriale \vec{F} è conservativo.

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Figura 9: vari cammini congiungenti A e B. Il cammino trattegiato \gamma_i indica un qualunque generico cammino congiungente A e B.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Guardando la prima uguaglianza in equazione (16) possiamo scrivere

(17)   \begin{equation*}     \int_{\gamma} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s}-\int_{\gamma_1} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s}=0; \end{equation*}

poichè il segno meno davanti al secondo integrale indica di cambiare il verso di percorrenza4, tale risultato esprime il fatto che il lavoro compiuto dal campo vettoriale \vec{F} per portare il punto materiale da A a B e poi indietro da B ad A è nullo. Inoltre, sempre da (16), questo ragionamento vale se applicato a qualunque coppia di cammini che congiungono A e B. Pertanto la definizione di campo vettoriale conservativo può essere riformulata richiedendo che il lavoro su ogni cammino chiuso5 \tilde{\gamma} sia nullo, in formule

(18)   \begin{equation*}     \oint_{\tilde{\gamma}}\vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s}=0. \end{equation*}

In generale, l’integrale di una campo vettoriale \vec{F} lungo un cammino chiuso viene chiamato circuitazione del campo \vec{F} e non ha ragione di essere nullo. Tuttavia, come già detto, se la circuitazione del campo \vec{F} è nulla allora il campo vettoriale \vec{F} è conservativo e vale anche il viceversa. È possibile, nell’ambito dell’analisi vettoriale [2], enunciare e dimostrare rigorosamente un teorema che stabilisce l’equivalenza tra le seguenti tre condizioni

    \[\quad\]

  1. \vec{F} è un campo vettoriale conservativo;
  2. dati due qualunque cammini \gamma_1 e \gamma_2 che congiungono gli stessi punti A e B si ha

    (19)   \begin{equation*}     \int_{\gamma_1} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s}=\int_{\gamma_2} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s};      \end{equation*}

  3. dato un qualunque cammino chiuso \tilde{\gamma} si ha

    (20)   \begin{equation*}     \oint_{\tilde{\gamma}} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s}=0.      \end{equation*}

Il prossimo passo è trasformare le condizioni integrali sul campo vettoriale \vec{F} (le condizioni 2 e 3) in condizioni differenziali, ossia in condizioni che hanno a che fare con il concetto di derivata e non con quello di integrale. Per prima cosa argomentiamo come per un campo conservativo \vec{F} esiste una funzione scalare U tale che

(21)   \begin{equation*}     \vec{F}=-\vec{\nabla}U \end{equation*}

in cui \vec{\nabla} è chiamato operatore nabla ed è il vettore delle derivate parziali6; in tre dimensioni e in coordinate cartesiane assume la forma \vec{\nabla}=\left(\dfrac{\partial}{\partial x}, \dfrac{\partial}{\partial y}, \dfrac{\partial}{\partial z} \right). L’argomento per arrivare al risultato espresso dalla relazione (21) è il seguente. Poichè il lavoro lungo un cammino che congiunge il punto A al punto B del campo vettoriale \vec{F} dipende solo dai punti A e B segue che deve esistere una funzione scalare7 U tale che

(22)   \begin{equation*}     \int_{\gamma} \vec{F}(\vec{x}) \cdot d\vec{s}=U(A)-U(B).      \end{equation*}

La funzione scalare U è detta potenziale del campo vettoriale \vec{F} e il teorema del gradiente8 ci assicura che deve valere la relazione (21) in cui U è continua e derivabile. Da notare che la relazione (21) in cui U è continua e derivabile, può essere presa come definizione di campo vettoriale conservativo e dimostrare a posteriori l’indipendenza del lavoro del campo vettoriale dal particolare cammino scelto per congiungere i punti A e B. Per amore della completezza vale la pena citare che una condizione necessaria affinché un campo vettoriale \vec{F} sia conservativo è che

(23)   \begin{equation*} \left({\frac {\partial F_{3}}{\partial y}}-{\frac {\partial F_{2}}{\partial z}}, {\frac {\partial F_{1}}{\partial z}}-{\frac {\partial F_{3}}{\partial x}}, {\frac {\partial F_{2}}{\partial x}}-{\frac {\partial F_{1}}{\partial y}}\right)=\vec{0}. \end{equation*}

Tale condizione è detta di irrotazionalità e spesso, ma non sempre, è una condizione anche sufficiente per la conservatività del campo9.

Tornando al caso delle forze centrali, indichiamo con \gamma una generica traiettoria tramite la quale un punto materiale va da A a B. Per definizione di lavoro, possiamo esprimere il lavoro della generica forza centrale come segue

(24)   \begin{equation*} W_{A\rightarrow B}=\int_{\gamma } \vec{F}(r)\cdot d\vec{s}. \end{equation*}

Esprimendo il vettore spostamento infinitesimo d\vec{s} appartenente alla curva \gamma in coordinate polari

(25)   \begin{equation*} d\vec{s}=dr\,\hat{r}+r\,d\theta\,\hat{\theta}, \end{equation*}

dove dr e rd\theta sono le componenti dello spostamento infinitesimo rispettivamente lungo \hat{r} e \hat{\theta}, si ha

(26)   \begin{equation*} W_{A\rightarrow B}=\int_\gamma F(r)\,\hat{r}\cdot (dr\,\hat{r}+r\,d\theta\,\hat{\theta}), \end{equation*}

da cui, sfruttando il fatto che \hat{r}\cdot\hat{\theta}=0 e \hat{r}\cdot\hat{r}=1, si ottiene

(27)   \begin{equation*} W_{A\rightarrow B}=\int_\gamma F(r)\,dr. \end{equation*}

Dunque, il lavoro compiuto dalla forza F dipende solo dalle distanze di partenza e di arrivo del punto di applicazione, pertanto la forza è conservativa. Quindi, supponendo che F(r) sia Riemann-integrabile, il lavoro compiuto su una particella che si sposta da una posizione iniziale r_0 a una finale r è determinato dalla variazione di una funzione della sola coordinata radiale che si chiama energia potenziale e che indicheremo con U(r):

(28)   \begin{equation*} U(r)=-\int_{r_0}^{r}F(r)\,dr+\text{costante}. \end{equation*}

Scegliamo r_0=\infty come punto di riferimento a cui attribuiamo per convenzione U(r=r_0)=0. A titolo esemplificativo, consideriamo un particolare campo di forze che è in modulo inversamente proporzionale al quadrato della distanza

(29)   \begin{equation*} \vec{F}(r)=-\dfrac{k}{r^2}\,\hat{r}, \end{equation*}

con k costante. Una simile legge descrive generalmente una forza generata in una regione di spazio da una sorgente puntiforme, come ad esempio la forza di attrazione tra due corpi dotati di massa e la forza di attrazione/repulsione fra due particelle elettricamente cariche. Tuttavia, non tutte le forze centrali osservabili in natura obbediscono a tale legge: per esempio, la forza elastica è una forza centrale, ma segue un andamento diverso, dettato dalla legge di Hooke. Semplici calcoli mostrano che la corrispondente energia potenziale è

(30)   \begin{equation*} U(r)=-\int_{r_0}^{r}-\dfrac{k}{r'^2}\,dr'=-\dfrac{k}{r}+\dfrac{k}{r_0}. \end{equation*}

Imponendo che r_0=\infty si trova:

(31)   \begin{equation*} U(r)=-\dfrac{k}{r}, \end{equation*}

dove

(32)   \begin{equation*} r=\sqrt{x^2+y^2+z^2}. \end{equation*}

Per calcolare \vec{F} in funzione delle variabili x, y e z, ricordiamo la definizione di forza conservativa in termini della sua energia potenziale:

(33)   \begin{equation*} \vec{F}=-\vec{\nabla}U, \end{equation*}

dove l’operatore \nabla indica il gradiente. Esplicitamente

(34)   \begin{equation*} \vec{F}(x,y,z)=-\left(\dfrac{\partial U}{\partial x}\,\hat{x}+\dfrac{\partial U}{\partial y}\,\hat{y}+\dfrac{\partial U}{\partial z}\,\hat{z}\right) \end{equation*}

da cui le componenti cartesiane della forza si possono ricavare nel modo seguente:

(35)   \begin{equation*} \begin{cases} F_x=-\dfrac{\partial U}{\partial x}=\dfrac{\partial}{\partial x}\left(\dfrac{k}{\sqrt{x^2+y^2+z^2}}\right)=-\dfrac{k\,x}{(x^2+y^2+z^2)^{3/2}} \\[10pt] F_y=-\dfrac{\partial U}{\partial y}=\dfrac{\partial}{\partial y}\left(\dfrac{k}{\sqrt{x^2+y^2+z^2}}\right)=-\dfrac{k\,y}{(x^2+y^2+z^2)^{3/2}}\\[10pt] F_z=-\dfrac{\partial U}{\partial z}=\dfrac{\partial}{\partial z}\left(\dfrac{k}{\sqrt{x^2+y^2+z^2}}\right)=-\dfrac{k\,z}{(x^2+y^2+z^2)^{3/2}}.\\ \end{cases} \end{equation*}

Si conclude che

(36)   \begin{equation*} \vec{F}=-\dfrac{k}{(x^2+y^2+z^2)^{3/2}}(x\,\hat{x}+y\,\hat{y}+z\,\hat{z})=-\dfrac{k}{r^3}\,\vec{r}. \end{equation*}

Nelle prossime sezioni ci concentreremo su un fondamentale esempio di forza centrale: la forza espressa dalla legge di gravitazione universale.

Riassumendo, un punto materiale sotto l’influenza di un campo di forze centrali

    \[\quad\]

  1. ha un momento angolare costante;
  2.  

  3. ha una traiettoria che giace in un piano fisso ortogonale al momento angolare individuato dalle condizioni iniziali \vec{r}(t_0) e \vec{v}(t_0);
  4.  

  5. si muove con una velocità areolare costante.

    \[\quad\]

Esercizio 1.1  (\bigstar\bigstar\largewhitestar\largewhitestar\largewhitestar). Le coordinate polari di un punto che si muove in un piano variano nel tempo secondo la legge r(t)=r_0 \exp{\left(-\dfrac{\omega t}{2\pi}\right)}, \theta(t) = \omega t con r_0,\omega \in \mathbb{R}. Calcolare la velocità del punto nell’istante t=0 e dire se il moto avviene sotto l’azione di una forza centrale.

    \[\quad\]

Svolgimento. Scegliamo un sistema di riferimento fisso Oxy che descrive il moto del punto in coordinate polari (vedi figura 10):

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 10: moto di un punto in coordinate polari.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Si ricorda che data la parametrizzazione \vec{r}(t)= x(t) \, \hat{x} + y(t) \, \hat{y} del percorso \gamma fatta dal punto materiale nel piano cartesiano, si definisce velocità vettoriale il limite del rapporto incrementale di \vec{r}:

(37)   \begin{equation*} \lim_{h \to 0} \dfrac{\vec{r}(t+h)-\vec{r}(t)}{h} = \vec{v}(t) = \dfrac{d\vec{r}}{dt}(t). \end{equation*}

Scriviamo \vec{v} in coordinate polari introducendo i versori \hat{r} ed \hat{\theta} e da (37) abbiamo

(38)   \begin{equation*} \vec{v} & = \dfrac{d\vec{r}}{dt} = \dfrac{d(r \, \hat{r})}{dt} = \dfrac{dr}{dt} \, \hat{r} + r \, \dfrac{d\hat{r}}{dt}  & = \dfrac{dr}{dt} \, \hat{r} + r \, \dfrac{d\theta}{dt} \, \hat{\theta} \end{equation*}

Per ipotesi sappiamo che

(39)   \begin{equation*} r(t)=r_0 e^{-\frac{\omega t}{2\pi}}, \,\,\theta(t) = \omega t \end{equation*}

quindi confrontando (39) con (38), si ottiene:

    \[\vec{v} = \underbrace{r_0 \left(-\dfrac{\omega}{2\pi}\right) \; e^{-\frac{\omega t}{2\pi}} \; \hat{r}}_{\vec{v}_r \; \text{velocità radiale}} + \underbrace{r_0 \; e^{-\frac{\omega t}{2\pi}} \; \omega \; \hat{\theta}}_{\vec{v}_\theta \; \text{velocità trasversa}}.\]

Valutiamo la velocità all’istante t=0, ottenendo:

    \[\boxcolorato{fisica}{\vec{v}(0) = - \dfrac{\omega \; r_0}{2\pi} \; \hat{r} + r_0 \, \omega \, \hat{\theta}.}\]

Si ricorda che in un campo di forze centrali il momento angolare rispetto al centro della forza rimane costante nel tempo ovvero si conserva. Nel nostro sistema di riferimento prendiamo come polo della forza O.

Deriviamo (38) rispetto al tempo:

(40)   \begin{equation*} \begin{split} \dfrac{d\vec{v}}{dt} & = \dfrac{d^2r}{dt^2} \, \hat{r} + \dfrac{dr}{dt} \; \dfrac{d\theta}{dt} \; \hat{\theta} + \dfrac{dr}{dt} \; \dfrac{d\theta}{dt} \; \hat{\theta} + r \; \dfrac{d^2\theta}{dt^2} \hat{\theta} - r \; \dfrac{d\theta}{dt} \; \dfrac{d\theta}{dt} \hat{r} =\\[5pt] & = \hat{r} \left(\dfrac{d^2r}{dt^2}- r \left(\dfrac{d\theta}{dt}\right)^2\right) + \hat{\theta} \left(2 \; \dfrac{dr}{dt} \; \dfrac{d\theta}{dt} + r \; \dfrac{d^2\theta}{dt^2}\right) =\\[5pt] & = \hat{r} \left(\dfrac{d^2r}{dt^2}-r \left(\dfrac{d\theta}{dt}\right)^2\right) + \hat{\theta} \; \dfrac{1}{r} \; \left(\dfrac{d\left(r^2 \frac{d\theta}{dt}\right)}{dt}\right) \end{split} \end{equation*}

Sostituendo (39) in (40) otteniamo

    \[\begin{aligned} \dfrac{d\vec{v}}{dt} & = \hat{r} \left(r_0 \; e^{-\frac{\omega t}{2\pi}} \left( \left(-\dfrac{\omega}{2\pi}\right)^2 - \omega^2  \right) \right) + \hat{\theta} \left(2 r_0 \left(- \dfrac{\omega}{2\pi}\right)\; e^{-\frac{\omega t}{2\pi}} \; \omega \right) = \\[5pt] & = \hat{r} \left(\dfrac{r_0 \omega^2 (1-4\pi^2)}{4\pi^2} e^{-\frac{\omega t}{2\pi}} \right) + \hat{\theta} \left(- \dfrac{\omega^2 r_0}{\pi} \; e^{-\frac{\omega t}{2\pi}}\right) \end{aligned}\]

Si ricordi il teorema del momento angolare per un punto materiale

    \[\dfrac{{}d\vec{L}_{O}}{dt} = {\vec{M}_{O}}^{\text{\tiny ext}}.\]

Prendendo come polo il centro della forza e supponendo che sia fisso, abbiamo

    \[\begin{aligned} \dfrac{{}d\vec{L}_{O}}{dt} & ={\vec{M}_{O}}^{\text{\tiny ext}} = \\ & = \vec{r} \wedge \vec{F} = \\ & = \vec{r} \wedge m \; \dfrac{d\vec{v}}{dt} =\\ & =m r\,\left(-\dfrac{\omega^2 r_0}{\pi} \; e^{-\frac{\omega t}{2\pi}} \right)\, \hat{r} \wedge \hat{\theta}  = \\ & =m \left(r_0 e^{-\frac{\omega t}{2\pi}}\right)\left(-\dfrac{\omega^2 r_0}{\pi} \; e^{-\frac{\omega t}{2\pi}} \right)\, \hat{r} \wedge \hat{\theta}  = \\ & = -m \dfrac{\omega^2}{\pi} r_0^2 \;  e^{-\frac{\omega t}{2\pi}} \hat{z} \neq 0, \end{aligned}\]

dove \hat{z} è il versore nella direzione dell’asse delle z. Si conclude che \vec{L} non si conserva quindi il moto non avviene sotto una forza centrale.    


  1. Nel caso limite in cui \vec{r} è parallelo a \vec{v} il moto avviene lungo una retta passante per O.
  2.  

    1. Andrebbe specificato su uno spazio Euclideo ma poiché lavoreremo solo su spazi Euclidei omettiamo quasta specificazione.
    2.  

      1. Tale cammino deve soddisfare alcune richieste di regolarità, ossia essere liscia a tratti. Intuitivamente questo vuol dire che la curva presenta solo una quantità numerabile di punti in cui forma spigoli.
      2.  

        1. Questo è analogo al segno meno davanti agli integrali su segmenti rettilinei che indica di scambiare gli estremi di integrazione.
        2.  

          1. Ossia che parte e arriva nello stesso punto.
          2.  

            1. Intuitivamente, la derivata parziale di f rispetto alla variabile k è la derivata ordinaria rispetto alla variabile k da cui f dipende mantenendo costanti tutte le altre variabili da cui f dipende.
            2.  

              1. Scalare perché l’integrale restituisce una quantità scalare.
              2.  

                1. Il teorema del gradiente è la generalizzazione agli integrali performati su linee curve del teorema fondamentale del calcolo per gli integrali su segmenti rettilinei. Il lettore interessato può dare uno sguardo al riferimento bibliografico [2].
                2.  

                  1. Senza entrare nei dettagli, la condizione di irrotazionalità implica la condizione di conservatività solo se lo spazio in questione non ha buchi. Per saperne di più si conculti, ad esempio, [11]

Formula di Binet.

Possiamo utilizzare i risultati riguardo la conservazione del momento angolare per ricavare una relazione che trova applicazione nello studio della dinamica in un campo gravitazionale, la formula di Binet.

    \[\quad\]

Equazione di Binet. Sia un punto materiale di massa m soggetto ad una forza centrale di modulo F(r), con r distanza tra il punto materiale e il centro O. Allora è possibile esprimere la sua accelerazione \vec{a} in funzione della sola distanza r, cioè:

(41)   \begin{equation*} 	\vec{a}=-\dfrac{L^2}{m^2r^2}\,\left[\dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right)+\dfrac{1}{r}\right]\,\hat{r}. 			\end{equation*}

dove L è il momento angolare e \hat{r} è il versore introdotto per indicare la direzione radiale.

    \[\quad\]

Dimostrazione. Un corpo soggetto ad una forza centrale ha modulo del momento angolare L costante. L’espressione che descrive il momento angolare si ricava dalla equazione (5) ed è

(42)   \begin{equation*} 			L=mr^2\,\dfrac{d\theta}{dt}. 			\end{equation*}

Consideriamo l’accelerazione del punto materiale m in coordinate polari, ricavata nell’esercizio 1.1 (equazione (40)):

(43)   \begin{equation*} 			\vec{a}=\left(\dfrac{d^2r}{dt^2}-r\,\left(\dfrac{d\theta}{dt}\right)^2 \right)\,\hat{r}+\left(\dfrac{1}{r}\,\dfrac{d}{dt}\,\left(r^2\,\dfrac{d\theta}{dt}\right)\right)\,\hat{\theta} 			\end{equation*}

in cui \hat{\theta} è il versore introdotto per indicare la direzione perpendicolare ad \hat{r}, in altri termini \hat{\theta} è il versore trasverso. Si osservi che i versori \hat{r} e \hat{\theta} cambiano direzione durante il moto del punto materiale di massa m istante per istante. Poiché

(44)   \begin{equation*} 			r^2\,\dfrac{d\theta}{dt}=\text{costante} 			\end{equation*}

derivando rispetto al tempo t si ha

(45)   \begin{equation*} 			\dfrac{d}{dt}\left(r^2\,\dfrac{d\theta}{dt}\right)=\dfrac{d}{dt}(\text{costante})=0, 			\end{equation*}

da cui

(46)   \begin{equation*} 			\vec{a}=\left(\dfrac{d^2r}{dt^2}-r\,\left(\dfrac{d\theta}{dt}\right)^2 \right)\,\hat{r}. 			\end{equation*}

Quindi l’accelerazione ha solo la componente radiale non nulla. Ora, dobbiamo cercare di esprimere l’accelerazione solo in funzione della variabile r. Per fare ciò, ci avvaliamo della nota formula della catena o formula di Faà di Bruno10 , cioè

(47)   \begin{equation*} \dfrac{d^2r}{dt^2}=\dfrac{d^2r}{d\theta^2}\,\left(\dfrac{d\theta}{dt}\right)^2+\dfrac{dr}{d\theta}\,\dfrac{d^2\theta}{dt^2}=\dfrac{L^2}{m^2r^4}\,\dfrac{d^2r}{d\theta^2}+\dfrac{dr}{d\theta}\,\dfrac{d^2\theta}{dt^2}, \end{equation*}

in cui abbiamo usato la relazione (42) per sostituire \dfrac{d\theta}{dt} con \dfrac{L}{mr^2}. Sfruttando la medesima relazione (42) derivata rispetto al tempo t, si ha

(48)   \begin{equation*} \dfrac{d^2\theta}{dt^2}=\dfrac{L}{m}\dfrac{d}{dt}\left(\dfrac{1}{r^2}\right) \end{equation*}

che può essere riscritta come

(49)   \begin{equation*}     \dfrac{d^2\theta}{dt^2}=\dfrac{L}{m}\dfrac{d\theta}{dt}\dfrac{d}{d\theta}\left(\dfrac{1}{r^2}\right)=\frac{L^2}{m^2r^2}\dfrac{d}{d\theta}\left(\dfrac{1}{r^2}\right)\,; \end{equation*}

in cui si è usata la regola della catena per la derivata prima \dfrac{d}{dt}\left(\dfrac{1}{r^2}\right) nel primo passaggio e la relazione (42) nel secondo passaggio. Sostituendo in equazione (47) si ottiene

(50)   \begin{equation*} \dfrac{d^2r}{dt^2}=\dfrac{L^2}{m^2r^4}\dfrac{d^2r}{d\theta^2}+\frac{L^2}{m^2r^2}\dfrac{dr}{d\theta}\dfrac{d}{d\theta}\left(\dfrac{1}{r^2}\right)=\frac{L^2}{m^2r^2}\left[\dfrac{1}{r^2}\dfrac{d^2r}{d\theta^2}+\dfrac{dr}{d\theta}\dfrac{d}{d\theta}\left(\dfrac{1}{r^2}\right)\right]. \end{equation*}

Notiamo che il termine tra parentesi quadre si può riscrivere come

(51)   \begin{equation*} \dfrac{1}{r^2}\dfrac{d^2r}{d\theta^2}+\dfrac{dr}{d\theta}\dfrac{d}{d\theta}\left(\dfrac{1}{r^2}\right)=\dfrac{d}{d\theta}\left(\dfrac{dr}{d\theta}\dfrac{1}{r^2}\right)=\dfrac{d}{d\theta}\left(-\dfrac{d}{d\theta}\left(\dfrac{1}{r}\right)\right)=-\dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right), \end{equation*}

per cui

(52)   \begin{equation*} \dfrac{d^2r}{dt^2}=\dfrac{L^2}{m^2r^2}\left(-\dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right)\right)=-\dfrac{L^2}{m^2r^2}\dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right). \end{equation*}

Sfruttando la (52) allora la (46) diventa

(53)   \begin{equation*} \vec{a}=\left(\dfrac{d^2r}{dt^2}-r\dfrac{L^2}{m^2r^4}\right)\hat{r}=-\left(\dfrac{L^2}{m^2r^2}\dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right)+r\dfrac{L^2}{m^2r^4}\right)\hat{r}=-\dfrac{L^2}{m^2r^2}\left(\dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right)+\dfrac{1}{r}\right)\hat{r}, \end{equation*}

che è esattamente quello che volevamo ottenere. Utilizzando l’ultima equazione, l’accelerazione diventa

    \[\boxcolorato{fisica}{\vec{a}=-\dfrac{L^2}{m^2r^2}\,\left[\dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right)+\dfrac{1}{r}\right]\,\hat{r}.}\]

Questa espressione è detta formula di Binet.    


  1. La regola della catena permette di derivare una funzione composta di due funzioni derivabili.

    Regola della catena per la derivata prima e seconda: Siano f e g di classe \mathcal{C}^2, allora

    (54)   \begin{equation*} \dfrac{df}{dx}=\dfrac{df}{dg}\cdot \dfrac{dg}{dx};\,\,\,\dfrac{d^2f}{dx^2}=\dfrac{d^2f}{dg^2}\,\left(\dfrac{dg}{dx}\right)^2+\dfrac{df}{dg}\cdot\dfrac{d^2g}{dx^2}. \end{equation*}

    Tale regola si generalizza con derivate di qualsiasi ordine per funzioni derivabili almeno fino a tale ordine con la nota formula di Faà di Bruno.


 

Gravitazione

Le leggi di Keplero.

In questo elaborato è presentata un’analisi dinamica e cinematica di oggetti che si muovono sotto l’influenza di una forza centrale. Si pone particolare attenzione alla forza di gravità, classificata come una forza centrale che agisce tra due corpi in base alla loro massa e alla loro distanza. L’analisi dettagliata della forza gravitazionale ci consente di applicare i risultati studiati a numerosi contesti astrofisici. Fin dai tempi antichi grande attenzione era conferita alle osservazioni astronomiche che, sebbene non fossero effettuate per rispondere a domande teoriche, soddisfacevano esigenze pratiche come ricavare un calendario utile all’agricoltura. I Greci furono i primi a porsi il problema di quale schema teorico soggiacesse al bagaglio di osservazioni prodotte fino ad allora. A partire da esse, l’astronomo Tolomeo (Pelusio, 100 circa – Alessandria d’Egitto, 168 circa)11 dedusse un modello per il Sistema Solare12, che presentò nell’Almagesto13 e rimase di riferimento per i secoli successivi. Tale modello, detto sistema geocentrico (dal greco ghè, “terra”, e k’entron, “centro”, vuol dire “con centro nella Terra”), afferma che: il moto di stelle e pianeti rispetto alla Terra è descrivibile come una composizione di moti circolari uniformi, detti epicicli e deferenti14 Un modello più semplice per il Sistema Solare fu proposto da Niccolò Copernico15 (Torun, 1473 – Frombork, 1543) nel 1510. Il sistema copernicano, o eliocentrico (dal greco h’elios, “sole”, e k’entron, “centro”, vuol dire “con centro nel Sole”), assumeva che: la Terra e gli altri pianeti ruotano intorno al Sole; la Terra compie anche una rotazione attorno al proprio asse ogni 24 ore. Lo stesso Copernico ebbe la possibilità di confrontare le predizioni del suo modello con alcune osservazioni astronomiche compiute da Tycho Brahe (Knutstorp, 1546– Praga, 1601). Tali osservazioni erano state eseguite con precisione sufficiente da mostrare che diverse quantità calcolate secondo il modello di Copernico non erano in accordo con le osservazioni astronomiche. Per chiarire queste discrepanze, Kepler16 (Weil der Stadt, 1571 – Ratisbona, 1630) perfezionò il modello eliocentrico rinunciando all’idea che le orbite dei pianeti dovessero essere circolari. Egli formulò, nel 1600, le sue tre leggi.

    \[\quad\]

  1. Prima legge di Keplero: l’orbita descritta da un pianeta è un’ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.17
  2.  

  3. Seconda legge di Keplero: il raggio vettore che unisce il centro del Sole con il centro del pianeta spazza aree uguali in tempi uguali. In altri termini, la velocità areolare di tale raggio vettore è costante.
  4.  

  5. Terza legge di Keplero: il quadrato del periodo di rivoluzione18 di un pianeta T^2 è proporzionale al cubo del semiasse maggiore a dell’orbita, ovvero

    (55)   \begin{equation*} T^2=k\,a^3. \end{equation*}

I valori della costante di proporzionalità k sono riportati nella seguente tabella.

    \[\quad\]

Pianeta Massa (kg) Raggio (m) Periodo (s) Eccentricità Semiasse magg. (m) T²/a³ (s²·m⁻³)
Mercurio 0,42·10²⁴ 2,45·10⁶ 0,76·10⁷ 0,206 5,79·10¹⁰ 2,98·10⁻¹⁹
Venere 4,88·10²⁴ 6,06·10⁶ 1,94·10⁷ 0,007 1,08·10¹¹ 2,99·10⁻¹⁹
Terra 5,98·10²⁴ 6,37·10⁶ 3,16·10⁷ 0,017 1,50·10¹¹ 2,96·10⁻¹⁹
Marte 0,64·10²⁴ 3,37·10⁶ 5,94·10⁷ 0,093 2,28·10¹¹ 2,98·10⁻¹⁹
Giove 19,00·10²⁶ 6,99·10⁷ 3,74·10⁸ 0,048 7,78·10¹¹ 2,97·10⁻¹⁹
Saturno 5,68·10²⁶ 5,85·10⁷ 9,35·10⁸ 0,056 1,43·10¹² 2,99·10⁻¹⁹
Urano 0,87·10²⁶ 2,33·10⁷ 2,65·10⁹ 0,046 2,87·10¹² 2,97·10⁻¹⁹
Nettuno 1,03·10²⁶ 2,21·10⁷ 5,22·10⁹ 0,009 4,50·10¹² 2,99·10⁻¹⁹
Plutone 1,08·10²⁴ 1,19·10⁶ 7,82·10⁹ 0,250 5,92·10¹² 2,95·10⁻¹⁹
Luna 7,35·10²² 1,74·10⁶ 2,36·10⁶ 0,055 3,84·10⁸ 9,84·10⁻¹⁴

Tabella 1: valori della costante k per i pianeti del sistema solare. Per la Luna tutte le grandezze si riferiscono all’orbita intorno alla Terra.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Le tre leggi furono dedotte sperimentalmente, senza alcuna ipotesi teorica, e descrivono la cinematica del moto dei pianeti. Newton completò tale opera chiedendosi quale forza esercita il Sole sui pianeti per farli muovere in accordo con le leggi di Keplero. Questa domanda, come vedremo nel paragrafo successivo, condusse Newton a formulare la legge di gravitazione universale.

   


  1. Claudio Tolomeo, o Tolomeo, è stato un astronomo, matematico, astrologo e geografo greco. Egli scrisse una dozzina di trattati scientifici, alcuni dei quali furono di grande importanza per la scienza Occidentale. Della carriera di Tolomeo sappiamo ben poco. L’unico luogo da lui citato per le sue osservazioni è Alessandria, per cui è probabile che egli abbia trascorso la sua vita adulta in quest’importante centro della civiltà ellenistica [6].
  2.  

    1. Il Sistema Solare è un sistema gravitazionalmente legato composto dal Sole (una stella media nella Via Lattea, la nostra galassia) e da tutti i corpi celesti che orbitano intorno alla stella per effetto della sua forza gravitazionale. Ne fanno parte 8 pianeti con i relativi satelliti (lune), innumerevoli asteroidi, comete e vaste distese di gas e polveri.
    2.  

      1. L’Almagesto è la grande opera di sintesi composta da Tolomeo. Il titolo originario è Megale (mathematike) syntaxis, o Grande compilazione matematica. Essa venne resa nota dai traduttori arabi con il superlativo al-magisti(massimi), che nel latino medioevale divenne Almagestum. L’opera, tramite modelli geometrici e osservazioni riportate in tavole forniva un modo per calcolare i moti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti minori per un futuro indefinito. Inoltre conteneva un catalogo di più di un migliaio di stelle, dove erano riportate longitudine, latitudine e luminosità apparente di ognuna [6].
      2.  

        1. La nozione di epiciclo viene introdotta per riprodurre le irregolarità evidenti nel moto dei pianeti: cambiano velocità, arrestano il proprio moto e/o lo invertono. Gli epicicli sono le orbite circolari su cui il pianeta si muove di moto uniforme. Il centro dell’epiciclo si muove a sua volta, sempre di moto uniforme, su un’orbita circolare detta deferente (si veda la figura seguente). Ogni eventuale ulteriore particolarità del moto viene riprodotta aggiungendo uno o più epicicli a quelli già esistenti, fino ad un massimo di 33.

              \[\quad\]

              \[\quad\]

              \[\quad\]

          Rendered by QuickLaTeX.com

        2.  

          1. Niccolò Copernico approfondì studi di teologia, astronomia, matematica e medicina. È il fondatore del modello astronomico eliocentrico, anche se la sua opera principale , intitolata De Revolutionibus Orbium Coelestium, fu pubblicata dopo la sua morte.
          2.  

            1. Giovanni Keplero, oltre a scoprire le leggi che portano il suo nome, studiò le leggi dell’ottica e diede per primo una spiegazione corretta del perché le lenti riescano a correggere i difetti di vista.
            2.  

              1. I fuochi F_1 e F_2 dell’ellisse sono i due punti fissi, giacenti sull’asse maggiore, per i quali è costante la somma delle distanze da qualsiasi punto appartenente all’ellisse. Inoltre, il semiasse maggiore a di un’ellisse è la metà dell’asse maggiore, passa dal centro attraverso uno dei fuochi, fino al bordo dell’ellisse. Il semiasse minore b di un’ellisse è la metà dell’asse minore ossia della linea più lunga che corre perpendicolare all’asse maggiore. Infine, l’eccentricità e può essere interpretata come una misura di quanto una sezione conica è lontana dall’essere una circonferenza. Di seguito è riportata la figura di un’ellisse.

                    \[\quad\]

                    \[\quad\]

                Rendered by QuickLaTeX.com

                Figura 11: ellisse. Sono riportati i fuochi e i semiassi.

              2.  

                1. Il periodo di rivoluzione è il tempo che un corpo orbitante, ad esempio un pianeta, impiega per compiere un’orbita completa durante il suo moto di rivoluzione. Il moto di rivoluzione è il movimento che un pianeta o un altro corpo celeste compie attorno a un centro di massa. Il termine si può dunque riferire al moto della Terra attorno al Sole, ma anche al moto di un satellite attorno a un pianeta o a quello di una stella attorno al Centro Galattico. Un satellite è definito come qualsiasi oggetto che orbita intorno ad un corpo diverso da una stella, come ad esempio un pianeta. Si dice satellite naturale un qualunque corpo celeste che ruoti attorno ad un oggetto (come la Luna in virtù del suo moto intorno alla Terra). Si definisce invece satellite artificiale un apparecchio realizzato dall’uomo e messo in orbita

La legge di gravitazione universale.

Newton cercò di formalizzare matematicamente le leggi di Keplero. Ripercorriamo il suo ragionamento, assumendo per semplicità che le orbite dei pianeti siano circolari (i pianeti del Sistema Solare hanno piccole eccentricità e quindi sono con buona approssimazione circolari). L’ipotesi di circolarità congiunta alla costanza della velocità areolare implica che il moto sia circolare uniforme, infatti

(56)   \begin{equation*} \dfrac{dA}{dt}=\dfrac{1}{2}\,r^2\,\dfrac{d\theta}{dt}=\text{costante}_1\,\Rightarrow\,\dfrac{d\theta}{dt}=\text{costante}_2. \end{equation*}

dove \text{costante}_1\neq\text{costante}_2. Siccome il pianeta, che schematizziamo come un punto materiale, si muove di moto circolare uniforme intorno al Sole, la forza agente su di esso deve produrre un’accelerazione puramente centripeta \vec{a}_r che, dalla formula di Binet risulta essere \vec{a}_r=-r\bigg(\dfrac{d\theta}{dt}\bigg)^2 \hat{r}.

Per il secondo principio di Newton il pianeta è soggetto dunque alla forza

(57)   \begin{equation*} F=m\,a_r=m\,\omega^2\,r=m\,\left(\dfrac{4\,\pi^2}{T^2}\right)\,r, \end{equation*}

dove m è la massa del pianeta, T è il periodo, \omega=\dfrac{d\theta}{dt} è la velocità angolare e r è la distanza tra il pianeta e il Sole, entrambi supposti puntiformi. Usiamo ora la terza legge di Keplero T^2=k\,r^3, dove il semiasse maggiore dell’orbita si identifica con il raggio della circonferenza e sostituendo T^2 si ha

(58)   \begin{equation*} F=\dfrac{4\pi^2}{k}\,\dfrac{m}{r^2}. \end{equation*}

Abbiamo dimostrato che, assumendo valide le leggi di Keplero, la forza che esercita il Sole sui pianeti è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza dal Sole.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Teoria sulla gravitazione

Figura 12: rappresentazione di un pianeta in moto circolare uniforme attorno al Sole.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Per determinare il valore di k, applichiamo il terzo principio della dinamica al sistema Terra-Sole. Il modulo della forza gravitazionale F_{S,T} esercitata dal Sole sulla Terra sarà

(59)   \begin{equation*} F_{S,T}=\dfrac{4\pi^2}{k_T}\,\dfrac{m_T}{r^2}, \end{equation*}

dove k_T è la costante di proporzionalità per la Terra, m_T è la massa terrestre e r la distanza Terra-Sole. Il modulo della forza gravitazionale F_{T,S} esercitata dalla Terra sul Sole sarà

(60)   \begin{equation*} F_{T,S}=\dfrac{4\pi^2}{k_S}\,\dfrac{m_S}{r^2}, \end{equation*}

dove k_S è la costante di proporzionalità per il Sole e m_S è la massa solare. Le forze F_{S,T} e F_{T,S} sono uguali in modulo per il principio di azione e reazione, e dalla loro uguaglianza scaturisce la relazione

(61)   \begin{equation*} F_{T,S}=F_{S,T} \qquad \Rightarrow \qquad \dfrac{4\pi^2}{k_T}\,\dfrac{m_T}{r^2}=\dfrac{4\pi^2}{k_S}\,\dfrac{m_S}{r^2}, \end{equation*}

ovvero

(62)   \begin{equation*} \dfrac{m_T}{k_T}=\dfrac{m_S}{k_S}\qquad \Rightarrow \qquad m_T\,k_S=m_S\,k_T. \end{equation*}

Definiamo

(63)   \begin{equation*} G=\dfrac{4\pi^2}{m_Tk_S}=\dfrac{4\pi^2}{m_Sk_T}. \end{equation*}

Mettendo a sistema l’equazione (63) con l’equazione (59), otteniamo

(64)   \begin{equation*} \begin{cases} F_{S,T}=\dfrac{4\pi^2}{k_T}\,\dfrac{m_T}{r^2}\\[10pt]  4\pi^2=m_Sk_TG,\\ \end{cases} \end{equation*}

da cui

(65)   \begin{equation*} F_{S,T}=\dfrac{(m_Sk_TG)m_T}{k_Tr^2}=G\dfrac{m_Sm_T}{r^2}. \end{equation*}

Mettendo a sistema l’equazione (63) con l’equazione (60), otteniamo

(66)   \begin{equation*} \begin{cases} F_{T,S}=\dfrac{4\pi^2}{k_S}\,\dfrac{m_S}{r^2}\\[10pt] 4\pi^2=m_Tk_SG,\\ \end{cases} \end{equation*}

da cui

(67)   \begin{equation*} F_{T,S}=\dfrac{(m_Tk_SG)m_S}{k_SAr^2}=G\dfrac{m_Sm_T}{r^2}. \end{equation*}

Si conclude che

(68)   \begin{equation*} F_{T,S}=F_{S,T}\qquad \Rightarrow \qquad \dfrac{4\pi^2}{k_T}\,\dfrac{m_T}{r^2}=\dfrac{4\pi^2}{k_S}\,\dfrac{m_S}{r^2}=G\,\dfrac{m_S\,m_T}{r^2}. \end{equation*}

Inoltre, esprimendo la forza che la Terra esercita sul Sole in forma vettoriale, si ha

(69)   \begin{equation*} \vec{F}_{T,S}=G\,\dfrac{m_S\,m_T}{r^2}\,\hat{r}, \end{equation*}

mentre, sul Sole, abbiamo

(70)   \begin{equation*} \vec{F}_{S,T}=-G\,\dfrac{m_S\,m_T}{r^2}\,\hat{r}, \end{equation*}

dove \hat{r} è il versore nella direzione della congiungente tra il Sole e la Terra il cui verso è dal Sole alla Terra. Newton intuì che tale legge è del tutto generale ed applicabile a due corpi qualsiasi aventi massa m_1 e m_2, e formulò la legge di gravitazione universale: tra due corpi aventi masse qualsiasi m_1 e m_2 di dimensioni trascurabili rispetto alla loro distanza agisce una forza attrattiva diretta lungo la congiungente dei rispettivi centri di massa, con modulo proporzionale al prodotto delle due masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanze. La forza che m_1 esercita su m_2 sarà dunque

(71)   \begin{equation*} \boxcolorato{fisica}{\vec{F}_{1,2}=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r}, 			}\end{equation*}

dove il segno meno indica il carattere attrattivo della forza e \hat{r} è il versore nella direzione della congiungente tra il corpo m_1 e il corpo m_2 il cui verso è dal corpo m_1 al corpo m_2. Per quanto detto, \vec{F}_{1,2}=-\vec{F}_{2,1}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Teoria sulla gravitazione

Figura 13: forza attrattiva tra due corpi aventi masse m_{1} e m_{2}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

La costante G è detta costante di gravitazione universale. Essa ha dimensioni [G]\equiv[M^{-1}\,L^3\,T^{-2}] e l’unità di misura nel SI è \text{m}^3\,\text{kg}^{-1}\,\text{s}^{-2}. Essa fu misurata sperimentalmente da Cavendish19 (Nizza, 1731 – Londra, 1810) nel 1798, che si servì di una bilancia di torsione20 per studiare l’attrazione tra due masse sferiche:

(72)   \begin{equation*} G=6,67\cdot 10^{-11}\,\text{m}^3\,\text{kg}^{-1}\,\text{s}^{-2}. \end{equation*}

Determinato il valore di G è possibile determinare il valore della massa terrestre e degli altri corpi celesti.    


  1. Henry Cavendish è stato un chimico e fisico inglese. Si interessò allo studio dei gas, isolò l’idrogeno e riuscì nella sintesi dell’acqua. Fu in grado di misurare la costante di gravitazione universale, deducendo la densità media della Terra (1798).
  2.  

    1. La bilancia di torsione è uno strumento di misura della fisica sperimentale utilizzato per misurare il momento torcente risultante dall’applicazione di una o più forze ai suoi bracci. I bracci sono sospesi tramite un filo di materiale rigido, ad esempio quarzo, che entra in torsione quando essi ruotano sotto l’azione delle forze esterne. L’angolo per il quale si raggiunge l’equilibrio tra il momento torcente da misurare e la reazione del filo sottoposto a torsione si può determinare con grande precisione. Tale angolo permette di risalire al valore del momento da misurare, essendo ad esso proporzionale secondo una costante dipendente dalle proprietà del filo.

Massa inerziale e massa gravitazionale.

L’equazione (71) esprime un particolare tipo di interazione il cui valore numerico è determinato da una proprietà dei corpi, indicata con m, che si definisce massa gravitazionale. A priori non c’è nessuna ragione per cui la massa gravitazionale debba essere uguale alla massa inerziale che compare nella legge di Newton \vec{F} = m\,\vec{a}. Esse sono concettualmente differenti: la prima è legata a una particolare interazione, mentre la seconda esprime l’inerzia che un corpo possiede sotto l’azione di una generica forza risultante \vec{F}. Per un corpo di massa inerziale m_I e massa gravitazionale m_G posto sulla superficie terrestre possiamo scrivere

(73)   \begin{equation*} m_I\,g=G\,\dfrac{m_{T,G}\,m_G}{r_T^2}, \end{equation*}

dove m_{T,G} è la massa gravitazionale della Terra e g è l’accelerazione di gravità. Si ricava che

(74)   \begin{equation*} g=G\,\dfrac{m_{T,G}}{r_T^2}\,\dfrac{m_G}{m_I}. \end{equation*}

Misure sperimentali stabiliscono che il valore dell’accelerazione di gravità g è lo stesso per tutti i corpi; ne concludiamo che per qualsiasi corpo il rapporto m_G/m_I è pari ad una costante.

L’esperimento per dimostrare l’uguaglianza tra le due masse è basato sul seguente procedimento proposto da E\ddot{\text{o}}tv\ddot{\text{o}}s (Buda, 1848- Budapest, 1919). Consideriamo un qualsiasi riferimento solidale alla Terra, che sarà non inerziale21. La direzione di un filo a piombo devierà da quella parallela alla forza di gravità (dipendente da m_G) in virtù dell’azione della forza centrifuga (dipendente da m_I). Se il rapporto m_G/m_I dipendesse dalla natura del corpo, due corpi di materiale diverso appesi a due fili dovrebbero esibire deviazioni diverse. Con una precisione di 10^{-6}, nessuna differenza fu misurata, provando la validità della relazione m_G/m_I=1.

L’uguaglianza numerica tra le due masse fu inizialmente stabilita sperimentalmente. Einstein comprese teoricamente tale risultato, e ne diede una giustificazione teorica enunciando il principio di equivalenza, fondamento della relatività generale22.    


  1. Si definisce sistema di riferimento inerziale un sistema in cui valga la legge di inerzia ossia il primo principio della dinamica. Tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme rispetto a un sistema di riferimento inerziale sono anche essi inerziali.
  2.  

    1. Va tuttavia sottolineato che il principio di equivalenza non fornisce una deduzione dell’equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale ma, piuttosto, eleva tale osservazione a principio fisico. Fu Weimberg nel 1962 a fornire una derivazione di tale equivalenza grazie al teorema del gravitone soffice.

Campo gravitazionale.

Consideriamo due corpi di massa m_1 e m_2 e riscriviamo le forze con cui si attraggono come

(75)   \begin{equation*} \vec{F}_{1,2}=m_2\left(-G\dfrac{m_1}{r^2}\,\hat{r}\right)=m_2\vec{g}_1 \end{equation*}

e

(76)   \begin{equation*} \vec{F}_{2,1}=-m_1\left(-G\dfrac{m_2}{r^2}\,\hat{r}\right)=-m_1\vec{g}_2. \end{equation*}

Dunque \vec{F}_{1,2} è riscrivibile come il prodotto tra m_2 e un vettore \vec{g}_1=-G\,\dfrac{m_1}{r^2}\,\hat{r} completamente indipendente dalla massa m_2; analogamente per \vec{F}_{2,1} definiamo \vec{g}_2=-G\,\dfrac{m_2}{r^2}\,\hat{r} completamente indipendente dalla massa m_1.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Teoria sulla gravitazione

Figura 14: rappresentazione dei campi gravitazionali \vec{g}_{1} e \vec{g}_{2}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

La grandezza vettoriale \vec{g}, che si può definire per un generico corpo avente massa m_i, è detta campo gravitazionale \vec{g}_i. Date N masse puntiformi, il campo gravitazionale totale \vec{g}_T in un punto P dello spazio è dato dalla somma vettoriale dei singoli contributi per il principio di sovrapposizione degli effetti, cioè

(77)   \begin{equation*} \vec{g}_T= \vec{g}_1+\dots+\vec{g}_N=\sum_{i=1}^N\vec{g}_i=\sum_{i=1}^N\left(-G\dfrac{m_i}{r_i^2}\,\hat{r}_i\right).  \end{equation*}

Nella figura che segue rappresentiamo la situazione fisica descritta.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Teoria sulla gravitazione

Figura 15: rappresentazione del campo gravitazionale totale in un punto P.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Consideriamo ora un corpo esteso C23 contenente una massa m e calcoliamo il campo gravitazionale da essa prodotto in un punto P dello spazio. Quello che si vuol fare, a differenza della formula (77) che vale per il caso discreto, è trovare una formula analoga per il caso di un corpo esteso.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Teoria sulla gravitazione

Figura 16: rappresentazione di un corpo esteso suddiviso in infinite masse dm.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Possiamo immaginare la massa m come la somma di infinite masse dm, tale per cui ognuna di esse produca un campo d\vec{g} nello spazio, cioè

(78)   \begin{equation*}  d\vec{g}=-\dfrac{G}{r^2}\,dm\,\hat{r},  \end{equation*}

dove r è la distanza tra la massa dm e il punto P, come rappresentato nella figura di sopra. Il campo totale si ottiene integrando la (78) su tutti i contributi:

(79)   \begin{equation*}  \vec{g}=-G\int_C\dfrac{dm}{r^2}\hat{r}.  \end{equation*}

Questo campo è una funzione del punto P ma dipende solo dalla distanza radiale tra il punto P e l’elemento di massa infinitesima dm. Usando la relazione dm=\rho\,d\tau, dove \rho è la densità volumica di massa e d\tau è il volume infinitesimo occupato dalla massa dm, si ha

(80)   \begin{equation*}  \vec{g}=-G\,\int_{\tau}\,\rho\,\dfrac{d\tau}{r^2}\hat{r}.  \end{equation*}

Si considerino due corpi estesi C_1 e C_2 di masse m_1 e m_2. La forza tra di essi si ottiene in un modo analogo calcolando in ciascun elemento di m_2 la forza infinitesima d\vec{F}_{1,2}=dm_2\,\vec{g}_1, dove \vec{g}_1 è il campo gravitazionale associato al corpo C_1 e avente la forma di (79).

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 17: rappresentazione della forza d’attrazione tra due corpi estesi C_{1} e C_{2}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Esercizio 2.1  (\bigstar\bigstar\largewhitestar\largewhitestar\largewhitestar). Si considerino due pianeti di massa M_1 e M_2 con M_1=4\,M_2. Sia D la distanza fra i centri dei due pianeti. Si determini la distanza dal centro dei due pianeti del punto P in cui il campo gravitazionale è nullo.

    \[\quad\]

Si considerino due pianeti di massa M_1 e M_2 a distanza D.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Rendered by QuickLaTeX.com

Figura 18: due pianeti di massa M_{1} e M_{2} posti ad una distanza D.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Scegliamo un sistema di riferimento fisso Ox con origine in M_1.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Rendered by QuickLaTeX.com

Figura 19: rappresentazione dei campi gravitazionali generati da M_{1} e M_{2}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Siano \vec{g}_1 e \vec{g}_2 i campi gravitazionali generati da M_1 e M_2 rispettivamente nel punto generico P=(x,0), dove x è la distanza da M_1. Dalla figura, è evidente che se x<0 o x>D, i campi \vec{g}_1 e \vec{g}_2 si sommano perché sono orientati nello stesso verso. Invece, se 0<x<D, i campi assumono segni opposti e di conseguenza deve esistere almeno un punto in cui il campo si annulla. Per il principio di sovrapposizione degli effetti, il campo gravitazionale \vec{g}_T nel punto P è dato dalla somma di \vec{g}_1 e \vec{g}_2:

(81)   \begin{equation*} \vec{g}_T=\left(-G\,\dfrac{M_1}{x^2}+G\,\dfrac{M_2}{(D-x)^2}\right)\,\hat{x}, \end{equation*}

dove \hat{x} è il versore associato all’asse delle x. Posto

(82)   \begin{equation*} g_T=0=-G\,\dfrac{M_1}{x^2}+G\,\dfrac{M_2}{(D-x)^2}, \end{equation*}

da cui, ricordando che M_1=4M_2, si ottiene

(83)   \begin{equation*} -G\,\dfrac{4\,M_2}{x^2}+G\,\dfrac{M_2}{(D-x)^2}=0\,\,\,\,\,\Rightarrow\,\,\,\,\,4\,(D-x)^2=x^2, \end{equation*}

o anche

(84)   \begin{equation*} 2\,(D-x)=\pm x. \end{equation*}

L’equazione (84) ha come soluzioni

(85)   \begin{equation*} 2D-2x=x\,\,\,\,\,\Rightarrow\,\,\,\,\,x=\dfrac{2}{3}\,D  \end{equation*}

e

(86)   \begin{equation*} 2D-2x=-x\,\,\,\,\,\Rightarrow\,\,\,\,\,x=2D. \end{equation*}

l’unica soluzione accettabile è

    \[\boxcolorato{fisica}{x=\dfrac{2}{3}\,D,}\]

in quanto in x=2D>D i due campi si sommano ed il campo totale non può annullarsi.    


  1. Ricordiamo la distinzione tra punto materiale e corpo esteso. Un punto materiale è un oggetto le cui dimensioni sono trascurabili rispetto a quelle dello spazio in cui si trova. Un punto materiale è una descrizione semplificata di un oggetto reale, che è schematizzato come un punto geometrico dotato di massa. Invece un corpo esteso è un oggetto le cui dimensioni e la cui struttura non possono essere trascurate. I corpi estesi si distinguono a loro volta in corpi estesi elastici e corpi rigidi. Si definisce corpo elastico un corpo che si deforma sotto l’azione di una forza, ma quando l’azione termina, riprende la forma iniziale. Si definisce corpo rigido un corpo che non si deforma: in un corpo rigido la distanza tra due punti qualsiasi rimane invariata quando sono applicate ad esso delle forze.

Energia potenziale gravitazionale.

La forza gravitazionale è nella forma di (36), pertanto deduciamo che la forza gravitazionaleè una forza centrale, e quindi è conservativa, come dimostrato in precedenza. Pertanto, possiamo definire per la forza gravitazionale un’energia potenziale gravitazionale nella stessa forma di (28). Calcoliamo tale espressione. Sfruttando la definizione generica di forza centrale, data dall’equazione (29), e confrontandola con (71), si ha

(87)   \begin{equation*} \dfrac{k}{r^2}=\dfrac{Gm_1m_2}{r^2}, \end{equation*}

da cui

(88)   \begin{equation*} k=Gm_1m_2. \end{equation*}

Abbiamo dunque, sfruttando (28), quanto segue

    \[\begin{aligned} U(r)&=-\int_{r_0}^rF(r)dr+\text{costante}=\\[5pt] &=-\int_{r_0}^r\left(-\dfrac{Gm_1m_2}{r^2}\right)dr+\text{costante}=\\[5pt] &=-\dfrac{Gm_1m_2}{r}+\dfrac{Gm_1m_2}{r_0}+\text{costante}=\\[5pt] &=-\dfrac{Gm_1m_2}{r}+\text{costante},\\ \end{aligned}\]

dove nell’ultimo passaggio abbiamo “inglobato” il termine \dfrac{Gm_1m_2}{r_0} dentro la costante, richiamando con abuso di notazione, la nuova costante sempre con lo stesso nome del passaggio precedente.

Si osservi che

    \[\begin{aligned}  \left[U\right]&= \left[G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r}\right]= \left[\text{m}^3\cdot \text{kg}^{-1}\cdot \text{s}^{-2}\cdot\,\text{kg}^{2}\cdot \text{m}^{-1}\right]=\\  &= \left[\text{m}^2\cdot \text{kg}\cdot \text{s}^{-2}\right]= \left[\dfrac{\text{m}}{\text{s}^2}\cdot \text{kg} \cdot \text{m}\right]=\\  &= \left[\text{N}\cdot \text{m}\right]= \left[\text{J}\right]  \end{aligned}\]

L’energia potenziale è definita a meno di una costante arbitraria

    \[\boxcolorato{fisica}{U(r)=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r}+\text{costante}.}\]

Se i corpi m_1 e m_2 sono molto lontani tra di loro, essendo la loro distanza r molto grande, è lecito supporre che la forza di attrazione gravitazionale sia molto debole, ovvero che sia quasi nulla. Di conseguenza, non essendoci attrazione tra i corpi, per convenzione si suppone U(r=\infty)=0, da cui si trova la costante del potenziale pari a zero. Si osservi che in fisica, poiché è possibile osservare solo differenze di potenziali, ai fini di tale “calcolo” scrivere U(r)=-Gm_1\,m_2/r è equivalente a calcolare la differenza di energia tra i corpi quando si trovano all’infinito e alla generica distanza r.

Consideriamo un corpo di massa m. Il campo gravitazionale prodotto da esso è dato da

(89)   \begin{equation*}  \vec{g}=-\dfrac{Gm}{r^2} \, \hat{r}.  \end{equation*}

Questo campo è conservativo, poiché esiste un potenziale, infatti abbiamo

(90)   \begin{equation*}  \vec{g}=-\nabla V,  \end{equation*}

o anche

(91)   \begin{equation*} -\dfrac{Gm}{r^2}=-\dfrac{dV}{dr},  \end{equation*}

da cui, integrando ambo i membri dell’ultima equazione rispetto alla variabile r, si ottiene

(92)   \begin{equation*} V(r)=-\dfrac{Gm}{r}+\text{costante};  \end{equation*}

Procedendo, con lo stesso ragionamento fatto con l’energia, possiamo assumere la precedente costante sia pari a zero24.

(93)   \begin{equation*} V(r)=-\dfrac{Gm}{r}.  \end{equation*}

Possiamo dunque scrivere U(r) come segue

(94)   \begin{equation*}  U(r)=V(r)\,m_1,  \end{equation*}

assumendo che m=m_2, oppure in modo equivalente, assumendo che m=m_1, si ottiene

(95)   \begin{equation*}  U(r)=V(r)\,m_2.  \end{equation*}

Abbiamo così ottenuto un legame tra l’energia potenziale e il potenziale del campo \vec{g}. Osserviamo, inoltre che, il potenziale V esiste indipendentemente dal sussistere di una relazione tra due masse puntiformi m_1 e m_2, essendo una proprietà dello spazio generata dal campo \vec{g}.

Un’altra fondamentale conseguenza della natura conservativa della forza gravitazionale è la conservazione, oltre a quella del momento angolare, dell’energia totale del sistema a due corpi composto da m_1 e m_2.

In ogni istante, l’energia totale del sistema è

(96)   \begin{equation*} E_T=K_T+U_T=\dfrac{1}{2}\,m_1\,v_1^2+\dfrac{1}{2}m_2\,v_2^2-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r}, \end{equation*}

dove v_1 e v_2 sono rispettivamente i moduli della velocità di m_1 e m_2, in un generico istante t>0. Una semplice ed interessante applicazione dell’equazione (96) è data dal calcolo della velocità di fuga. Si definisce velocità di fuga di un punto materiale di massa m, la velocità iniziale che esso deve possedere affinché, lanciato dalla superficie di un generico corpo celeste25, riesca a sfuggire al suo campo gravitazionale. In altri termini, la velocità di fuga è quella velocità che deve avere un corpo sulla superficie di un corpo celeste, affinché e riesca ad arrivare a distanza infinita da esso con velocità nulla. Per calcolare la velocità di fuga immaginiamo di lanciare un oggetto di massa m da un corpo celeste di massa M e raggio R. Applichiamo la legge di conservazione dell’energia. In particolare, all’istante iniziale l’oggetto parte dalla superficie di M con velocità v_{\text{fuga}}, e all’istante finale raggiunge una distanza infinita con velocità nulla. Dunque

(97)   \begin{equation*} K_i+U_i=K_f+U_f \qquad \Rightarrow\qquad \dfrac{1}{2}\,m\,v_{\text{fuga}}^2-G\,\dfrac{m\,M}{R}=0. \end{equation*}

La velocità di fuga di un generico corpo si può allora scrivere come

    \[\boxcolorato{fisica}{v_{\text{fuga}}=\sqrt{\dfrac{2\,G\,M}{R}}.}\]

Nel caso terreste si ha v_{\textbf{fuga}} \approx 11,2 \ \dfrac{\text{km}}{\text{s}}.

    \[\quad\]

Esercizio 2.2  (\bigstar\bigstar\bigstar\largewhitestar\largewhitestar). Siano m_1 e m_2 due masse poste a grande distanza. La velocità iniziale di m_1 è nulla, e quella di m_2 ha modulo pari a v_2 ed è diretta nella direzione del segmento che congiunge i due corpi, ovvero \hat{r}. Determinare il modulo v della velocità di m_2 quando si trova ad una distanza r da m_1 molto minore della distanza iniziale.

    \[\quad\]

Svolgimento. Inizialmente i due corpi sono posti ad una distanza tale da rendere trascurabile l’energia di interazione. Osserviamo che la somma delle forze esterne al sistema è nulla, pertanto si conserva la quantità di moto del sistema in ogni istante. Sappiamo che, la quantità di moto iniziale del sistema è fornita dalla sola massa m_2, poiché m_1 inizialmente è fermo per ipotesi, abbiamo dunque

(98)   \begin{equation*} \vec{p}_i=m_2\vec{v}_2. \end{equation*}

Essendo i corpi soggetti alla forza di attrazione gravitazionale, deduciamo che nel generico istante t>0 la quantità di moto è

(99)   \begin{equation*} \vec{p}_f=m_1\vec{v}_1+m_2\vec{v}=(m_1v_1-m_2v)\,\hat{r}, \end{equation*}

dove abbiamo scelto un sistema di riferimento Ox tale per cui l’asse delle x giaccia nella direzione del segmento che congiunge m_1 e m_2 e tale per cui m_2 abbia una velocità orientata nel verso negativo delle x, e m_1 nel verso positivo delle x. Dalla conservazione della quantità di moto, si ha

(100)   \begin{equation*} m_1v_1-m_2v=m_2v_2. \end{equation*}

L’energia totale iniziale E_i del sistema composto dalle due masse coincide con l’energia cinetica del corpo avente massa m_2, il solo ad avere velocità non nulla:

(101)   \begin{equation*} E_i=\dfrac{1}{2}m_2\,v_2^2. \end{equation*}

Dopo un dato intervallo di tempo il corpo di massa m_2 raggiungerà una distanza r dall’altro corpo a velocità incognita \vec{v} tale che la loro energia d’interazione non sia più trascurabile. Dunque, quando i corpi si trovano ad una distanza r, possiamo scrivere l’energia finale E_f come

(102)   \begin{equation*} E_f=\dfrac{1}{2}\,m_2\,v^2+\dfrac{1}{2}\,m_1\,v_1^2-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}, \end{equation*}

dove v_1 è la velocità finale di m_1. In virtù della conservazione dell’energia si ha:

(103)   \begin{equation*} E_i=E_f, \end{equation*}

da cui

(104)   \begin{equation*} \dfrac{1}{2}m_2\,v_2^2=\dfrac{1}{2}\,m_2\,v^2+\dfrac{1}{2}\,m_1\,v_1^2-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}, \end{equation*}

cioè

(105)   \begin{equation*} v^2=v_2^2-\dfrac{m_1}{m_2}\,v_1^2+\dfrac{2\,G\,m_1}{r^2}. \end{equation*}

A questo punto mettiamo a sistema (105) e (100); esprimendo v_1 dall’equazione (100) abbiamo

(106)   \begin{equation*}     v_1=\dfrac{m_2}{m_1}\,(v_2+v), \end{equation*}

che sostituita nell’equazione (105) ci fornisce

(107)   \begin{equation*}     v^2=v_2^2-\dfrac{m_2}{m_1}\,(v_2^2+v^2+2\,v_2\,v)+\dfrac{2\,G\,m_1}{r^2}. \end{equation*}

Al fine di risolvere l’equazione quadratica per v, riordiniamola

(108)   \begin{equation*}     \left(\dfrac{m_2}{m_1}+1\right)\,v^2+2\,\dfrac{m_2}{m_1}\,v_2\,v + \left(\dfrac{m_2}{m_1}-1\right)\, v_2^2-\dfrac{2\,G\,m_1}{r^2}=0 \end{equation*}

e calcoliamone il discriminante

(109)   \begin{equation*} \begin{split}     \Delta&=4\,\dfrac{m_2^2}{m_1^2}\,v_2^2-4\left(\dfrac{m_2}{m_1}+1\right)\left[\left(\dfrac{m_2}{m_1}-1\right)\, v_2^2-\dfrac{2\,G\,m_1}{r^2}\right]=\\     &=4\,\dfrac{m_2^2}{m_1^2}\,v_2^2-4\left[\left(\dfrac{m_2^2}{m_1^2}-1\right)\, v_2^2-\left(\dfrac{m_2}{m_1}+1\right)\,\dfrac{2\,G\,m_1}{r^2}\right]=\\     &=4\,v_2^2+4\,\left(\dfrac{m_2}{m_1}+1\right)\,\dfrac{2\,G\,m_1}{r^2}, \end{split}     \end{equation*}

il quale risulta essere positivo. Il modulo della velocità v di m_2 è pertanto

    \[\boxcolorato{fisica}{v=\dfrac{-\dfrac{m_2}{m_1}\,v_2+\sqrt{v_2^2+\left(\dfrac{m_2}{m_1}+1\right)\,\dfrac{2\,G\,m_1}{r^2}}}{\dfrac{m_2}{m_1}+1}.}\]

in cui la soluzione negativa è stata scartata poiché il modulo della velocità deve essere positivo.

    \[\quad\]

Esercizio 2.3  (\bigstar\bigstar\largewhitestar\largewhitestar\largewhitestar). Un satellite di massa m descrive un’orbita circolare attorno ad un pianeta di massa M; il raggio dell’orbita è r e il periodo di rivoluzione è T. Calcolare il valore della massa M del pianeta e l’energia del satellite.

    \[\quad\]

Svolgimento. Supponiamo M\gg m, da cui è possibile considerare il pianeta di massa M fermo rispetto al corpo m che si muove di moto circolare rispetto ad esso. Il corpo di massa m si muove di moto circolare uniforme, pertanto la sua velocità angolare è \omega=(2\pi/T), e inoltre possiede una velocità tangenziale di modulo v=\omega r. L’energia meccanica del satellite E_T è data dalla somma di energia cinetica ed energia potenziale:

(110)   \begin{equation*} \begin{split} E_T&=-G\,\dfrac{m\,M}{r}+\dfrac{1}{2}\,m\,v^2=\\ &=-G\,\dfrac{m\,M}{r}+\dfrac{1}{2}\,m\,\omega^2\,r^2=\\ &=-G\,\dfrac{m\,M}{r}+\dfrac{1}{2}\,m\left(\dfrac{4\pi^2}{T^2}\right)r^2. \end{split} \end{equation*}

D’altro canto, applicando al satellite la seconda legge di Newton \vec{F}=m\vec{a} e ricordando che siccome il moto è circolare uniforme l’accelerazione sarà centripeta \left(a_c=\dfrac{v^2}{r}\right), otteniamo

(111)   \begin{equation*} G\,\dfrac{m\,M}{r^2}=\dfrac{m\,v^2}{r}\, \end{equation*}

da cui

(112)   \begin{equation*} mv^2=G\,\dfrac{m\,M}{r}, \end{equation*}

o anche

    \[\boxcolorato{fisica}{M=\dfrac{v^2r}{G}=\left(\dfrac{2\pi r}{T}\right)^2\dfrac{r}{G}=\dfrac{4\pi^2}{T^2}{r^3}{G}.}\]

Grazie all’equazione (111) è possibile riscrivere l’equazione (110), come segue

    \[\boxcolorato{fisica}{E_T=-G\,\dfrac{m\,M}{r}+\dfrac{1}{2}\,m\,v^2=-G\,\dfrac{m\,M}{r}+\dfrac{1}{2}\,G\,\dfrac{m\,M}{r}=-\dfrac{1}{2}\,G\,\dfrac{m\,M}{r} 			.}\]

che è una quantità minore di zero.    


  1. Ossia richiedendo che V(r=\infty)=0
  2.  

    1. Un corpo celeste è un oggetto naturale che si trova al di fuori dell’atmosfera terrestre, come una cometa, un asteroide, la Luna, un pianeta, il Sole o una stella.

 

Energia di un sistema di pianeti e satelliti

Introduzione.

Si consideri un sistema di n pianeti che interagiscono tra loro mediante la forza gravitazionale. L’energia totale rappresenta il lavoro compiuto dalle forze esterne per portare i pianeti dall’infinito a tale configurazione, ed è data da

(113)   \begin{equation*} \boxcolorato{fisica}{E_T=-\dfrac{G}{2}\,\left(\dfrac{m_1\,m_2}{r_{1,2}}+\dfrac{m_1\,m_3}{r_{1,3}}+\cdots+\dfrac{m_1\,m_n}{r_{1,n}}+\dfrac{m_2\,m_3}{r_{2,3}}+\cdots+\dfrac{m_2\,m_n}{r_{2,n}} +\dots\right)} \end{equation*}

dove m_1,\ldots\, ,m_n sono le masse dei pianeti o satelliti, e r_{i,j} le distanze tra i pianeti di massa m_i e m_j.

Dimostriamo il risultato (113) seguendo un semplice ragionamento. Schematizziamo un sistema di corpi celesti26 come un sistema di n punti materiali interagenti tramite la forza gravitazionale. Procediamo con il calcolo diretto dell’energia totale del sistema. Dunque, immaginiamo di fissare una massa m_1 nello spazio. Essa perturberà la regione circostante con il campo gravitazionale \vec{g}, ovvero

(114)   \begin{equation*} \vec{g}=-G\,\dfrac{m_1}{r^2}\,\hat{r}. \end{equation*}

Si immagini ora di trasportare una massa dall’infinito (energia di interazione nulla) ad una distanza generica r_{1,2} da m_1. In seguito a tale spostamento la forza esterna avrà compiuto un lavoro pari a quello della forza gravitazionale, cioè

(115)   \begin{equation*} W_{1,2}=-\int_{\infty}^{r_{1,2}}-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r'^2}\,dr'=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r_{1,2}}. \end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 20: sistema di due corpi celesti.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Analogamente, portiamo m_3 dall’infinito ad una distanza r_{1,3} da m_1. Per lo stesso ragionamento, il lavoro compiuto sarà

(116)   \begin{equation*} W_{1,3}=-G\,\dfrac{m_1\,m_3}{r_{1,3}}. \end{equation*}

La configurazione ottenuta sarà

    \[\quad\]

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 21: sistema di tre corpi celesti.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Similmente, sarà compiuto il seguente lavoro per trasportare m_3 ad una distanza r_{2,3} da m_2:

(117)   \begin{equation*} W_{2,3}=-G\,\dfrac{m_2\,m_3}{r_{2,3}}. \end{equation*}

L’energia totale del sistema costituito da queste tre masse si scrive come

(118)   \begin{equation*} E_T=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r_{1,2}}-G\,\dfrac{m_1\,m_3}{r_{1,3}}-G\,\dfrac{m_2\,m_3}{r_{2,3}}. \end{equation*}

Estendendo lo stesso ragionamento ai rimanenti punti materiali, trasportandoli cioè dall’infinito ad una distanza generica rispetto agli altri punti, si ottiene la relazione (113).

    \[\quad\]

Esercizio 3.1  (\bigstar\bigstar\bigstar\bigstar\largewhitestar). Tre corpi di massa m ruotano, per effetto delle sole forze gravitazionali, lungo una circonferenza di raggio R attorno ad un corpo fisso di massa M\gg m, mantenendosi equidistanti. Per l’intero sistema composto dalle 3 masse m e la massa centrale M, si calcolino:

    \[\quad\]

  1. la quantità di moto totale;
  2.  

  3. il momento angolare totale, rispetto al centro O del corpo di massa M;
  4.  

  5. il periodo di rivoluzione dei corpi di massa m attorno al corpo di massa M;
  6.  

  7. l’energia totale del sistema.

    \[\quad\]

Richiami teorici.

Ricordiamo la prima e la seconda legge cardinale per un sistema di punti materiali

(119)   \begin{equation*} \begin{cases} \sum_{k=1}^n\vec{F}_{k}^{est}=\dfrac{d\vec{P}_t}{dt}\\ \sum_{k=1}^n\vec{M}_k^{est}-m\vec{v}_O\wedge\vec{v}_{CM}=\dfrac{d\vec{L}_O}{dt} \end{cases} \end{equation*}

dove \sum_{k=1}^n\vec{F}_{k}^{est} è la somma di tutte le forze esterne, \vec{P}_t è la quantità di moto totale del sistema, \sum_{k=1}^n\vec{M}_k^{est} è la somma di tutti i momenti esterni al sistema, \vec{v}_O è la velocità del polo scelto per il calcolo del momento angolare totale del sistema, \vec{v}_{CM} è la velocità del centro di massa ed infine \vec{L}_O è il momento angolare totale del sistema rispetto al polo O.

Svolgimento. 1) Cominciamo col disegnare una schematizzazione del problema riportata in figura 22

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 22: tre corpi di massa m che ruotano attorno ad un corpo di massa M\gg m.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Identifichiamo con A, B e C i tre corpi del sistema, come nella figura che segue.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 23: circonferenza lungo la quale sono vincolati a muoversi i tre corpi indicati con A, B, e C.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Rappresentiamo la circonferenza lungo la quale sono vincolati a muoversi i tre corpi e consideriamo il triangolo ABC. Siccome, per i vincoli imposti dal problema sappiamo che i corpi devono mantenersi equidistanti, deduciamo che il triangolo ABC è equilatero, da cui, per le note proprietà del triangolo equilatero concludiamo che tutti gli angoli avranno un’ampiezza di 60^{\circ}. Osserviamo che A\widehat{O}B è un angolo al centro e A\widehat{B}C è un angolo alla circonferenza. Ricordiamo la seguente definizione.

    \[\quad\]

Definizione 3.2. Dato un angolo alla circonferenza, si dice angolo al centro corrispondente l’angolo che ha il vertice nel centro della circonferenza e che sottende l’arco su cui insiste l’angolo alla circonferenza.

    \[\quad\]

Pertanto l’angolo A\widehat{O}B è il corrispondente angolo al centro di A\widehat{C}B. Sappiamo che un angolo alla circonferenza è la metà del suo angolo al centro corrispondente, da cui deduciamo che A\widehat{O}B=2\,A\widehat{C}B=120^{\circ}.

Rappresentiamo il moto dei pianeti in un generico istante.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 24: configurazione geometrica dei tre corpi in un generico istante \displaystyle t.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Abbiamo scelto un sistema di riferimento O'xy fisso tale per cui nell’istante iniziale t=0^+ i punti A e B si trovano sull’asse delle x, e il punto C sull’asse delle y. Proiettando per le velocità lungo il sistema di riferimento scelto si ha:

    \[\begin{aligned} \vec{v}_C&=-v_C\,\hat{x};\\ \vec{v}_A&=v_A\,\cos\,60^{\circ}\,\hat{x}-v_A\,\sin\,60^{\circ}\,\hat{y}=\dfrac{1}{2}\,v_A\,\hat{x}-\dfrac{\sqrt{3}}{2}\,v_A\,\hat{y};\\ \vec{v}_B&=v_B\,\cos\,60^{\circ}\,\hat{x}+v_B\,\sin\,60^{\circ}\,\hat{y}=\dfrac{1}{2}\,v_B\,\hat{x}+\dfrac{\sqrt{3}}{2}\,v_B\,\hat{y}. \end{aligned}\]

Dato che i tre punti materiali devono rimanere equidistanti, si muovono tutti con la medesima velocità, cioè

(120)   \begin{equation*} |\vec{v}_A|=|\vec{v}_B|=|\vec{v}_C|=v. \end{equation*}

Pertanto la quantità di moto totale è

    \[\begin{aligned} \vec{p}&=m\,\left(\vec{v}_A+\vec{v}_B+\vec{v}_C\right)=\\ &=m\,\left(-v\,\hat{x}+\dfrac{1}{2}\,v\,\hat{x}+\dfrac{1}{2}\,v\,\hat{x}-\dfrac{\sqrt{3}}{2}\,v\,\hat{y}+\dfrac{\sqrt{3}}{2}\,v\,\hat{y}\right)=\\ &=\vec{0}; \end{aligned}\]

conclidiamo che

    \[\boxcolorato{fisica}{\vec{p}=\vec{0}.}\]

Abbiamo dimostrato che la quantità di moto totale è zero basandoci su una particolare assunzione geometrica, che corrisponde con lo stato del sistema al tempo t=0^+, fatta in virtù di una semplificazione di calcoli. Il lettore è invitato a ripetere tale dimostrazione nel caso in cui i vettori velocità formino un angolo generico con gli assi corrispondenti, ossia mantenendo lo stesso sistema di riferimento ma considerando una configurazione del sistema composto dalle masse m in un generico tempo t>0, in cui le masse hanno ruotato di un generico angolo rispetto al tempo t=0^+.

2) Calcoliamo il momento angolare rispetto al centro della circonferenza. Si osserva immediatamente che il momento angolare totale è costante in ogni istante t>0, poiché non sono presenti forze esterne e quindi non ci sono momenti esterni. Si ha

(121)   \begin{equation*} \vec{L}=\vec{L}_A+\vec{L}_B+\vec{L}_C, \end{equation*}

dove \vec{L}_A, \vec{L}_B e \vec{L}_C sono i momenti angolari rispettivamente dei corpi A, B e C rispetto al centro della circonferenza. I tre corpi si trovano alla stessa distanza da O, quindi chiamando \vec{r}_A, \vec{r}_B e \vec{r}_C la loro distanza dal centro, si ha

    \[\begin{aligned} &|\vec{L}_A|=m|\vec{v}_A||\vec{r}_A|\text{sin}\,\theta_A,\\ &|\vec{L}_B|=m|\vec{v}_B||\vec{r}_B|\text{sin}\,\theta_B,\\ &|\vec{L}_C|=m|\vec{v}_C||\vec{r}_C|\text{sin}\,\theta_C, \end{aligned}\]

dove \theta_A, \theta_B e \theta_C sono rispettivamente gli angoli che formano la velocità \vec{v}_A con \vec{r}_A, la velocità \vec{v}_B con \vec{r}_B, e la velocità \vec{v}_C con \vec{r}_C. Per la geometria del sistema, sappiamo che \theta_A=\theta_B=\theta_C=\pi/2 e |\vec{r}_A|=|\vec{r}_B|=|\vec{r}_C|=R, quindi ricordando che |\vec{v}_A|=|\vec{v}_B|=|\vec{v}_C|=v, concludiamo

(122)   \begin{equation*} |\vec{L}_A|=|\vec{L}_B|=|\vec{L}_C|=mRv. \end{equation*}

Inoltre, dalla regola della mano destra, i tre momenti angolari \vec{L}_A, \vec{L}_B e \vec{L}_C sono ortogonali al piano xy e uscenti da esso; sono quindi diretti lungo \hat{z} in cui \hat{z} è il versore dell’asse z uscente dal piano xy. Procediamo col calcolare il modulo della velocità \vec{v} in funzione di M e R.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 25: rappresentazione delle forze agenti sul corpo A.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

In figura sono rappresentate le forze agenti sul corpo A: la forza \vec{F}_{C,A} è la forza causata nell’interazione tra C e A, \vec{F}_{M,A} tra M e A e \vec{F}_{B,A} tra B e A. Si ha, usando la seconda legge di Newton e il fatto che l’accelerazione è centripeta, che:

(123)   \begin{equation*} \vec{F}_{C,A}+\vec{F}_{B,A}+\vec{F}_{M,A}=\dfrac{m\,v^2}{R}\,\hat{n}, \end{equation*}

dove \hat{n} è il versore che punta, istante per istante, verso il centro della circonferenza. Si ha, applicando la legge di gravitazione universale

(124)   \begin{equation*} F_{C,A}=\dfrac{G\,m^2}{\overline{AC}^2}=F_{B,A}; \end{equation*}

in cui F_{C,A} è il modulo di \vec{F}_{C,A}, F_{B,A} è il modulo di \vec{F}_{B,A} e F_{M,A} è il modulo di \vec{F}_{M,A}. Osservando la figura 24 e ricordando che il triangolo AOB è isoscele si ha \overline{AC}=\overline{BC}=\overline{AB}=2\overline{AO}=2R\,\cos\,30^{\circ}=2\,R\,\dfrac{\sqrt{3}}{2}=\sqrt{3}\,R, e quindi

(125)   \begin{equation*} F_{C,A}=F_{B,A}=\dfrac{G\,m^2}{3\,R^2}. \end{equation*}

Inoltre, si ha

(126)   \begin{equation*} F_{M,A}=\dfrac{G\,m\,M}{R^2}. \end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 26: diagramma delle forze agenti sul corpo A.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Applicando il metodo del parallelogramma, si vede che

    \[\begin{aligned} &\vec{F}_{M,A}+\vec{F}_{C,A}+\vec{F}_{B,A}=\\ &=\left(F_{M,A}+\sqrt{F_{C,A}^2+F_{B,A}^2-2\,\cos\,120^{\circ}\,F_{C,A}\,F_{B,A}}\right)\,\hat{n}\\ &=\left(F_{M,A}+\sqrt{F^2+F^2+F^2}\right)\,\hat{n}\\ &=\left(F_{M,A}+F\,\sqrt{3}\right)\,\hat{n} \label{eq117} \end{aligned}\]

dove F=F_{C,A}=F_{B,A} e, inoltre, abbiamo applicato il teorema di Carnot. Dunque, si ha

(127)   \begin{equation*} \vec{F}_{M,A}+\vec{F}_{C,A}+\vec{F}_{B,A}=\left(F_{M,A}+F\,\sqrt{3}\right)\,\hat{n}=\dfrac{mv^2}{R}\,\hat{n}, \end{equation*}

da cui, considerando solo le componenti, si ha

(128)   \begin{equation*} F_{M,A}+\sqrt{3}\,F=\dfrac{mv^2}{R}. \end{equation*}

Sfruttando i risultati pervenuti nelle Equazioni (125) e (126) è possibile riscrivere l’equazione (128) come segue

(129)   \begin{equation*} \dfrac{G\,M\,m}{R^2}+\dfrac{\sqrt{3}\,G\,m^2}{3\,R^2}=\dfrac{mv^2}{R}, \end{equation*}

da cui

(130)   \begin{equation*} \dfrac{G\,M}{R}+\dfrac{\sqrt{3}\,G\,m}{3\,R}=v^2, \end{equation*}

ovvero

(131)   \begin{equation*} v=\sqrt{\dfrac{G\,M}{R}+\dfrac{\sqrt{3}\,G\,m}{3\,R}}=\sqrt{\dfrac{G}{R}\left(M+\dfrac{\sqrt{3}}{3}\,m\right)}. \end{equation*}

Poiché i momenti angolari dei tre corpi sono paralleli, il modulo di \vec{L} risulta essere la somma dei moduli momenti angolari dei tre corpi. Si conclude, inserendo la (131) nell’equazione (122), che il momento angolare totale è

    \[\boxcolorato{fisica}{L=3\,m\,R\sqrt{\dfrac{G}{R}\left(M+\dfrac{\sqrt{3}}{3}\,m\right)}.}\]

3) Per calcolare il periodo T ricordiamo che i vari pianeti si muovono di moto circolare uniforme con velocità angolare \omega, per cui

(132)   \begin{equation*} v=\omega\,R=\dfrac{2\pi}{T}\,R; \end{equation*}

da cui, usando anche (131), segue che

    \[\boxcolorato{fisica}{T=\dfrac{2\,\pi\,R}{v}=2\,\pi\,R \left(\dfrac{G}{R}\left(M+\dfrac{\sqrt{3}}{3}\,m\right)\right)^{-1/2},}}\]

in cui \omega=\dfrac{2\pi}{T} è la velocità angolare e T il periodo del moto.

4) L’energia totale è

(133)   \begin{equation*} E_T=\dfrac{1}{2}mv^2+\dfrac{1}{2}mv^2+\dfrac{1}{2}mv^2+U_{A,B}+U_{A,C}+U_{B,C}+U_{A,M}+U_{B,M}+U_{C,M} \end{equation*}

dove U_{A,B} è l’energia data dall’interazione tra A e B, U_{A,C} è data dall’interazione tra A e C, e U_{B,C} è data dall’interazione tra B e C. Si osservi che per scrivere la precedente equazione abbiamo sfruttato l’equazione (113). Calcolando le energie potenziali, troviamo

    \[\begin{aligned} E_T&=\dfrac{3}{2}mv^2+U_{A,B}+U_{A,C}+U_{B,C}+U_{A,M}+U_{B,M}+U_{C,M}=\\ &=-\dfrac{3\,m^2G}{2\sqrt{3}\,R}-\dfrac{3\,m\,M\,G}{2R}=\\ &=-\dfrac{3\,m\,G}{2R}\left(\dfrac{m}{\sqrt{3}}+M\right), \end{aligned}\]

in conclusione

    \[\boxcolorato{fisica}{E_T=-\dfrac{3\,m\,G}{2R}\left(\dfrac{m}{\sqrt{3}}+M\right).}\]

   


  1. Si definisce corpo celeste un’entità fisica naturale osservata nell’Universo, una struttura unitaria tenuta insieme dalla forza di gravità.

Energia potenziale di una massa sferica omogenea.

Consideriamo un numero infinito di masse infinitesime dm e portiamole dall’infinito ad una distanza l’una dall’altra in modo da creare una sfera di raggio R e massa m, tale per cui la massa sia distribuita in modo omogeneo su tutto il suo volume. Inoltre, sia \rho la densità di massa volumetrica, tale che \rho=m/\tau, con \tau volume della sfera. La sfera perturberà lo spazio con un campo gravitazionale \vec{g}, in ogni punto dello spazio. In altri termini, la sfera è una sorgente di campo gravitazionale \vec{g}. Per calcolare il campo gravitazionale \vec{g} prodotto dalla sfera di massa m omogenea, consideriamo una sfera ausiliaria di raggio generico r \leq R. Tale sfera ausiliaria corrisponde ad una porzione del corpo sferico contenente tutti i punti che hanno distanza minore o uguale a r dal suo centro se r<R e alla sfera originale se r=R. La sua massa può essere trovata moltiplicando la densità per il volume della sfera e vale

(134)   \begin{equation*} m=\dfrac{4}{3}\,\pi\,r^3\,\rho. \end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 27: sfera di raggio r con massa m omogeneamente distribuita.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Successivamente, consideriamo un guscio sferico di massa dm e spessore dr all’interno del corpo sferico originale, situato in modo da circondare la sfera ausiliaria di raggio r. Inoltre, costruiamo il guscio sferico in maniera tale che la sua densità sia uniforme e pari a \rho.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 28: guscio sferico di spessore dr e massa dm concentrico alla sfera di raggio r.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Poiché il volume di un guscio sferico di raggio dr è dato dalla differenza del volume della sfera di raggio r+dr e della sfera di raggio r, si ha

(135)   \begin{equation*} dm=\rho\,d\tau=\rho\,\dfrac{4}{3}\,\pi\left((r+dr)^3-r^3\right)\approx\dfrac{4}{3}\,\pi\,(3\,r^2\,dr)\rho=4\,\pi\,r^2\,dr\,\rho, \end{equation*}

dove si sono trascurati i termini di ordine superiore ad r^2dr. Dunque, l’elemento infinitesimo di energia potenziale dovuto all’interazione gravitazionale tra la sfera ausiliaria di raggio r e il guscio sferico di spessore dr è dato da

(136)   \begin{equation*} dE_p(r)=-G\,\dfrac{m(r)\,dm}{r}, \end{equation*}

dove r è la distanza tra dm e il centro della circonferenza. Sfruttando l’equazione (135), abbiamo

    \[\begin{aligned} dE_p(r)&=-G\dfrac{m(r)\,dm}{r}=-G\,\left(\dfrac{4}{3}\,\pi\,r^3\,\rho\right)\left(\dfrac{1}{r}\right)\,4\pi\,r^2\,\rho\,dr=\\ &=-G\,\dfrac{16\,\pi^2}{3}\rho^2\,r^4\,dr. \end{aligned}\]

L’energia di una sfera di raggio R e massa M, pensata come unione di gusci sferici con raggio crescente, si ottiene integrando dE_{p}(r) su r tra 0 e R:

    \[\begin{aligned} E_p&=\int_0^R dE_{p}(r)dr=-\dfrac{16}{3}\pi^2G\left(\dfrac{M}{\dfrac{4}{3}\pi\,R^3}\right)^2\int_0^Rr^4\,dr=\\[6pt] &=-\dfrac{16}{3}\pi^2G\dfrac{9M^2}{16\pi^2R^6}\dfrac{R^5}{5}. \end{aligned}\]

In definitiva

(137)   \begin{equation*} \boxcolorato{fisica}{E_p=-\dfrac{3G\,M^2}{5R}.} \end{equation*}

Il risultato appena ottenuto rappresenta l’energia immagazzinata nella sfera di massa M e raggio R a seguito dell’azione della forza gravitazionale. Il lavoro compiuto dalla forza gravitazionale per costruire tale configurazione è uguale a E_{\text{p,in}}-E_{\text{p,fin}} in cui E_{\text{p,in}}=0, poiché le masse erano inizialmente a distanza infinita, e E_{\text{p,fin}}=E_p. Dunque

(138)   \begin{equation*} W=-E_p=\dfrac{3G\,M^2}{5R}. \end{equation*}

Si osservi che, in accordo col fatto che la forza gravitazionale è conservativa, il lavoro non dipende da come avviene il processo ma dipende solo dallo stato iniziale e finale del processo.

Notiamo che passando al limite per R\rightarrow 0 nella formula (137) otteniamo un’energia divergente; tale risultato esprime che in fisica classica una massa puntiforme non ha significato.


Determinazione della traiettoria.

Si ricordi che una conica è una curva piana definita come luogo geometrico dei punti per cui il rapporto tra la distanza da un punto fisso F chiamato fuoco e la distanza minima da una retta detta direttrice è costante. Chiamiamo tale costante eccentricità e la indichiamo con il simbolo \varepsilon. Si consideri figura 29, dove d è la distanza tra il punto fisso F e la direttrice, P è un generico punto della conica, Q la sua proiezione sulla direttrice, \theta è l’angolo formato tra la perpendicolare alla direttrice e r, dove r è il segmento che congiunge F e P mentre d^*=d+r\cos\theta è la distanza del generico punto P della conica dalla direttrice.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 29: rappresentazione dei parametri geometrici che definiscono una conica.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Applicando la definizione di conica, in riferimento alla figura 29, si ha

(139)   \begin{equation*} \varepsilon=\dfrac{\overline{PF}}{\overline{PQ}}=\dfrac{r}{d+r\cos\theta}, \end{equation*}

con \varepsilon>0, da cui

(140)   \begin{equation*} r-\varepsilon\,r\cos\theta=\varepsilon\,d, \end{equation*}

o anche

(141)   \begin{equation*} \dfrac{r}{\varepsilon\,d}-\dfrac{\varepsilon\,r\,\cos\theta}{\varepsilon\,d}=1. \end{equation*}

Si ottiene infine

(142)   \begin{equation*} r\left(\dfrac{1}{\varepsilon\,d}-\dfrac{\cos\theta}{d}\right)=1, \end{equation*}

cioè

(143)   \begin{equation*} r=\dfrac{\varepsilon\,d}{1-\varepsilon\,\cos\theta}. \end{equation*}

L’ultima equazione rappresenta l’equazione di una conica in coordinate polari. Centrando un sistema cartesiano in F con asse x ortogonale alla direttrice e asse y parallela ad essa, si nota che r e \theta corrispondano alla descrizione del vettore \overline{FP} in coordinate polari. Da definizione, si ha

(144)   \begin{equation*} \begin{cases} x=r\,\cos\theta\\ y=r\,\sin\theta, \end{cases} \end{equation*}

da cui

(145)   \begin{equation*} \begin{cases} \tan\theta=\dfrac{y}{x}\\[8pt] x=r\cos\theta\\[8pt] r=\sqrt{x^2+y^2}. \end{cases} \end{equation*}

Sfruttando i risultati pervenuti nel sistema (144) è possibile riscrivere l’equazione (143) come segue

(146)   \begin{equation*} r-\varepsilon\,r\,\cos\theta=\varepsilon\,d \qquad \Rightarrow \qquad \sqrt{x^2+y^2}-\varepsilon\,x=\varepsilon\,d; \end{equation*}

e, elevando al quadrato, otteniamo

(147)   \begin{equation*} \begin{aligned} x^2+y^2=\varepsilon^2x^2+\varepsilon^2d^2+2\varepsilon^2x\,d \quad  \Rightarrow \quad x^2(1-\varepsilon^2)-2\,\varepsilon^2\,x\,d+y^2=\varepsilon^2d^2. \end{aligned} \end{equation*}

Se \varepsilon\neq 1, è possibile riscrivere la precedente equazione, sommando e sottraendo la quantità \dfrac{\varepsilon^4d^2}{1-\varepsilon^2}, come

(148)   \begin{equation*} x^2(1-\varepsilon^2)-2\varepsilon^2x\,d+\dfrac{\varepsilon^4d^2}{1-\varepsilon^2}-\dfrac{\varepsilon^4d^2}{1-\varepsilon^2}+y^2=\varepsilon^2d^2. \end{equation*}

Notiamo che

(149)   \begin{equation*} x^2(1-\varepsilon^2)-2\,\varepsilon^2x\,d+\dfrac{d^2\varepsilon^4}{1-\varepsilon^2}=\left(x\sqrt{1-\varepsilon^2}-\dfrac{\varepsilon^2d}{\sqrt{1-\varepsilon^2}}\right)^2, \end{equation*}

o anche

(150)   \begin{equation*} x^2(1-\varepsilon^2)-2\,\varepsilon^2x\,d+\dfrac{d^2\varepsilon^4}{1-\varepsilon^2}=(1-\varepsilon^2)\left(x-\dfrac{\varepsilon^2d}{1-\varepsilon^2}\right)^2. \end{equation*}

Dunque, sfruttando quanto ottenuto e sostituendo nell’equazione (148) si ottiene

(151)   \begin{equation*} \begin{aligned} & (1-\varepsilon^2)\left(x-\dfrac{\varepsilon^2d}{1-\varepsilon^2}\right)^2-\dfrac{d^2\varepsilon^4}{1-\varepsilon^2}+y^2=\varepsilon^2d^2 \implies \\ \implies & \dfrac{(1-\varepsilon^2)^2}{\varepsilon^2d^2}\left(x-\dfrac{\varepsilon^2d}{1-\varepsilon^2}\right)^2+\dfrac{1-\varepsilon^2}{\varepsilon^2d^2}\,y^2=1. \end{aligned} \end{equation*}

Quando 0<\varepsilon<1 l’equazione (151) descrive una classe di ellissi al variare di \epsilon mentre quando \varepsilon>1 essa descrive una classe di iperboli al variare del parametro \epsilon. Per \varepsilon=1 si ha una parabola, infatti per l’equazione (147):

(152)   \begin{equation*} \begin{split} x^2+y^2=x^2+d^2+2\,x\,d &\quad \Rightarrow \quad \\ &\quad \Rightarrow \quad y^2-d^2=2\,x\,d\quad \Rightarrow \quad \\ &\quad \Rightarrow \quad x=\dfrac{1}{2\,d}(y^2-d^2)=\dfrac{y^2}{2\,d}-\dfrac{d}{2}. \end{split} \end{equation*}

Il risultato ottenuto può essere interpretato come il moto di un corpo che si muove lungo una traiettoria curvilinea. Infatti, in generale, un qualsiasi corpo soggetto ad una forza centrale, si muove lungo una traiettoria curvilinea rispetto ad un punto fisso, da cui deduciamo che tale traiettoria, come dimostrato, può essere un’ellisse, un’iperbole, o una parabola.

Ricordiamo l’equazione dell’ellisse con centro nel punto di coordinate cartesiane x_c e y_c

(153)   \begin{equation*} \dfrac{(x-x_c)^2}{a^2}+\dfrac{(y-y_c)^2}{b^2}=1, \end{equation*}

in cui a e b sono le lunghezze dei semiassi. Le lunghezze dei semiassi si ottiengono per confronto con l’equazione (151) (ricordando che 0 < \epsilon < 1)

(154)   \begin{equation*} \begin{cases} \dfrac{1}{a^2}=\dfrac{(1-\varepsilon^2)^2}{\varepsilon^2d^2}\\[10pt] \dfrac{1}{b^2}=\dfrac{1-\varepsilon^2}{\varepsilon^2d^2}\\[10pt] 0<\varepsilon<1,\\ \end{cases} \quad \Rightarrow \quad \begin{cases} a=\dfrac{\varepsilon\,d}{1-\varepsilon^2}\\[10pt] b=\dfrac{\varepsilon\,d}{\sqrt{1-\varepsilon^2}}=\dfrac{\varepsilon\,d\,\sqrt{1-\varepsilon^2}}{1-\varepsilon^2}=a\sqrt{1-\varepsilon^2}\\[10pt] 0<\varepsilon<1.\\ \end{cases} \end{equation*}

mentre il centro risulta essere nel punto di coordinate cartesiane x_c=\dfrac{\varepsilon^2d}{1-\varepsilon^2} e y_c=0.

Analogamente, ricordiamo l’equazione di un’iperbole con centro nel punto di coordinate cartesiane x_c e y_c

(155)   \begin{equation*} \dfrac{(x-x_c)^2}{a^2}-\dfrac{(y-y_c)^2}{b^2}=1, \end{equation*}

in cui a e b sono le lunghezze dei semiassi. Le lunghezze dei semiassi si ottiengono per confronto con l’equazione (151) (ricordando che ora \epsilon > 1)

(156)   \begin{equation*} \begin{cases} \dfrac{1}{a^2}=\dfrac{(1-\varepsilon^2)^2}{\varepsilon^2d^2}\\[10pt] \dfrac{1}{b^2}=\dfrac{\varepsilon^2-1}{\varepsilon^2d^2}\\[10pt] \varepsilon>1,\\ \end{cases} \quad \Rightarrow \quad \begin{cases} a=\dfrac{\varepsilon\,d}{1-\varepsilon^2}\\[10pt] b=\dfrac{\varepsilon\,d}{\sqrt{\varepsilon^2-1}}=\dfrac{\varepsilon\,d\,\sqrt{\varepsilon^2-1}}{\varepsilon^2-1}=a\sqrt{\varepsilon^2-1}\\[10pt] \varepsilon>1.\\ \end{cases} \end{equation*}

con centro nel punto di coordinate cartesiane x_c=\dfrac{\varepsilon^2d}{1-\varepsilon^2} e y_c=0.

Nel caso della parabola, la cui equazione è x=ay^2+by+c, dal confronto con l’equazione 152 si ottiene

(157)   \begin{equation*} \begin{cases} a=\dfrac{1}{2d}\\[10pt] b=0\\[10pt] c=-\dfrac{d}{2}\\[10pt] \varepsilon=1,\\ \end{cases}  \end{equation*}

Riprendiamo la formula in (143), ovvero l’equazione di una conica in coordinate polari

(158)   \begin{equation*} r=\dfrac{\varepsilon\,d}{1-\varepsilon\,\cos\theta}. \end{equation*}

Quello che si vuole fare è generalizzare tale formula, nel caso generale in cui la direttrice formi un angolo \theta_0 con la verticale.

Riprendiamo la situazione descritta in figura 29 e ruotiamo la direttrice di un angolo \theta_0 con la verticale, in altri termini in modo che la direttrice formi un angolo di \dfrac{\pi}{2}-\theta_0 con l’orizzontale.

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    \[\quad\]

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Figura 30: rappresentazione dei parametri geometrici che definiscono una conica nel caso in cui la direttrice formi un angolo \theta_0 con la verticale.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Si ha

    \[\begin{aligned} \tilde{r}=r\,\sin\,\alpha&=r\,\sin\left(\pi-\left(\theta+\dfrac{\pi}{2}-\theta_0\right)\right)=\\ &=r\,\sin\left(\dfrac{\pi}{2}-\theta+\theta_0\right)=\\ &=r\,\cos\left(\theta-\theta_0\right) \end{aligned}\]

da cui

(159)   \begin{equation*} \varepsilon=\dfrac{\overline{FP}}{\overline{PQ}}=\dfrac{r}{d+\tilde{r}}=\dfrac{r}{d+r\,\cos(\theta-\theta_0)}, \end{equation*}

cioè

(160)   \begin{equation*} \varepsilon=\dfrac{r}{d+r\,\cos(\theta-\theta_0)}, \end{equation*}

ovvero

(161)   \begin{equation*} \varepsilon\,d+\varepsilon\,r\,\cos(\theta-\theta_0)=r, \end{equation*}

conseguentemente

(162)   \begin{equation*} -\varepsilon\,d=r(\varepsilon\,\cos(\theta-\theta_0)-1), \end{equation*}

infine

(163)   \begin{equation*} r=\dfrac{\varepsilon\,d}{1-\varepsilon\,\cos(\theta-\theta_0)}, \end{equation*}

che rappresenta l’espressione più generale possibile per una conica su un piano.


Problema dei due corpi.

Nel seguito, studieremo il moto di due corpi soggetti alla reciproca interazione gravitazionale. Assumeremo che i corpi abbiano dimensione trascurabile rispetto alla loro distanza, e che le loro masse siano m_1 e m_2. Scelto un sistema di riferimento inerziale Oxy dal quale si osservano i due corpi, per la seconda legge della dinamica possiamo scrivere quanto segue

(164)   \begin{equation*} \begin{cases} m_1\,\dfrac{d^2\vec{r}_1}{dt^2}=G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r}\\[10pt] m_2\,\dfrac{d^2\vec{r}_2}{dt^2}=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r},\\ \end{cases} \end{equation*}

dove \vec{r_1} e \vec{r}_2 sono rispettivamente la distanza di m_1 e m_2 da O. Nella figura 31 rappresentiamo il sistema di riferimento scelto Oxy e il centro di massa del sistema dei due corpi.

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Figura 31: rappresentazione di due corpi di massa m_1 ed m_2 ed il centro di massa in un sistema di riferimento Oxy.

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    \[\quad\]

Applicando il metodo del parallelogramma, come rappresentato nella ove \vec{r_1} e \vec{r}_2 sono rispettivamente la distanza di m_1 e m_2 da O. Nella figura 32 si vede che \vec{r}_2-\vec{r}_1=\vec{r}.

    \[\quad\]

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Figura 32: applicazione della regola dal parallelogramma per calcolare \vec{r}_2-\vec{r}_1.

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    \[\quad\]

Riscriviamo il sistema (164) come segue

(165)   \begin{equation*} \begin{cases} \dfrac{d^2\vec{r}_1}{dt^2}=G\,\dfrac{m_1\,m_2}{m_1\,r^2}\,\hat{r}\\[10pt] \dfrac{d^2\vec{r}_2}{dt^2}=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{m_2\,r^2}\,\hat{r},\\ \end{cases} \end{equation*}

Sottraendo membro a membro, i termini della seconda equazione e prima equazione del sistema (165) si ottiene

(166)   \begin{equation*} -\dfrac{d^2\vec{r}_1}{dt^2}+\dfrac{d^2\vec{r}_2}{dt^2}=\left(-G\dfrac{m_1\,m_2}{m_2\,r^2}-G\dfrac{m_1\,m_2}{m_1\,r^2}\right)\,\hat{r}, \end{equation*}

o anche

(167)   \begin{equation*} \dfrac{d^2(-\vec{r}_1+\vec{r}_2)}{dt^2}=-G\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\left(\dfrac{1}{m_1}+\dfrac{1}{m_2}\right)\hat{r}. \end{equation*}

Definendo massa ridotta la quantità \mu tale per cui valga

(168)   \begin{equation*} \dfrac{1}{\mu}=\dfrac{1}{m_1}+\dfrac{1}{m_2}, \end{equation*}

è possibile riscrivere la precedente relazione nel modo che segue

(169)   \begin{equation*} \dfrac{d^2\vec{r}}{dt^2}=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{\mu\,r^2}\,\hat{r} \end{equation*}

oppure

(170)   \begin{equation*} \mu\,\dfrac{d^2\vec{r}}{dt^2}=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r}. \end{equation*}

Si osservi che abbiamo ricondotto il problema dei due corpi a quello di un solo corpo di massa \mu in cui la massa ridotta è l’effettiva massa inerziale nel problema dei due corpi. In altri termini, dal punto di vista fisico-matematico, il problema (165) di due corpi m_1 e m_2 sogetti a una forza27 e il problema (170) di un corpo di massa \mu sogetto alla medesima forza sono del tutto equivalenti28. Osserviamo dall’equazione (170) che la massa \mu è soggetta ad una forza centrale del tipo -G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r}, pertanto, si conserva il momento angolare di tale forza rispetto al polo O, da cui deduciamo che il moto della massa \mu avviene in un piano fisso. L’equazione (170) può essere riscritta in modo differente applicando la formula di Binet, ovvero l’equazione (??). Sia L il momento angolare della forza -G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r}; abbiamo dunque

(171)   \begin{equation*} \mu\dfrac{d^2r}{dt^2}=\mu\,\left(-\dfrac{L^2}{\mu^2r^2}\right)\,\left[\dfrac{d^2}{d\theta^2}\,\left(\dfrac{1}{r}\right)+\dfrac{1}{r}\right]\,\hat{r}=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r}, \end{equation*}

da cui

(172)   \begin{equation*} \dfrac{\mu\,L^2}{\mu^2r^2}\left[\dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right)+\dfrac{1}{r}\right]=G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}, \end{equation*}

cioè

(173)   \begin{equation*} \dfrac{d^2}{d\theta^2}\left(\dfrac{1}{r}\right)+\dfrac{1}{r}=\mu\,G\dfrac{m_1\,m_2}{L^2}. \end{equation*}

L’equazione (173) è della forma

(174)   \begin{equation*} y''+y=\text{costante}, \end{equation*}

in cui y=\dfrac{1}{r} e le derivate sono rispetto a \theta. Nella sezione seguente sono presentati alcuni richiami teorici utili alla risoluzione dell’equazione (173) e quindi dell’equazione (174).

Richiami teorici: soluzione delle equazioni differenziali ordinarie del secondo ordine, lineari, non omogenee a coefficienti costanti.

Consideriamo un’equazione differenziale nella forma

(175)   \begin{equation*} 			\alpha y''+\beta y'+\gamma y=g(t), 			\end{equation*}

dove a, b e c sono delle costanti e g(t) è una generica funzione. L’equazione (175) può sempre essere ricondotta29 all’equazione

(176)   \begin{equation*}     y''+ay'+by=f(t) \end{equation*}

in cui a=\dfrac{\beta}{\alpha} e b=\dfrac{\gamma}{\alpha} sono coefficienti costanti mentre f(t)=\dfrac{g(t)}{\alpha}. Concentriamoci quindi sulla risoluzione dell’equazione differenziale (176); tale equazione è detta equazione differenziale del secondo ordine, lineare, non omogenea a coefficienti costanti. La soluzione di (176) è della forma

(177)   \begin{equation*} y(t)=y_0(t)+y_p(t), \end{equation*}

dove y_0(t) è la soluzione dell’equazione omogenea associata, ossia y''+ay'+b=0, e y_p(t) è detta soluzione particolare dell’equazione originale. La risoluzione dell’equazione omogenea associata consiste nel cercare una soluzione del tipo y_0(t)=e^{\lambda t} con \lambda generico numero complesso da determinare. Sostituendo tale espressione nella equazione omogenea, derivando e mettendo in evidenza e^{\lambda x} si ottiene

(178)   \begin{equation*}     e^{\lambda x}\left(\lambda ^{2}+a\lambda +b\right)=0; \end{equation*}

poiché l’esponenziale non si annulla mai, tale equazione si annulla se e solo se

(179)   \begin{equation*}     \lambda ^{2}+a\lambda +b=0. \end{equation*}

Equazione (179) è chiamata equazione caretteristica dell’equazione differenziale omogenea. Se le radici dell’equazione caratteristica sono reali e distinte, ovvero \lambda _{1}\neq \lambda _{2}\in \mathbb {R}, allora la soluzione è della forma

(180)   \begin{equation*}      y_0(t)=c_{1}e^{\lambda _{1}t}+c_{2}e^{\lambda _{2}t}; \end{equation*}

se sono reali e coincidenti, ovvero \lambda _{1}=\lambda _{2}, allora la soluzione è della forma

(181)   \begin{equation*}     y_0(t)=\left(c_{1}+c_{2} t\right)e^{\lambda _{1}t}, \end{equation*}

mentre se sono complesse e coniugate, ovvero \lambda _{1,2}=\rho \pm i\mu\in \mathbb {C}, allora la soluzione è della forma:

(182)   \begin{equation*}     y_0(t)=e^{\rho t}\left(c_{1}\cos \mu t+c_{2}\sin \mu t\right). \end{equation*}

Per quanto riguarda la soluzione particolare y_p(t) è, in generale, una buona idea provare con una soluzione particolare della stessa forma di f(t) ma dipendente da un parametro e determinare tale parametro. Ovviamente, esistono vari metodi sistematici che consentono la sua determinazione come, ad esempio, il metodo della variazione delle costanti o il metodo della somiglianza [4], [13].

L’equazione caratteristica dell’equazione (174) è

(183)   \begin{equation*} \lambda^2+1=0 \end{equation*}

che ha come soluzioni

(184)   \begin{equation*} \lambda=\pm i, \end{equation*}

dove i è l’unità immaginaria; la soluzione dell’equazione omogenea associata è

(185)   \begin{equation*} y_0(\theta)=c_1\,\cos(\theta)+c_2\,\sin(\theta). \end{equation*}

Per quanto riguarda la soluzione particolare, proviamo con y_p(\theta)=A, dove A è una costante da determinare. Derivando due volte y_p(\theta) si trova y_0''(0)=0 e sostituendo nella (173) si ottiene A=\mu\,G\,\dfrac{m_1\,m_2}{L^2}. La soluzione dell’equazione è data dalla somma della soluzione dell’equazione caratteristica e quella particolare, ovvero

(186)   \begin{equation*} y(\theta)=y_0(\theta)+y_p(\theta)=c_1\,\cos(\theta)+c_2\,\sin(\theta)+\mu\,G\,\dfrac{m_1\,m_2}{L^2}. \end{equation*}

Pertanto la soluzione è

(187)   \begin{equation*} \dfrac{1}{r}=c_1\,\cos(\theta)+c_2\,\sin(\theta)+\mu\,G\,\dfrac{m_1\,m_2}{L^2}. \end{equation*}

Nella sezione precedente abbiamo dimostrato che il moto di una particella in un campo gravitazionale è descritto nel caso più generale possibile dall’equazione delle coniche (163). Questo vale anche per la particella di massa efficace \mu trattata in questo paragrafo. Possiamo quindi sfruttare la (163) per trovare i valori dei parametri liberi c_1 e c_2 della soluzione (187). Mettiamo quindi a sistema l’equazione (163) e l’equazione (187), cioè

(188)   \begin{equation*} \begin{cases} &\dfrac{1}{r}=-\dfrac{\cos(\theta-\theta_0)}{d}+\dfrac{1}{\varepsilon\,d}\\[10pt] &\dfrac{1}{r}=c_1\,\cos(\theta)+c_2\,\sin(\theta)+\mu\,G\,\dfrac{m_1\,m_2}{L^2}, \end{cases} \end{equation*}

da cui

(189)   \begin{equation*} c_1\,\cos(\theta)+c_2\,\sin(\theta)+\mu\,G\,\dfrac{m_1\,m_2}{L^2}=-\dfrac{\cos(\theta-\theta_0)}{d}+\dfrac{1}{\varepsilon\,d}, \end{equation*}

o anche

(190)   \begin{equation*} c_1\,\cos(\theta)+c_2\,\sin(\theta)+\mu\,G\,\dfrac{m_1\,m_2}{L^2}=-\dfrac{\cos \theta_0}{d}\,\cos\theta-\dfrac{\sin\,\theta_0}{d}\,\sin\,\theta+\dfrac{1}{\varepsilon\,d}, \end{equation*}

e quindi

(191)   \begin{equation*} \begin{cases} &c_1=-\dfrac{\cos\,\theta_0}{d}\\[10pt] &c_2=-\dfrac{\sin\,\theta_0}{d}\\[10pt] &\mu\,G\,\dfrac{m_1\,m_2}{L^2}=\dfrac{1}{\varepsilon\,d}. \end{cases} \end{equation*}

In altri termini, \mu può muoversi di moto parabolico, ellittico o iperbolico rispetto a O.

Osserviamo che non sono presenti forze esterne nel sistema fisico composto delle due masse, pertanto il sistema è isolato. Segue che il centro di massa delle due masse si muove di moto rettilineo uniforme o rimane in quiete. È chiaro che il moto del sistema è determinato esclusivamente dalle condizioni iniziali che hanno le due masse, ovvero se il sistema all’istante iniziale è in quiete il centro di massa rimane in quiete per ogni istante t>0 rispetto al sistema di riferimento inerziale, altrimenti si muove di moto rettilineo uniforme.

Senza perdita di generalità assumiamo che il centro di massa CM sia in quiete per t=0 rispetto al sistema di riferimento inerziale Oxy, tale che \text{CM}\equiv O, come rappresentato nella figura 33.

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    \[\quad\]

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Figura 33: sistema di due corpi di massa m_{1} e m_{2} in un sistema di riferimento Oxy in cui l’origine coincide con il centro di massa.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Sappiamo che

(192)   \begin{equation*} \begin{cases} \dfrac{d^2\vec{r}_1}{dt^2}=G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r}\\[10pt] \dfrac{d^2\vec{r}_2}{dt^2}=-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r},\\ \end{cases} \end{equation*}

in cui \hat{r} è il versore nella direzione della conguingente tra i due corpi il cui verso è dal corpo m_1 al corpo m_2. In tale sistema di riferimento vale che

(193)   \begin{equation*} \begin{cases} m_1\,\vec{r}_1+m_2\,\vec{r}_2=0\\ \vec{r}_2-\vec{r}_1=\vec{r}. \end{cases} \end{equation*}

Risolvendo rispetto a \vec{r}_1 e \vec{r}_2, si ottiene

(194)   \begin{equation*} \begin{cases} \vec{r}_1=-\dfrac{m_2\,\vec{r}}{m_1+m_2}\\[10pt] \vec{r}_2=\dfrac{m_1\,\vec{r}}{m_1+m_2}.\\ \end{cases} \end{equation*}

Osserviamo che \vec{r}_1 e \vec{r}_2 dipendono da \vec{r}, pertanto deduciamo che anche \vec{r}_1 e \vec{r}_2 descrivono un’orbita conica; in altri termini, scelto un sistema di riferimento solidale con il centro di massa, da tale sistema si vede che i corpi m_1 e m_2 descrivono un’orbita conica.

Di seguito alcune osservazioni. Considerando la terza equazione del sistema (191) si ha che

(195)   \begin{equation*} \dfrac{1}{\varepsilon\,d}=\dfrac{\mu\,G\,m_1\,m_2}{L^2}, \end{equation*}

cioè L^2=\mu\,G\,m_1\,m_2\,\varepsilon\,d, ovvero il momento angolare della forza -G\dfrac{m_1\,m_2}{r^2}\,\hat{r}. L’energia totale del sistema composto dalle due masse è

(196)   \begin{equation*} E_T=\dfrac{1}{2}\,m_1\,v_1^2+\dfrac{1}{2}\,m_2\,v_2^2-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r}, \end{equation*}

dove \vec{v}_1 e \vec{v}_2 sono le velocità rispetto al sistema di riferimento inerziale. Si osservi quanto segue. Siccome il moto dei due corpi m_1 e m_2 può essere ricondotto a quello di un corpo di massa \mu, allora l’energia cinetica del sistema delle due masse è equivalente a quello della sola massa \mu avente velocità \vec{v} data dall’equazione

(197)   \begin{equation*} \dfrac{1}{2}\,m_1\,v_1^2+\dfrac{1}{2}\,m_2\,v_2^2=\dfrac{1}{2}\,\mu\,v^2, \end{equation*}

in cui v è il modulo della velocità rispetto al sistema di riferimento inerziale con cui la massa efficace \mu si muove lungo la conica. Dimostriamo l’equazione (197). Sfruttando il sistema (193), si ha

(198)   \begin{equation*} \vec{r}=\vec{r}_2\left(1+\dfrac{m_2}{m_1}\right), \end{equation*}

da cui, derivando ambo i membri della precedente equazione, si ottiene

(199)   \begin{equation*} \dfrac{d\vec{r}}{dt}=\dfrac{d\vec{r}_2}{dt}\,\left(\dfrac{m_1+m_2}{m_1}\right), \end{equation*}

da cui

(200)   \begin{equation*} \left| \dfrac{d\vec{r}}{dt}\right|=\left| \dfrac{d\vec{r}_2}{dt}\right|\,\left(\dfrac{m_1+m_2}{m_1}\right), \end{equation*}

dove \left| \dfrac{d\vec{r}}{dt}\right|=v e \left|\dfrac{d\vec{r}_2}{dt}\right|=v_2. Ricordando che \mu=\dfrac{m_1+m_2}{m_1m_2} e quanto ottenuto nell’equazione (200), si ha

(201)   \begin{equation*} \dfrac{1}{2}\,\mu\,v^2=\dfrac{1}{2}\,\dfrac{m_1\,m_2}{m_1+m_2} \dfrac{(m_1+m_2)^2}{m_1^2}v_2^2=\dfrac{1}{2}\,\dfrac{m_2}{m_1}\,(m_1+m_2)\,v_2^2. \end{equation*}

Dalla prima equazione del sistema (193), abbiamo

(202)   \begin{equation*} m_1\,\dfrac{d\vec{r}_1}{dt}=-m_2\,\dfrac{d\vec{r}_2}{dt}, \end{equation*}

da cui

(203)   \begin{equation*} m_1\,\left|\dfrac{d\vec{r}_1}{dt}\right|=m_2\,\left|\dfrac{d\vec{r}_2}{dt}\right|, \end{equation*}

o anche

(204)   \begin{equation*} m_1\,v_1=m_2\,v_2, \end{equation*}

cioè

(205)   \begin{equation*} v_2=\dfrac{m_1}{m_2}\,v_1. \end{equation*}

Sfruttando quanto ottenuto si ha

(206)   \begin{equation*} \begin{split} \dfrac{1}{2}\,m_1\,v_1^2+\dfrac{1}{2}\,m_2\,v_2^2&=\dfrac{1}{2}\,m_1\,\dfrac{m_2^2}{m_1^2}\,v_2^2+\dfrac{1}{2}m_2\,v_2^2=\\[10pt] &=\dfrac{1}{2}\,m_2\,v_2^2\,\left(\dfrac{m_2+m_1}{m_1}\right)=\\[10pt] &=\dfrac{1}{2}\,\dfrac{m_2}{m_1}\,(m_1+m_2)\,v_2^2. \end{split} \end{equation*}

Confrontando le equazioni (201) e (206) si ottiene la relazione (197), come volevasi dimostrare. Da quanto ottenuto, deduciamo che l’energia totale del sistema delle due masse può essere riscritta come

(207)   \begin{equation*} E_T=\dfrac{1}{2}\,\mu\,v^2-G\dfrac{m_1\,m_2}{r}. \end{equation*}

Ricordando che la velocità in coordinate polari è

(208)   \begin{equation*} \vec{v}=\dfrac{d\vec{r}}{dt}=\dfrac{dr}{dt}\,\hat{r}+r\,\dfrac{d\theta}{dt}\,\hat{\theta}, \end{equation*}

è possibile riscrivere l’energia totale come

(209)   \begin{equation*} E_T=\dfrac{1}{2}\mu\left(\dfrac{dr}{dt}\right)^2+\dfrac{1}{2}\mu\,r^2\left(\dfrac{d\theta}{dt}\right)^2-G\,\dfrac{m_1\,m_2}{r}. \end{equation*}

La massa ridotta si muove in un campo centrale, quindi, il moto avviene in un piano fisso e il momento angolare si conserva, cioè

(210)   \begin{equation*} L=\mu\,r^2\,\dfrac{d\theta}{dt}=\text{costante}. \end{equation*}

Derivando rispetto al tempo ambo i membri dell’equazione (144), si ottiene

(211)   \begin{equation*} -\dfrac{1}{r^2}\,\dfrac{dr}{dt}=\dfrac{1}{d}\,\sin\,\theta\,\dfrac{d\theta}{dt}, \end{equation*}

cioè

(212)   \begin{equation*} \dfrac{dr}{dt}=-\dfrac{r^2}{d}\,\sin\,\theta\,\dfrac{d\theta}{dt}=-\dfrac{\sin\,\theta}{d}\,\dfrac{L}{\mu}, \end{equation*}

dove abbiamo sfruttato l’equazione (210). Inoltre, si ha

(213)   \begin{equation*} \dfrac{d\theta}{dt}=-\dfrac{d}{r^2\sin\,\theta}\dfrac{dr}{dt}=-\dfrac{d}{r^2\sin\theta}\left(-\dfrac{\sin\,\theta}{d}\,\dfrac{L}{\mu}\right)=\dfrac{L}{\mu r^2}. \end{equation*}

Mettendo a sistema le equazioni (209), (212) e (213), si ottiene

    \[\begin{aligned} E_T&=\dfrac{1}{2}\,\mu\,\left(\dfrac{dr}{dt}\right)^2+\dfrac{1}{2}\,\mu\,r^2\left(\dfrac{d\theta}{dt}\right)^2-G\,\dfrac{m_1m_2}{r}=\\[10pt] &=\dfrac{1}{2}\mu\,\dfrac{\sin^2\theta}{d^2}\,\dfrac{L^2}{\mu^2}+\dfrac{1}{2}\,\mu r^2\,\dfrac{L^2}{\mu^2r^4}-G\dfrac{m_1m_2}{r}=\\[10pt] &=\dfrac{1}{2}\,\dfrac{L^2}{\mu\,d^2}\,\sin^2\theta+\dfrac{1}{2}\,\dfrac{L^2}{\mu\,r^2}-G\dfrac{m_1\,m_2}{r}. \end{aligned}\]

Infine, ricordando che L^2=\mu\,G\,m_1m_2\,\varepsilon\,d come si ricava dall’equazione (195), si ha

(214)   \begin{equation*} m_1m_2=\dfrac{L^2}{G\mu\varepsilon d}, \end{equation*}

pertanto

(215)   \begin{equation*} G\dfrac{m_1\,m_2}{r}=\dfrac{L^2}{\mu\,\varepsilon\,d\,r}. \end{equation*}

Dunque, l’energia totale diventa

(216)   \begin{equation*} E_T=\dfrac{1}{2}\,\dfrac{\sin^2\theta L^2}{d^2\,\mu}+\dfrac{1}{2}\,\dfrac{L^2}{\mu\,r^2}-\dfrac{L^2}{\mu\,\varepsilon\,d\,r}. \end{equation*}

Sfruttando nuovamente l’equazione della conica

(217)   \begin{equation*} \dfrac{1}{r}=\dfrac{1}{\varepsilon\,d}-\dfrac{\cos \theta}{d}, \end{equation*}

possiamo dunque riscrivere l’energia totale in funzione dei parametri dell’orbita \varepsilon e d

    \[\begin{aligned} E_T&=L^2\left(\dfrac{1}{2}\,\dfrac{\sin^2\theta}{d^2\mu}+\dfrac{1}{2\mu}\left(\dfrac{1}{\varepsilon\,d}-\dfrac{\cos \theta}{d}\right)^2-\dfrac{1}{\mu\varepsilon\,d}\left(\dfrac{1}{\varepsilon\,d}-\dfrac{\cos \theta}{d}\right)\right)=\\[10pt] &=\dfrac{G\,\mu\,m_1m_2\,\varepsilon\,d}{\mu d^2}\left(\dfrac{\sin^2\theta}{2}+\dfrac{1}{2}\left(\dfrac{1}{\varepsilon}-\cos \theta\right)^2-\dfrac{1}{\varepsilon}\left(\dfrac{1}{\varepsilon}-\cos \theta\right)\right)=\\[10pt] &=\dfrac{G\,m_1m_2\varepsilon}{d}\left(\dfrac{\sin^2\theta}{2}+\dfrac{1}{2}\left(\dfrac{1}{\varepsilon^2}+\cos^2\theta-\dfrac{2}{\varepsilon}\cos \theta\right)-\dfrac{1}{\varepsilon^2}+\dfrac{\cos\theta}{\varepsilon}\right) \end{aligned}\]

da cui, usando l’identità trigonometrica fondamentale \cos^2 \theta=1- \sin^2 \theta, si ottiene

(218)   \begin{equation*} \begin{split} E_T&=\dfrac{G\,m_1m_2\varepsilon}{d}\left(\dfrac{\sin^2\theta}{2}+\dfrac{1}{2}\left(\dfrac{1}{\varepsilon^2}+1-\sin^2\theta-\dfrac{2}{\varepsilon}\cos\theta\right)-\dfrac{1}{\varepsilon^2}+\dfrac{\cos\theta}{\varepsilon}\right)=\\[10pt] &=\dfrac{G\,m_1m_2\varepsilon}{d}\left(\dfrac{\sin^2\theta}{2}+\dfrac{1}{2\varepsilon^2}+\dfrac{1}{2}-\dfrac{\sin^2\theta}{2}-\dfrac{\cos\theta}{\varepsilon}-\dfrac{1}{\varepsilon^2}+\dfrac{\cos\theta}{\varepsilon}\right)=\\[10pt] &=\dfrac{G\,m_1m_2\varepsilon}{d}\left(\dfrac{1}{2}-\dfrac{1}{2\varepsilon^2}\right)=\dfrac{G\,m_1m_2}{2\varepsilon d}\left(\varepsilon^2-1\right). \end{split} \end{equation*}

È possibile dunque ricavare l’energia totale, che è costante perché la forza agente su \mu è conservativa, dai parametri dell’orbita \varepsilon e d. Viceversa, fissati i valori di L ed E, si possono determinare \varepsilon e d. Si osservi che, grazie alla relazione (218) e alle (154), (156) e (157) concludiamo che

    \[\quad\]

  1. \varepsilon>1 \quad \Rightarrow \quad E_T>0 e l’orbita è iperbolica;
  2.  

  3. \varepsilon=1 \quad \Rightarrow \quad E_T=0 e l’orbita è parabolica;
  4.  

  5. 0<\varepsilon<1 \quad \Rightarrow \quad E_T<0 e l’orbita è ellittica.

    \[\quad\]

Dalla seconda legge di Keplero sappiamo che i pianeti si muovono di moto ellittico, pertanto sappiamo che l’energia del sistema pianeta-Sole sarà negativa; quando si considera un sistema come quello composto dal pianeta e dal Sole, si dice che tale sistema è legato. Anche l’orbita di un satellite attorno ad un pianeta è ellittica, pertanto man mano che si muove lungo la sua traiettoria, la sua distanza dal pianeta varia. Ciascuna orbita sarà dunque caratterizzata da due punti che realizzano la massima e la minima distanza tra il satellite e il pianeta; tali punti vengono detti, rispettivamente, apogeo e perigeo:

    \[\quad\]

  • apogeo deriva dal greco apogeios, composto dalle parole apò (lontano) e geo (Terra), e corrisponde al punto più lontano dal pianeta;
  •  

  • perigeo deriva dal greco perigeios, composto dalle parole perì (vicino) e geo (Terra), e corrisponde al punto più vicino dal pianeta.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 34: apogeo e perigeo dell’orbita di un satellite in orbita attorno ad un pianeta.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

La linea immaginaria congiungente il perigeo e l’apogeo si definisce linea degli apsidi.

    \[\quad\]

Nota astronomica: Apogeo e perigeo della Luna. La Luna è l’unico satellite naturale della Terra. Prendiamo come punto di riferimento il centro della Terra e il centro della Luna:

    \[\quad\]

  • l’apogeo lunare, cioè il punto che realizza la massima distanza tra la Terra e la Luna, è situato a circa 405500 km dalla Terra;
  •  

  • il perigeo lunare, cioè il punto che realizza la minima distanza tra la Terra e la Luna, è situato a circa 363300 km dalla Terra.

Approssimativamente, la distanza media Terra-Luna si ottiene dalla media aritmetica tra apogeo e perigeo lunare, ed è pari a circa 384400 km. Stimata in modo corretto la distanza Terra-Luna risulta essere di circa 385000 km [9]

    \[\quad\]

Concentriamoci, quindi, sul caso di orbite ellittiche. Dalla prima equazione delle (154), si ha

(219)   \begin{equation*} \varepsilon\,d=a\,(1-\varepsilon^2), \end{equation*}

da cui, è possibile riscrivere l’equazione (195), come segue

(220)   \begin{equation*} L^2=G\,\mu\,m_1m_2\varepsilon\,d=G\,\mu\,m_1m_2\,a\,(1-\varepsilon^2), \end{equation*}

e la relazione (218), come

(221)   \begin{equation*} E_T=G\dfrac{m_1\,m_2}{2\varepsilon\,d}(\varepsilon^2-1)=G\dfrac{m_1\,m_2}{2\varepsilon\,d}\left(-\dfrac{\varepsilon\,d}{a}\right)=-G\dfrac{m_1\,m_1}{2a}<0. \end{equation*}

Confrontando le equazioni (220) e (221) per L e E_T, si osserva che, fissato un valore di a, al variare di 0<\varepsilon<1, si hanno momenti angolari differenti ma l’energia risulta costante, ovvero, L ed E_T sono tra loro indipendenti.

Nella parte introduttiva abbiamo dimostrato che quando un punto materiale di massa m è soggetto ad una forza centrale, si ha

(222)   \begin{equation*} \dfrac{dA}{dt}=\dfrac{L}{2m}, \end{equation*}

dove dA è l’area infinitesima, L è il momento angolare costante e m la massa del punto materiale. Integrando sul periodo, si ha

(223)   \begin{equation*} A=\dfrac{L}{2m}\,T \end{equation*}

da cui

(224)   \begin{equation*} T=\dfrac{2mA}{L}. \end{equation*}

Consideriamo il caso di un corpo che si muove di moto ellittico. Sappiamo che l’area dell’ellisse descritta dall’orbita di un corpo attorno a un altro corpo celeste è

(225)   \begin{equation*} A=\pi\,a\,b, \end{equation*}

che può essere riscritta come

(226)   \begin{equation*} A=\pi\,a\,b=\pi\,a\,(\sqrt{1-\varepsilon^2}\,a)=\pi\,a^2\sqrt{1-\varepsilon^2}, \end{equation*}

dove abbiamo sfruttato i risultati pervenuti nella prima equazione delle (154). Dunque, sfruttando l’equazione (226) è possibile riscrivere l’equazione (224) come

(227)   \begin{equation*} T=\dfrac{2m}{L}\,\pi\,a^2\sqrt{1-\varepsilon^2}. \end{equation*}

da cui

(228)   \begin{equation*} L=\dfrac{2m}{T}\,\pi\,a^2\sqrt{1-\varepsilon^2} \end{equation*}

La relazione (228) vale per un qualsiasi corpo sottoposto alla forza gravitazionale. Supponiamo ora di valutare la relazione nel caso particolare di una massa efficace \mu derivante dallo studio di un problema a due corpi e inseriamola nell’equazione (220), si ha

(229)   \begin{equation*} \dfrac{4\mu^2}{T^2}\pi^2a^4(1-\varepsilon^2)=G\mu\,m_1m_2a(1-\varepsilon^2) \end{equation*}

da cui

(230)   \begin{equation*} \dfrac{4\mu}{T^2}\pi^2a^3=G\,m_1\,m_2, \end{equation*}

o anche

(231)   \begin{equation*} T^2=\dfrac{4\,\mu\,\pi^2a^3}{G\,m_1m_2}. \end{equation*}

Sfruttando la definizione di massa ridotta è possibile riscrivere l’equazione (231) come segue

    \[\begin{aligned} T^2&=\dfrac{4\mu\pi^2a^3}{G\,m_1m_2}=\dfrac{4\pi^2a^3}{G\,m_1m_2}\left(\dfrac{1}{m_1}+\dfrac{1}{m_2}\right)^{-1}\\[10pt] &=\dfrac{4\pi^2a^3}{G\,m_1m_2}\cdot\dfrac{m_1m_2}{m_1+m_2}=\\[10pt] &=\dfrac{4\pi^2a^3}{G(m_1+m_2)}. \end{aligned}\]

Definendo

(232)   \begin{equation*} k=\dfrac{4\pi^2}{G(m_1+m_2)}, \end{equation*}

si ha

(233)   \begin{equation*} T=k\,a^3, \end{equation*}

ovvero la terza legge di Keplero.

Siano m_1 e m_2 le masse di due corpi celesti. Nell’ipotesi in cui m_1\gg m_2, come nel caso in cui m_1 è la massa del Sole e m_2 la massa di un generico pianeta, si ha che k è

(234)   \begin{equation*} k=\dfrac{4\pi^2}{G(m_1+m_2)}\approx\dfrac{4\pi^2}{G\,m_1}. \end{equation*}

Dunque nell’ipotesi m_1\gg m_2 l’equazione (234) non dipende da m_2 e quindi k è approssimatevamente uguale per tutti i pianeti. La legge di gravitazione universale di Newton è dunque in grado di dimostrare matematicamente le leggi di Keplero ottenute sperimentalmente. Tra le due c’è una relazione biunivoca: partendo dalle leggi di Keplero si dimostra la legge di gravitazione universale, e viceversa. La legge di gravitazione ha validità universale, ed è quindi valida anche per i satelliti di un pianeta. Nel casi di un satellite terrestre artificiale di massa \tilde{m} si ha

(235)   \begin{equation*} k=\dfrac{4\pi^2}{G(m_T+\tilde{m})}\approx\dfrac{4\pi^2}{G\,m_T}\approx9.87\cdot10^{-14}\,\text{s}^2\,\text{m}^{-3}, \end{equation*}

essendo la massa del satellite trascurabile rispetto alla massa terrestre m_T.

    \[\quad\]

Esercizio 3.3  (\bigstar\bigstar\bigstar\largewhitestar\largewhitestar).Ad un certo istante un corpo celeste di massa m si trova ad una distanza R dal centro del Sole e si muove con una velocità che forma un angolo \theta_0=60^{\circ} rispetto alla retta congiungente il corpo con il Sole (si veda la figura 35). L’energia meccanica totale associata a tale corpo è nulla in ogni istante. Si dica che tipo di traiettoria descrive il corpo celeste e si calcoli la minima distanza dal centro del Sole alla quale arriva m.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 35: sistema composto dal Sole e da un corpo celeste di massa m.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Svolgimento. La traiettoria del corpo rispetto al centro del Sole è parabolica dato che l’energia complessiva è nulla in ogni istante. Il corpo celeste è soggetto soltanto alla forza di gravitazione universale, pertanto la sua energia e il suo momento angolare si conservano in ogni istante. Consideriamo l’istante di tempo iniziale in cui il corpo celeste ha una velocità di modulo v_i formante un angolo \theta con la congiungente con il centro del Sole. In tale istante l’energia totale è

(236)   \begin{equation*} E_i=\dfrac{1}{2}mv_i^2-\dfrac{G\,m\,m_S}{R}=0. \end{equation*}

Consideriamo l’istante di tempo in cui il corpo celeste si trova alla distanza minima dal Sole che chiameremo d_{\text{min}}; in tale istante il modulo della velocità è v_f. L’energia totale quando il corpo si trova alla distanza d_{\text{min}} è

(237)   \begin{equation*} E_f=\dfrac{1}{2}v_f^2-\dfrac{G\,m_S\,m}{d_{\text{min}}}. \end{equation*}

Per la conservazione dell’energia si ha

(238)   \begin{equation*} E_i=E_f, \end{equation*}

ovvero

(239)   \begin{equation*} \dfrac{1}{2}mv_i^2-\dfrac{G\,m\,m_S}{R}=\dfrac{1}{2}v_f^2-\dfrac{G\,m_S\,m}{d_{\text{min}}}. \end{equation*}

Quando il corpo si troverà alla distanza minima, starà passando per il vertice della parabola di cui il fuoco è rappresentato dal Sole, e la velocità sarà puramente trasversa, ossia ortogonale alla congiungente che collega il corpo con il sole:

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 36: sistema dei due corpi nel momento in cui il corpo di massa m si trova alla distanza minima d_{\text{min}} dal Sole.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Dunque il momento angolare iniziale sarà

(240)   \begin{equation*} L_i=m\,R\,v_i\,\sin\theta \end{equation*}

e quello finale

(241)   \begin{equation*} L_f=m\,d_{\text{min}}\,v_f, \end{equation*}

poiché la velocità è ortogonale alla congiungente che collega il corpo con il sole, ossia \sin \theta =1. Dalla conservazione del momento angolare L_i=L_f, si ha

(242)   \begin{equation*} m\,R\,v_i\,\sin \theta=m\,d_{\text{min}}\,v_f, \end{equation*}

ovvero

(243)   \begin{equation*} v_i\,R\,\sin \theta=d_{\text{min}}\,v_f. \end{equation*}

Mettendo a sistema le equazioni (236), (237), e (243), si ottiene

(244)   \begin{equation*} \begin{cases} v_i\,R\,\sin \theta=d_{\text{min}}\,v_f\\[10pt] \dfrac{G\,m\,m_S}{R}=\dfrac{1}{2}\,m\,v_i^2\\[10pt] \dfrac{G\,m\,m_S}{d_{\text{min}}}=\dfrac{1}{2}\,m\,v_f^2.\\ \end{cases} \end{equation*}

Dalla seconda equazione del sistema (244) si ricava

(245)   \begin{equation*} v_i=\sqrt{\dfrac{{2\,G\,m_S}}{{R}}}, \end{equation*}

mentre dalla terza equazione si trova che

(246)   \begin{equation*} v_f=\sqrt{\dfrac{{2\,G\,m_S}}{{d_{\text{min}}}}}. \end{equation*}

Inserendo tali espressioni per v_i e v_f nella prima equazione del medesimo sistema, si ottiene

(247)   \begin{equation*} \sqrt{\dfrac{2G\,m_S}{R}}\,R\,\sin \theta=\sqrt{\dfrac{2\,G\,m_S}{d_{\text{min}}}}\,d_{\text{min}}, \end{equation*}

da cui R\,\sin^2 \theta=d_{\text{min}}, ovvero, per \theta=60^{\circ}

    \[\boxcolorato{fisica}{d_{\text{min}}=R\,\sin^2 \theta=\dfrac{3}{4}\,R.}\]

   


  1. Nel nostro caso specifico l’interazione gravitazionale ma tale risultato vale per qualunque forza.
  2.  

    1. È bene tenere a mente due punti importanti. Per prima cosa, al fine di avere una completa equivalenza tra le due descrizioni, è necessario tenere conto, nella descrizione in temini del corpo di massa ridotta, del moto del centro di massa del sistema dei due corpi. Questo perché inizialmente il problema possiede due gradi di libertà (ovvero i due corpi m_1 e m_2) e due gradi di liberta deve avere nella descrizione in termini del corpo di massa ridotta (che sono appunto il corpo \mu e il centro di massa del sistema dei due corpi). Come seconda puntualizzazione, la situazione fisica reale è quella del problema dei due corpi; la descrizione in termini del corpo di massa ridotta e del centro di massa è puramente dovuta a una modellizazzione più conveniente del problema stesso poichè nel caso dei due corpi il moto del centro di massa è uniforme e pertanto contibuisce solo con una costante additiva all’energia del problema. Il problema dei due corpi è quindi ridotto a un problema di singolo corpo.
    2.  

      1. Notare che \alpha deve essere diverso da zero altrimenti l’equazione differenziale è del primo ordine.

Teorema di Gauss.

Consideriamo un certo numero di masse m_1,\,\dots\,,m_n all’interno di una superficie chiusa \Sigma come rappresentato in figura 37.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 37: sistema di n masse all’interno di una superficie chiusa \Sigma.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Il teorema di Gauss afferma che il flusso del campo gravitazionale attraverso una superficie chiusa \Sigma è proporzionale alla somma delle masse in essa contenuta:

    \[\quad\]

Teorema 3.4 (teorema di Gauss). Date n masse dentro una superficie chiusa \Sigma, il flusso totale del campo gravitazionale da esse prodotto attraverso tale superficie è proporzionale alla somma delle masse in essa contenuta, cioè

(248)   \begin{equation*} 			\Phi_{\Sigma}(\vec{g})=-4\pi\,G\sum_{k=1}^n\,m_k. 			\end{equation*}

    \[\quad\]

Prima di procedere alla dimostrazione, è utile richiamare i concetti di flusso di un vettore e di angolo solido. Per definire il flusso consideriamo un campo vettoriale \vec{F}=\vec{F}(x,y,z)=(F_x,F_y,F_z) e una superficie infinitesima d\Sigma, della superficie chiusa \Sigma, come nella figura38. Si definisce flusso del campo vettoriale \vec{F} attraverso d\Sigma la quantità scalare:

(249)   \begin{equation*} d\Phi_{d\Sigma}(\vec{F})=\vec{F}\cdot\hat{n}\,d\Sigma, \end{equation*}

con \hat{n} versore normale alla superficie che assumiamo orientato esternamente per convenzione e il campo vettoriale \vec{F} è calcolato nello stesso punto in cui è applicato \hat{n}.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 38: superficie infinitesima d\Sigma.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Ipotizziamo ora di inserire una massa m all’interno di una superficie chiusa; il flusso del campo gravitazionale \vec{g} generato da m sarebbe dato da:

(250)   \begin{equation*} d\Phi_{d\Sigma}(\vec{g})=-\dfrac{G\,m}{r^2}\,\hat{r}\cdot\hat{n}\,d\Sigma=-\dfrac{G\,m}{r^2}\,\cos \alpha\,d\Sigma=-\dfrac{G\,m}{r^2}\,d\Sigma_n, \end{equation*}

dove \hat{r} è il versore orientato nella direzione del campo gravitazionale, \alpha è l’angolo tra i due versori \hat{r} e \hat{n}, e d\Sigma_n=\cos\,\alpha\,d\Sigma è la proiezione della superficie d\Sigma nella direzione del campo.

Richiami teorici: coordinate sferiche e angolo solido.

Introduciamo l’estensione delle coordinate polari al caso di tre dimensioni: le coordinate sferiche. L’idea è quella di descrivere lo spazio come sfere concentriche di raggio sempre crescente30. Con riferimento alla figura 39, in coordinate sferiche, ogni punto P dello spazio tridimensionale è identificato dalla terna (r,\theta,\phi) in cui r è la distanza radiale dall’origine degli assi del sistema cartesiano Oxyz, \theta è l’angolo polare mentre \phi è l’angolo azimutale.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Figura 39: rappresentazione di un punto in coordinate sferiche.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

La relazione che intercorre tra le coordinate sferiche e le coordinate cartesiane è

(251)   \begin{equation*} {\begin{cases} x=r\sin \theta \,\cos \varphi ,\\ y=r\sin \theta \,\sin \varphi , \\z=r\cos \theta, \end{cases}} \end{equation*}

in cui r \in [0,\infty), \, \theta \in [0,\pi], \, \phi \in [0,2\pi).

Possiamo ora introdurre il concetto di angolo solido pensando ad un’estensione a tre dimensioni dell’angolo piano. Consideriamo il seguente angolo piano \theta, delimitato da due semirette uscenti da O, il centro di un cerchio di raggio r. La lunghezza s di un arco di circonferenza sotteso dai due raggi r che formano un angolo \theta (espresso in radianti) fra loro è definita da

(252)   \begin{equation*} s=r\,\theta \end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 40: angolo piano \theta delimitato da due semirette uscenti da O.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Differenziando la definizione (252) si ottiene, per un arco infinitesimo ds,

(253)   \begin{equation*} ds=r\,d\theta, \end{equation*}

dove d\theta è l’angolo infinitesimo sotteso da ds. La definizione (252) si può estendere anche ad un arco d\tilde{s} formante l’angolo \alpha con ds (vedere Figura 41). Il legame tra le lunghezze degli archi è ds=d\tilde{s}\,\cos \alpha, dove \alpha è l’angolo compreso tra ds e d\tilde{s} definito come l’angolo compreso tra le tangenti agli archi nel punto d’intersezione. Dunque si può esprimere l’angolo infinitesimo d\theta come

(254)   \begin{equation*} d\theta=\dfrac{ds}{r}=\dfrac{d\tilde{s}\,\cos \alpha}{r}. \end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 41: arco d\tilde{s} formante l’angolo \alpha con l’arco ds.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

L’unità di misura dell’angolo piano è il radiante, corrispondente all’angolo per cui s=r. Se s coincide con la lunghezza della circonferenza, 2\pi\,r, l’angolo corrispondente vale 2\pi radianti, che è il valore massimo possibile.

Nel caso tridimensionale, figura 42, consideriamo l’angolo solido infinitesimo d\Omega che è così definito: data una superficie d\Sigma e la sua proiezione d\Sigma_n ortogonale al raggio uscente da un punto O e passante per d\Sigma si chiama angolo solido la quantità

(255)   \begin{equation*} d\Omega=\dfrac{d\Sigma\,\cos\alpha}{r^2}=\dfrac{d\Sigma_n}{r^2}. \end{equation*}

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 42: rappresentazione tridimensionale dell’angolo solido d\Omega in cui \hat{n} è il versore normale (uscente per convenzione) dell’elemento di superficie d\Sigma e \hat{r} il versione radiale uscente.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Per calcolare l’elemento di calotta sferica d\Sigma_n consideriamo il seguente triangolo rettangolo OO'A rettangolo in O', e sia OA=r.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 43: triangolo rettangolo OO'A.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Si noti che O'A=r\,\sin \theta.

Ora spostiamo OA di un angolo infinitesimo d\theta e O'A di un angolo infinitesimo d\phi in maniera tale che le direzioni di questi due spostamenti siano ortogonali. Con riferimento alla figura 44, nello spostare OA, il punto A viene mandato nel punto B mentre, nello spostare O'A, il punto A viene mandato in D. Questo ci consente di costuire, sempre con riferimento alla figura 44, una calotta infinitesima i cui vertici sono i punti A, B, C e D che formano gli archi infinitesimi dAB , dBC , dCD , dDA .

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 44: calotta infinitesima d\Sigma delimitata dagli gli archi infinitesimi dAB , dBC , dCD e dDA .

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Si ha dDA =O'A\,d\phi=r\,\sin \theta d\phi e dAB =r\,d\theta. Ancora con riferimeto alla figura 44, la superficie dell’elemento di calotta sferica d\Sigma delimitato dagli archi infinitesimi dAB , dBC , dCD e dDA può essere approssimata dall’area del rettangolo delimitato da dAB e dDA

    \[\begin{aligned} d\Sigma_n=(d\wideparen{AB})(d\wideparen{DA})&=(r\,d\theta)\,(r\sin\,\theta\,d\varphi)=\\ &=r^2\sin\theta\,d\theta\,d\varphi. \end{aligned}\]

Dunque, come fatto in precedenza, definiamo l’angolo solido

(256)   \begin{equation*} d\Omega=\dfrac{d\Sigma_n}{r^2}=\dfrac{r^2\sin\,\theta\,d\theta\,d\phi}{r^2}=\sin\,\theta\,d\theta\,d\phi. \end{equation*}

La (256) esprime l’angolo solido sotto cui dal punto O si vede il contorno ABCD della superficie d\Sigma_n; risulta che d\Omega non dipende dal raggio. Possiamo dire che l’angolo solido misura la parte di spazio entro un fascio di semirette uscenti da O, così come l’angolo piano dà una misura della parte di piano compresa tra due semirette uscenti da O.

Per calcolare il flusso di \vec{g} dovuto alla massa m all’interno della superficie chiusa \Sigma, occorre integrare l’equazione (250)

(257)   \begin{equation*} d\Phi_{d\Sigma}(\vec{g})=-G\,m\,\sin \theta \,d\theta\,d\phi. \end{equation*}

su tutta la superficie chiusa. In altri termini, occorre calcolare un integrale doppio in cui si fa variare, come da definizione delle coordinate sferiche, l’angolo \theta tra 0 e \pi e l’angolo \phi tra 0 e 2\pi

(258)   \begin{equation*} \Phi_{\Sigma}(\vec{g})=-G\,m\int_0^{\pi}\sin \theta\,d\theta\int_0^{2\pi}d\phi=-G\,m\,2\pi\,(2)=-4\pi G\,m. \end{equation*}

Il risultato appena ottenuto si può generalizzare per n masse, ovvero, come detto in precedenza

(259)   \begin{equation*} \Phi_{\Sigma}(\vec{g})=-4\pi\,G(m_1+\dots+m_n). \end{equation*}

Il flusso del campo vettoriale \vec{g} attraverso una superficie chiusa dipende dalle masse m contenute al suo interno. Se non ci sono masse all’interno della superficie, il flusso risulterà nullo. Estendiamo il ragionamento ad una generica distribuzione di massa distibuita, anche non uniformemente, su di una superficie chiusa S. Si definisce densità superficiale di massa la grandezza

(260)   \begin{equation*} \sigma=\dfrac{dm}{d{S}}. \end{equation*}

Dunque, la massa m si ottiene integrando dm su tutta la superficie {S} sulla quale essa è distribuita:

(261)   \begin{equation*} dm=\sigma\,d{S}\quad \Rightarrow \quad m=\iint_{{S}}\sigma\,d{S}. \end{equation*}

Dalla espressione del flusso (258), sfruttando l’equazione (261) si ha

(262)   \begin{equation*} \Phi_{{\Sigma}}(\vec{g})=-4\pi G\iint_{S}\sigma\,d{S}. \end{equation*}

in cui come superficie gaussiana per la valutazione del flusso è stata scelta una superficie \Sigma che contiene la superficie su cui è distribuita la massa, ossia S \subseteq \Sigma.

Se invece la distibuzione di massa si trova in una regione di spazio di volume non nullo V, definiamo

(263)   \begin{equation*} \rho=\dfrac{dm}{dV} \end{equation*}

come densità volumetrica. Integrando su tutto il volume, la legge di Gauss prende la seguente forma

(264)   \begin{equation*} \Phi_{{\Sigma}}(\vec{g})=-4\pi G\iiint_{V}\rho\,dV, \end{equation*}

come superficie gaussiana per la valutazione del flusso è stata scelta una superficie \Sigma che contiene la regione di spazio V entro cui è distribuita la massa.

Come prime applicazioni del teorema di Gauss possiamo calcolare il campo gravitazionale generato da una distibuzione superficiale di massa distibuita su di una sfera o il campo gravitazionale generato da una distibuzione volumetrica di massa distibuita nella regione di spazio racchiusa da una sfera, ossia distibuita dentro una palla.

Consideriamo una massa m distribuita in modo uniforme su una superficie sferica di raggio R, superficie S e con densità costante \sigma=\dfrac{m}{S}. Osservando la figura 45 si deduce che il campo gravitazionale nel punto P è radiale: esso è dovuto alla somma di contributi infinitesimi simmetrici provenienti da elementi di massa infinitesimi simmetrici, eguali in modulo, che danno risultante radiale; se così non fosse, \sigma non sarebbe costante.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 45: campo in un punto P generato da una distribuzione uniforme di massa su una superficie sferica di raggio R. Nella figura d\vec{g}_- è l’elemento infinitesimo di campo gravitazionale prodotto dall’elemento di massa infinitesimo dm al di sotto dell’equatore. Analogamente, d\vec{g}_+ è l’elemento infinitesimo di campo gravitazionale prodotto dall’elemento di massa infinitesimo dm al di sopra dell’equatore. I due contibuti d\vec{g}_- e d\vec{g}_+ saranno vettorialente uguali se gli elementi di massa infinitesima dm giacciono entrambi sull’equatore.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

In qualsiasi altro punto avente la stessa distanza di P dal centro della superficie sferica, la situazione è la stessa: il campo \vec{g} è radiale e il suo modulo dipende solo dalla distanza dal centro r:

(265)   \begin{equation*} \vec{g}(r)=-g(r)\,\hat{r}. \end{equation*}

Per calcolare \vec{g}(r) utilizziamo il teorema di Gauss scegliendo come superficie di integrazione una superficie sferica {\Sigma} concentrica a m e di raggio r\geq R; sui punti di tale superficie il campo avrà lo stesso valore. Da una parte, poiché il versore normale usente \hat{n} coicide col versore radiale \hat{r} e quindi \hat{r} \cdot \hat{n}=1 si ha

(266)   \begin{equation*} \Phi_{{\Sigma}}(\vec{g})=\iint_{{\Sigma}}\vec{g}\cdot\hat{n}\,d{\Sigma}=-g(r)\iint_{{\Sigma}}d{\Sigma}=-4\pi\,r^2\,g(r) \end{equation*}

e dall’altra, sfruttato il teorema di Gauss, abbiamo

(267)   \begin{equation*} \Phi_{{\Sigma}}(\vec{g})=-4\pi\,G\,m. \end{equation*}

Eguagliando le equazioni (266) e (267) si ottiene il modulo del campo gravitazionale cercato, da cui

(268)   \begin{equation*} \vec{g}(r)=-G\,\dfrac{m}{r^2}\hat{r}, \end{equation*}

che coincide con il campo gravitazionale generato da una massa puntiforme m posta nel centro della superficie sferica S. Il risultato vale per r\geq R; all’interno della superficie sferica, ossia per r<R, qualsiasi superficie gaussiana scelta per la valutazione del flusso, non contiene massa e dunque il flusso attraverso di essa è nullo: deve quindi essere \vec{g}=0 ovunque. Il grafico del modulo del campo gravitazionale di una massa distribuita uniformemente su una superficie sferica di raggio R è rappresentato in figura 46 : si osservi che il campo è discontinuo per r=R, cioè nell’attraversare la massa.

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Figura 46: grafico del campo gravitazionale g(r) di una massa distribuita uniformemente su una superficie sferica di raggio R.

    \[\quad\]

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Analizziamo ora il caso in cui m è distribuita con densità volumetrica costante \rho=\dfrac{m}{V} in tutto il volume V di una sfera di raggio R. Grazie al teorema di Gauss possiamo concludere che il risultato all esterno della sfera, ossia per r \geq R, è lo stesso del caso precedente

(269)   \begin{equation*} \vec{g}(r)=-G\dfrac{m}{r^2}\,\,\,\,\,\,\,\,\text{per}\,r\geq R. \end{equation*}

Studiamo il caso r<R; all’interno di una superficie sferica {\Sigma} di raggio r<R, ci sarà una massa m'<m.

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Figura 47: superficie di integrazione {\Sigma} di raggio r<R.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Dato che la massa è distribuita in modo omogeneo, ossia la densità volumetrica di massa è costante, si ha

(270)   \begin{equation*} \dfrac{m'}{\dfrac{4}{3}\pi r^3}=\dfrac{m}{\dfrac{4}{3}\pi R^3} \quad \Rightarrow \quad m'=\dfrac{r^3}{R^3}\,m. \end{equation*}

Sui punti di \Sigma il campo avrà lo stesso valore. Da una parte, poiché il versore normale uscente \hat{n} coicide col versore radiale \hat{r} e quindi \hat{r} \cdot \hat{n}=1 si ha

(271)   \begin{equation*} \Phi_{{\Sigma}}(\vec{g})=\iint_{{\Sigma}}\vec{g}\cdot\hat{n}\,d{\Sigma}=-g(r)\iint_{{\Sigma}}d{\Sigma}=-4\pi\,r^2\,g(r) \end{equation*}

e dall’altra, sfruttato il teorema di Gauss per il caso 0<r<R in cui quindi la massa racchiusa dalla superficie gaussiana \Sigma è m', abbiamo

(272)   \begin{equation*} \Phi_{{\Sigma}}(\vec{g})=-4\pi\,G\,m'. \end{equation*}

Eguagliando le equazioni (271) e (272) si ha

(273)   \begin{equation*} -4\pi\,r^2\,g(r)=-4\pi\,G\,m', \end{equation*}

da cui, sfruttando la (270), si ottiene

(274)   \begin{equation*} 4\pi\,r^2\,g(r)=4\pi\,G\left(\dfrac{r^3}{R^3}\,m\right), \end{equation*}

conseguentemente

(275)   \begin{equation*} g(r)=\dfrac{G\,r}{R^3}\,m \qquad \text{per}\,\,\,0<r<R. \end{equation*}

Dunque, il campo all’interno di una sfera omogenea cresce linearmente con la distanza dal raggio: il grafico di g(r) è mostrato in figura 48.

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Figura 48: grafico del campo gravitazionale g(r) generato da una distribuzione sferica omogenea di massa.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

La relazione (275) è una dimostrazione di come una massa estesa possa generare un campo che non ha l’andamento 1/r^2 come quello generato da una massa puntiforme.

Questo risultato ci consente di dimostrare che una massa puntiforme m_p posta all’interno della sfera subirebbe una forza di tipo elastico; infatti

(276)   \begin{equation*} \vec{F}=m_p\,\vec{g}=-G\,\dfrac{m\,m_p}{R^3}r\,\hat{r}=-k_{\mathrm{eff}}\,r\,\hat{r}, \end{equation*}

in cui k_{eff} è la costante elastica efficace dovuta all’attrazione gravitazionale che tende a riportare il corpo nella sua posizione di equilibrio al centro della sfera. Immaginiamo di scavare, lungo un diametro della sfera, un foro e di abbandonare sulla superficie una massa puntiforme con velocità nulla; essa si muoverebbe di moto armonico semplice31.

Un’altra conseguenza è che la forza gravitazionale tra due sfere omogenee di masse m_1 e m_2 poste a distanza r tra i loro centri è uguale alla forza gravitazionale tra due masse puntiformi m_1 e m_2 poste alla stessa distanza r.

Le proprietà discusse in questa sezione sono una conseguenza del teorema di Gauss, per cui valgono per tutti i campi il cui modulo ha andamento 1/r^2, come ad esempio il campo elettrostatico.    


  1. In analogia alle coordinate polari in cui il piano è descritto come cerchi circonferenze concentriche di raggio sempre crescente.
  2.  

    1. Si definisce oscillatore armonico un corpo che si muove di moto armonico, ovvero un corpo sul quale agisce una forza proporzionale allo spostamento e di verso opposto rispetto ad esso. Un esempio di oscillatore armonico è un oggetto di massa m agganciato ad una molla di costante elastica k. Scrivendo l’equazione del moto di tale corpo arriviamo ad un’equazione diffenziale del tipo

      (277)   \begin{equation*} \dfrac{d^2x}{dt^2}+\dfrac{k}{m}\,x=0. \end{equation*}

      L’equazione del moto di una massa puntiforme m_p posta all’interno della sfera ha la stessa struttura dell’equazione dell’oscillatore armonico semplice, come possiamo osservare dalla relazione (276).


 

Cenni alle forze mareali

Introduzione.

La forza gravitazionale, presentata nella sezione 2, governa le orbite dei pianeti e delle loro lune o satelliti32. Le leggi di Keplero, che determinano tali orbite, sono state dedotte trattando questi oggetti come punti materiali, nell’ipotesi che essi siano sfericamente simmetrici. Ma quali sono le conseguenze qualora venga meno l’ipotesi di simmetria sferica? Si consideri una luna in orbita attorno a un pianeta. Siccome un lato della luna è più vicino al pianeta rispetto al lato opposto, la forza gravitazionale esercitata dal pianeta su una massa di prova33 sarà maggiore sul lato della luna più vicino e minore sul lato più lontano. La conseguenza di questa forza differenziale, chiamata forza mareale, è quella di allungare la forma istantanea della luna34. In accordo con la terza legge di Newton, lo stesso effetto si applica al pianeta a causa dell’influenza gravitazionale della luna. Dunque, le forme risultanti della luna e del pianeta non saranno sferiche e le loro rotazioni saranno modificate.

L’esistenza delle maree sulla Terra è ben nota; ci sono due alte maree approssimativamente ogni 24 ore e 53 minuti. Meno noti sono i rigonfiamenti mareali della Terra solida, che misurano circa 10 cm in altezza. Siccome la massa della Terra è circa 81 volte maggiore della massa della Luna, i rigonfiamenti mareali della Luna sono molto più grandi.    


  1. In contesti astrofisici, il termine luna è equivalente al termine satellite. Poiché le forze mareali sono spesso studiate in contesti astrofisici, useremo queste nomenclature in maniera interscambiabile in questa sezione.
  2.  

    1. In contesti astrofisici si usa molto spesso il termine massa di prova. Per definizione, è una massa così piccola da non perturbare il campo gravitazionale in cui è immersa, tuttavia non necessariamente deve essere infinitesima. Poiché le forze mareali sono spesso studiate in contesti astrofisici, useremo questa nomenclatura in questa sezione
    2.  

      1. Tale allungamento avviene sia se il materiale da cui e composta la luna è solido o fluido. La grandezza di questo allungamento è quantificato dai numeri di Love gravitazionali. Per un fluido poco denso l’ordine di grandezza e 10^{-1} mentre per il ferro è ordine 10^{-4} [5], [7].

La Fisica delle Maree.

Per comprendere bene come si generano le maree sulla Terra, si consideri il modulo della forza gravitazionale su una massa di prova m_1 situata sul pianeta ad una distanza r dal centro di massa della Luna [3],

(278)   \begin{equation*} F_m=G\,\dfrac{M\,m_1}{r^2}, \end{equation*}

dove M è la massa della Luna (si veda la figura 49).

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Figura 49: la forza mareale della Terra causata dalla Luna è generata dai valori variabili dell’attrazione gravitazionale della Luna sui differenti punti del pianeta.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

Ora si consideri una seconda massa di prova m_2=m_1=m, situata a distanza dr da m_1 lungo la linea che congiunge la Terra e la Luna. La differenza tra le forze (la forza differenziale) tra le due masse di prova è

(279)   \begin{equation*} dF_m=\left(\dfrac{dF_m}{dr}\right)\,dr=-2\,G\,\dfrac{M\,m}{r^3}\,dr. \end{equation*}

Si osservi che la forza differenziale decresce con la distanza (\sim 1/r^3) più rapidamente della forza di gravità (\sim 1/r^2), pertanto l’effetto sarà maggiore per le masse di prova più vicine alla Luna.

La forma dei rigonfiamenti mareali può essere determinata studiando la variazione dei vettori che rappresentano la forza gravitazionale. Si consideri la figura 50, dove per semplicità consideriamo le forze nel piano x-y. Analizziamo la forza gravitazionale esercitata dalla Luna agente su una massa di prova al centro del pianeta e in un punto generico della superficie.

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    \[\quad\]

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Figura 50: geometria della forza mareale dovuta alla Luna agente sulla Terra.

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    \[\quad\]

Al centro del pianeta, le componenti x e y della forza gravitazionale esercitata dalla Luna su una massa di prova m sono

(280)   \begin{equation*} F_{C,x}=G\,\dfrac{M\,m}{r^2},\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,F_{C,y}=0. \end{equation*}

Invece, le componenti x e y della forza gravitazionale esercitata dalla Luna su una massa di prova m che si trova sulla superficie sono

(281)   \begin{equation*} F_{P,x}=G\,\dfrac{M\,m}{s^2}\cos\,\varphi,\,\,\,\,\,\,\,\,\,\,F_{C,y}=-G\,\dfrac{M\,m}{s^2}\sin\,\varphi, \end{equation*}

dove \varphi è l’angolo tra la congiungente tra il centro della Luna e il punto P (distanti s), e la congiungente tra il centro della Terra e il centro della Luna. La forza differenziale tra il centro della Terra e la sua superficie è

(282)   \begin{equation*} \Delta\vec{F}=\vec{F}_P-\vec{F}_C=G\,M\,m\left(\dfrac{\cos\varphi}{s^2}-\dfrac{1}{r^2}\right)\,\hat{x}-\dfrac{G\,M\,m}{s^2}\,\sin\varphi\,\hat{y}. \end{equation*}

Per semplificare il risultato, esprimiamo s in termini di r, R e \theta, dove R è il raggio della Terra e \theta è l’angolo formato da R e r. Applicando il teorema di Pitagora si ha

(283)   \begin{equation*} s^2=(r-R\,\cos\theta)^2+(R\,\sin\theta)^2=r^2-2\,r\,R\,\cos\theta+R^2\cos^2\theta+R^2\sin^2\theta. \end{equation*}

Trascurando i termini di ordine R^2/r^2\ll 1, si ha

(284)   \begin{equation*} s^2\simeq r^2\left(1-\dfrac{2\,R}{r}\,\cos\theta\right). \end{equation*}

Sostituendo la (284) nella (282) e ricordando che per x\ll1, (1+x)^{-1}\simeq1-x, troviamo

(285)   \begin{equation*} \Delta\vec{F}\simeq\dfrac{G\,M\,m}{r^2}\left[\cos\varphi\left(1+\dfrac{2\,R}{r}\,\cos\theta\right)-1\right]\,\hat{x}-\dfrac{G\,M\,m}{r^2}\left[1+\dfrac{2\,R}{r}\,\cos\theta\right]\,\sin\varphi\,\hat{y}. \end{equation*}

Infine, usando le relazioni \cos\varphi\simeq 1 e \sin\varphi\simeq(R\,\sin\theta)/r, abbiamo

(286)   \begin{equation*} \Delta\vec{F}\simeq\dfrac{G\,M\,m\,R}{r^3}(2\cos\theta\,\hat{x}-\sin\theta\,\hat{y}). \end{equation*}

In figura 51 è illustrata la situazione descritta dalla relazione (282).

    \[\quad\]

    \[\quad\]

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Figura 51: la forza gravitazionale differenziale sulla Terra.

    \[\quad\]

    \[\quad\]

La forza differenziale tende a comprimere la Terra nella direzione y, e ad allungarla lungo la congiungente con il centro di massa della Luna producendo i rigonfiamenti mareali, a causa dei quali si generano le due alte maree.


Il limite di Roche.

Il limite di Roche è la distanza minima dal centro di un pianeta al di sotto della quale una luna che vi orbita intorno si frammenta a causa delle forze di marea. Possiamo stimare l’ordine di grandezza della distanza orbitale in corrispondenza della quale un corpo celeste si frantuma, assumendo che questo avviene quando la forza differenziale diventa maggiore della forza gravitazionale che sostiene il corpo. Nell’ipotesi in cui i due corpi celesti siano sferici:

(287)   \begin{equation*} \dfrac{G\,M_l}{R_l^2}<\dfrac{2\,G\,M_p\,R_l}{r^3}, \end{equation*}

dove M_p e M_l sono le masse del pianeta e della luna, rispettivamente, R_l è il raggio della luna, e r è la distanza tra i centri dei due corpi. Esprimendo le masse in funzione della densità

(288)   \begin{equation*} M_p=\dfrac{4}{3}\pi R_p^3\rho_p \end{equation*}

e

(289)   \begin{equation*} M_l=\dfrac{4}{3}\pi R_l^3\rho_l, \end{equation*}

dove \rho_p e \rho_l sono le densità medie del pianeta e della luna, rispettivamente, sostituendole nella (287) e risolvendo rispetto a r, troviamo che la condizione affinché la luna sia distrutta dalle forze di marea è

    \[\boxcolorato{fisica}{r<f_R\left(\dfrac{\rho_p}{\rho_l}\right)^{1/3}\,R_p,}\]

dove, nel nostro caso, f_R=2^{1/3}=1,3.


 
 

Riferimenti bibliografici

[1] Borghi R., Esercizi e Problemi di Fisica, I. Meccanica, CreateSpace, Prima Edizione, 2015.

[2] Bramanti M., Pagani C., Sandro S., Analisi matematica 2, Zanichelli (1991).

[3] Carroll, Bradley W., Dale A. Ostlie, An introduction to modern astrophysics, Cambridge University Press (2017).

[4] Coddington E., Levinson N., Theory of ordinary differential equations, McGraw-Hill (1955).

[5] Dobrovolskis A., Tidal disruption of solid body, (1990).

[6] Hoskin M., Sosio L., Storia dell’astronomia, Rizzoli (2017).

[7] Limongi M., Tidal deformations in Newtonian approximation, (2021).

[8] Mazzoldi P., Nigro M., Voci C., Fisica, Volume I.” Meccanica e Termodinamica, EdiSES (2003).

[9] Meuus J., The mean distance from the Earth to the Moon, j. Br. Astron. Assoc. (2019).

[10] Newton I., Giudice F., Principî matematici della filosofia naturale, EINAUDI (2018).

[11] Mendelson B., Introduction to Topology, Dover (1975).

[12] Qui Si Risolve, Meccanica classica e dinamica del punto materiale.

[13] Qui Si Risolve, Equazioni differenziali.

[14] Resnick R., Halliday D., Krane K. S., Physics, Volume I: Mechanics and Thermodynamics, Wiley, 5th edition, 2001.

[15] Schutz B. F., A First Course in General Relativity, Cambridge University Press, 2nd edition, 2009.

[16] Weinberg S., Gravitation and Cosmology: Principles and Applications of the General Theory of Relativity, John Wiley & Sons, 1972.

 
 

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